Per commerciare meglio in cina
occore la libertà religiosa
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Il viaggio del Primo Ministro Zhu Rongji in Italia
non prevede alcun incontro con esponenti vaticani. La venuta di Zhu in
Europa e in Italia è infatti solo all'insegna dell'economia.
Zhu Rongji ha bisogno di fare il pieno di capitali e
investimenti dall'estero, per arrivare forte all'incontro che la
leadership cinese tiene ogni anno ad agosto nella località balneare di
Beidaihe. Lì, i papaveri del Politburo valutano le prospettive future
del paese.
La Cina ha disperato bisogno di investimenti
stranieri. L'economia che fino a qualche anno fa faceva gola al mondo
intero è in un momento di stanca. Dopo vari anni di crescita fino al
13% del PIL, adesso le prospettive migliori sono al 7-8%. Ma questo solo
se vi sarà un flusso di capitali adeguato. L'anno scorso la Cina
attrasse circa 40 miliardi di dollari in investimenti stranieri.
Quest'anno, i primi 5 mesi dell'anno hanno visto l'entrata di soli 12.7
miliardi di dollari. Tutti questi investimenti servono per creare nuovi
posti di lavoro. Più di due anni fa (marzo '98) Zhu Rongji ha lanciato
una serie di riforme economiche miranti a dare più spazio all'industria
privata e a rendere più competitiva l'industria di stato, tagliando i
finanziamenti alle imprese non produttive e riducendo la burocrazia del
50%. Il risultato è stato la chiusura di molte industrie, soprattutto
quelle metallurgiche del nordest e il licenziamento di milioni di operai
e impiegati ai quali né lo stato, né le ditte in fallimento riescono a
garantire un salario minimo di sussistenza, fissato a circa 230 yuan al
mese (46mila lire italiane). I dati ufficiali di quest'anno parlano di
almeno 6 milioni di nuovi licenziati, che si vanno ad aggiungere ai 12
dell'altro anno e ai milioni di giovani che ogni anno cercano di entrare
nel mondo del lavoro.
Ormai non passa giorno che non vi sia nello Shandong,
nel Sichuan, a Pechino, nel Liaoning manifestazioni di operai,
disoccupati, pensionati che chiedono il rispetto dei loro diritti. In
alcuni casi, come a Wuhan e nel Liaoning, i disoccupati si sono
scontrati violentemente con la polizia.
Il grande zar dell'economia è stato anche uno dei
pochi promotori dell'entrata della Cina nel WTO. Ci vorrà ormai poco
tempo perché molte barriere doganali vengano meno e i prodotti
dall'estero, più competitivi nel prezzo e nella qualità, facciano
ristagnare ancora di più le vendite dei prodotti cinesi, portando a
nuove chiusure di fabbriche e di uffici. In più, la liberalizzazione
della vendita di molti prodotti agricoli dall'estero, creerà problemi
anche ai contadini cinesi, l'80% della popolazione, che già combattono
con una inflazione del 4% e un calmiere di prezzi stabiliti dal governo.
Si calcola che questa situazione porterà sconquasso a circa 150 milioni
di contadini, costretti a lasciare la terra per sfamare la famiglia e a
cercare lavoro da qualche parte. Talvolta la fiumana di lavoratori
migranti prende anche la strada dell'emigrazione clandestina, fino a
rischiare la vita, come è avvenuto a Dover alcune settimane fa, dove 58
emigrati sono morti di asfissia nella stiva di un camion.
A tutt'oggi l'intera leadership trema al pensiero di
cosa sarà la Cina, sottomessa alle regole mondiali del mercato. Nelle
riunioni del partito, alcuni quadri regionali hanno affermato di non
poter garantire la legge e l'ordine nella loro giurisdizione per i
problemi di disoccupazione creati dalla imminente entrata nel WTO.
Secondo osservatori esterni la decisione di Zhu
Rongji di accelerare l'entrata della Cina nel WTO è forse la sfida più
importante che il paese dovrà sostenere nei primi dieci anni del XXI
secolo. Secondo osservatori cinesi, l'entrata nel WTO pone "minaccealla
sicurezza" del paese. Zhang Yuliang e Yang Qing, due accademici
dell'Università di Pechino per la Difesa Nazionale, hanno invitato il
governo a creare dei gruppi di speciale intervento per bloccare
l'influenza delle ditte straniere, la loro influenza su internet, il
loro spionaggio (preteso o reale), il potere contrattuale della loro
merce.
Possibili minacce per la sicurezza sono considerati
anche tutti i gruppi religiosi che non si sottomettono allo stretto
controllo del governo. Da quando Zhu Rongji ha lanciato le riforme e
economiche e ancora di più con l'avvento del WTO, fedeli di tutte le
religioni e attivisti democratici sono di continuo arrestati.Secondo il
Centro per i Diritti Umani di Hong Kong dalla fine di giugno sono stati
imprigionati almeno 1200 seguaci del Falun Gong; decine di migliaia dal
luglio dell'anno scorso; 22 torturati e morti in detenzione. Pastori
protestanti a Pechino, a Canton, nell'Henan; vescovi, preti cattolici e
fedeli in Hebei, Fujian, Zhejiang, Jiangxi subiscono torture, arresti
formali o domiciliari. A questi vanno aggiunti attivisti uyguri
(musulmani); monaci e monache tibetane; fedeli e religiosi taoisti.
La persecuzione religiosa colpisce alcune migliaia,
ma umilia centinaia di milioni di fedeli, costretti a constatare che lo
stato è loro nemico.
Alla fine del maoismo, negli anni '80, l'agricoltura
cinese era soffocata dalla pianificazione statale. È bastato che Deng
Xiaoping desse la possibilità alle famiglie dei contadini di coltivare
in proprio la terra e vendere direttamente i prodotti al mercato, per
registrare un incremento del 300-400% della produzione!
Si potrebbe dire lo stesso per le religioni. Secondo
i dati ufficiali del Libro Bianco sulle Religioni, pubblicato dal
governo nel '97, in Cina vi sono 100 milioni di credenti. In realtà ve
ne sono molti di più. Stime approssimative dicono che oltre il 60 per
cento deicinesi ha qualche devozione o fede. La mancanza di libertà
religiosa emargina la creatività di questo mezzo miliardo di fedeli
che, lavorando in segreto, arrivano perfino ad aprire scuole nelle
campagne, orfanotrofi, case per handicappati. La libertà religiosa
potrebbe sanare in modo non violento i possibili scontri sociali temuti
dal Partito. Maggiori contatti con le Chiese all'estero potrebbero dare
una spinta a rapporti culturali ed economici benèfici per la Cina
stessa. Già oggi cinesi di Hong Kong, di Taiwan, di Singapore, emigrati
in Australia, Canada, Stati Uniti aiutano le loro chiese e comunità di
origine, sovvenzionando scuole, dispensari, università. La stessa cosa
fanno le chiese d'Europa e d'America.
La libertà religiosa conviene all'economia: essa
crea simpatia all'estero; creatività e solidarietà all'interno e
diviene fonte di moralità per una società caratterizzata da un alto
tasso di suicidi e da un altissimo tasso di corruzione. Da anni
l'Accademia delle Scienze di Pechino sottolinea che la Cina ha bisogno
di democrazia e libertà religiosa per garantire un futuro alle
trasformazioni economiche avvenute in questi due decenni. Senza questi
elementi di libertà (politica e religiosa), la Cina dei prossimi anni
rischia di scoppiare.
Bernardo Cervellera
(c) Fides