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2005 Madonna di Tirano (So)
È difficile percepire al primo istante l’ariosa impostazione cinquecentesca dell’interno, scandita dalle navate con le volte a crociera, dalla tonda abside, dal transetto con la cupola e, sulla sinistra, dalla cappella dell’apparizione, che pur sono contraddistinti da una fitta intelaiatura di arcate, pilastri e lesene marmorei con bassorilievi e statue di chiaro gusto rinascimentale, poiché la fitta maglia di ornamenti, attuati tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento, copre ogni superficie con stucchi barocchi e riquadri dipinti, non privi di bellezza, ma che offuscano, nel loro esasperato decorativismo, l’armonia delle linee del Rinascimento.
Cuore del santuario è la cappella dell’apparizione che custodisce il lembo di terra in cui si posarono i piedi della Vergine, come espressamente ricorda la scritta della tavoletta dello scurolo dietro l’altare: "Ubi steterunt pedes Mariae". Nello stesso luogo suggestivo e raccolto, piccole statue dorate e dipinte, pregevole opera del pavese Giovan Angelo Del Majno del 1519, illustrano il prodigioso evento ed attualizzano al fedele di ogni tempo la presenza di Maria. Quadretti e cuori d’argento ex voto del passato, ricordi di incidenti e malattie e una montagna di fotografie di persone d’ogni età attestano i miracoli e le grazie con una devozione senza fine, profonda e sincera.
Cappella dell' Apparizione
L’altare è un’opera di impronta neoclassica, elegante, in pregiati marmi di vario colore con tavolette in marmo di Carrara scolpite a bassorilievo recanti la scena dell’apparizione e dei miracoli avvenuti per intercessione della Madonna. Fu realizzato nel 1802 da Gabriele Longhi di Viggiù, su progetto dell’architetto Giovanni Maria Pianta di Milano, in sostituzione dell’antica ancona lignea di Giovan Angelo Del Majno del 1519, ritenuta a suo tempo una delle più belle d’Italia, rimossa dopo la spoliazione
decretata nel 1798 dai funzionari della Repubblica Cisalpina, che aveva privato tutto l’altare degli ornamenti in lamine di argento, tra cui il prezioso paliotto di Federico Perego del 1682, vanto del santuario.
Rimangono dell’ancona rinascimentale le statue della Vergine, del bambino e del piccolo Giovanni Battista al posto d’onore nell’edicola marmorea profilata di oro e argento. L’effigie di Maria è un capolavoro d’arte scultorea di finissima fattura, dai tratti delicati, lumeggiati d’oro e lacche policrome, che ha incantato con la sua dolcezza materna e il suo aspetto regale tutti coloro che sono passati ai suoi piedi. Essa costituisce l’icona ufficiale della Madonna di Tirano, impressa nel cuore dei fedeli, solennemente incoronata nel 1690 per onore concesso dal Capitolo Vaticano, su personale interessamento del papa Alessandro VIII, e ornata nel 1746 di un manto in seta e oro, ex voto dei Valtellinesi durante l’imperversare della peste. Non meno ricca si presenta la cappella maggiore, con le sue alte lesene, i suoi bassorilievi e le statue a tutto tondo degli apostoli, le cinque grandi tele a soggetto mariano dipinte da Giovan Battista Recchi tra il 1634 e il 1637, gli stalli corali di Michele Gramatica con i delicati intagli di Lorenzo Visentini del 1749, dominati dalla statua di san Michele in rame sbalzato, dorato e argentato del 1769 e, naturalmente, l’altare maggiore in marmo nero di Varenna con intarsi di vari marmi policromi, opera del marmista Giovan Battista Galli di Clivio del 1748.
Sono degne di attenzione le pale degli altari laterali, raffigurante l’una Sant’Anna con Maria e il bambino e l’altra il Transito di san Giuseppe, dipinte nel 1840 dal sondriese Antonio Caimi.
Ma è l’organo con la sua monumentale cassa l’opera più ammirata del santuario, che fu realizzata tra il 1608 e il 1617 dall’intagliatore bresciano Giuseppe Bulgarini. Sorretta da otto lisce colonne in marmo rosso d’Arzo, la cassa si sviluppa fino a lambire la volta della cupola,
Sulla superficie, tra putti, angeli musicanti e la fitta decorazione appare una parte delle 2200 canne dell’organo di Luigi Parietti, allievo dei celebri Serassi di Bergamo, che sostituì alla fine dell’Ottocento lo strumento secentesco dei fratelli Mearini.
Di fronte all’organo si trova un altro gioiello di scultura lignea, il pulpito d’autore ignoto del 1599.
Sopra il confessionale, sulla destra entrando dalla porta principale, è una grande tela di Cipriano Valorsa di Grosio del 1576, di particolare valore documentario in quanto rappresenta il miracolo della resurrezione dei due neonati morti senza battesimo, avvenuto il 26 marzo 1505, alla presenza di autorevoli testimoni, tra cui il notaio Luigi Della Pergola, che ne stese l’atto sottoscritto da sedici personalità civili e religiose.
Di particolare bellezza infine i credenzoni e il genuflessorio della sacrestia, intagliati nel 1705.
Statua della Vergine
Navata centrale