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GAMBERO AZZURRO

di Vincenzo Covinno

 

Il centrosinistra ha scelto il suo candidato premier per le prossime elezioni politiche: si tratta di Francesco Rutelli, attuale sindaco di Roma. Il presidente del Consiglio in carica, Giuliano Amato, dopo aver provato ad imporre la sua candidatura al ruolo di sfidante del centrodestra, ha dovuto cedere il passo al più giovane collega. Il «dottor sottile» probabilmente non sarà messo da parte, e gli verrà concesso l’onore delle armi affidandogli qualche dicastero importante (gli Affari Esteri o il Tesoro o giù di lì).

I cannoni del Polo cambiano quindi il loro bersaglio e puntano dritto su Rutelli. Di sicuro si faranno le pulci al suo passato politico, e si tireranno in ballo i suoi trascorsi radical-ambientalisti, le sue frequentazioni socialiste, le sue consulenze pagate a peso d’oro… Questo è normale, e fa parte delle regole del gioco. Probabilmente però uno degli argomenti più utilizzati da Berlusconi & C. contro il loro avversario di turno sarà il seguente: la sua non rappresentatività politica. Un leit-motiv già ampiamente utilizzato nei confronti di Romano Prodi nelle scorse elezioni politiche, e ribadito nei confronti di Amato, definito addirittura «utile idiota». Rutelli infatti, come i suoi predecessori, non ha alle spalle un partito o un movimento del quale egli possa dirsi leader; ha ricevuto un’investitura popolare, certamente, avendo conquistato per due volte il mandato di sindaco della più grande città italiana, ma è stato candidato da una coalizione di partiti ciascuno dei quali ha già un proprio gruppo dirigente e un proprio leader. Si tratta obbiettivamente di una debolezza. E non di poco conto. Romano Prodi ha pagato con la caduta del suo governo questa debolezza politica, ed anche Amato è stato messo da parte per lo stesso motivo. Quando Prodi ha compreso la situazione si è dato da fare, ha creato l’Asinello, ha raccolto voti, e si è tolto gli schiaffi di faccia spedendo il D’Alema presidente del consiglio ad organizzar convegni. Se poi la coalizione di partiti che dovrebbe sostenere la corsa di Rutelli è anche divisa e litigiosa (al di la delle apparenze), è ovvio che il futuro del candidato premier, anche se dovesse vincere le elezioni, non sarebbe facile.

Berlusconi invece, può sostenere, a ragione, di essere il leader unico e indiscusso del Polo, nonché il fondatore, mentore, padre-padrone e uomo immagine di Forza Italia, primo partito italiano votato da un quarto dell’elettorato nazionale. Il Cavaliere è perfettamente conscio di questa situazione, e più d’una volta ne ha fatto cenno. E’ arrivato addirittura ad invitare Veltroni in persona, a suo dire reale alter ego nello schieramento opposto, a candidarsi come premier del centrosinistra. Ma…

Ma la politica è come l’anguilla: quando pensi di averla stretta tra le mani ti scivola via da tutte le parti. E così è accaduto che Berlusconi stesso dopo aver vinto le elezioni del ’94, riuscì a governare solo per sei mesi e poi fu spedito all’opposizione dal famoso ribaltone della Lega. Ed è accaduto pure che D’Alema leader del PDS e dell’Ulivo sia poi ugualmente caduto per motivi interni (Veltroni) ed esterni (Prodi) al suo partito. Per non parlare degli esempi passati di marca DC e PSI dove il giuoco delle correnti intestine varava e disfaceva i governi con cadenza quasi annuale.

Non ci sono evidentemente leggi scritte. Si potrebbe addirittura fare l’ipotesi contraria: sarebbe forse addirittura preferibile un candidato esterno ai partiti delle coalizioni, sebbene, logicamente, vicino per cultura e sentire politico. Anche Berlusconi potrebbe essere d’accordo, con un ragionamento di questo tipo: candidare come capo di un prossimo governo del centrodestra una personalità carismatica e di indubbio valore professionale (magari anche con credenziali a livello internazionale, come un Mario Monti ad esempio) ed impegnarsi in campagna elettorale a sostenerlo ed appoggiarlo; intercettare in tal modo una certa quantità di votanti, disposti a dare fiducia alla personalità in questione, e altrimenti restii a votare Polo; rimanere al contempo leader del Polo e regista politico della futura maggioranza governativa; evitare qualsiasi asperità riguardo il conflitto di interessi; non esporsi in prima persona nelle scelte del governo; avere le mani libere per trattare con l’opposizione a 360 gradi su questioni di interesse nazionale e di competenza parlamentare, sganciando il governo dai soliti trabocchetti dei partiti politici;

Vantaggi, indubbiamente. Ma anche una grande insidia, che il fine naso mass-mediatico di Berlusconi ha sicuramente fiutato, e che lo rende recalcitrante ad una scelta del genere: tirare dentro la partita in corso un’ altra primadonna, significa in primis pagare un tributo di immagine cospicuo; e, si sa, per il Cavaliere l’immagine è tanto, se non tutto; fare un passo in dietro a mo’ di gambero e lasciare una parte del palcoscenico politico, una parte importante, da futuro probabile premier, sarebbe un sacrificio veramente grande.

In secondo luogo si porrebbe un problema, questo si di un certo rilievo, di natura prettamente politica: se il candidato super partes incontrasse i favori degli elettori, sia nel momento delle elezioni, ma anche e soprattutto durante il periodo di governo, ecco che automaticamente si verrebbe a creare un nuovo soggetto politico. Con il quale dover fare i conti, venire a patteggiamenti, instaurare intese, appianare i diverbi e, soprattutto, cedere spicchi di potere. Con il pericolo sempre in agguato di mastelliani salti della staccionata o di bertinottiani dietro-front.

Il segretario del PPI Castagnetti ha detto di essere convinto che alla fine Berlusconi faccia un passo in dietro, lasciando la guida di un eventuale governo polista a qualcun altro. Avrà le sue fonti di informazione. Certo Berlusconi potrebbe anche seriamente pensare ad una prospettiva del genere. Dovrà in tal caso mettere da parte la sua congenita vanità. Ma soprattutto badare a contenere le ambizioni e combinazioni politiche della persona prescelta. Per il resto, i vantaggi di certo a portata di mano.

 

 

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