La bioeticista Maria
Luisa Di Pietro: molti rischi per la salute se il figlio non conosce
le proprie origini genetiche
Di Virgilio: non
cura la sterilità della coppia e frena la ricerca
D'Agostino: «La
normativa europea è molto differenziata».
E in alcuni Paesi si
fa marcia indietro
Milano. La
fecondazione eterologa è un rimedio contro la sterilità?
Certamente no,
spiegano i medici. Che aggiungono alle preoccupazioni di ordine
morale quelle di tipo sanitario e - più in generale - quelle legate
al mancato sviluppo della ricerca delle cause della sterilità che
l'approvazione dell'eterologa causerebbe. Infatti non si può
sottovalutare il business che il settore della procreazione
medicalmente assistita porta con sé in mancanza di ogni tipo di
regolamentazione legislativa.
E a difendere l'eterologa
non vale nemmeno l'appello alla legislazione europea.
L'abolizione del «consenso
informato» - commenta Francesco D'Agostino, ex presidente del
Comitato nazionale di Bioetica, significa che «la fecondazione
assistita non viene più intesa come un rimedio estremo alla
sterilità, ma come un altro modo di procreare e vivere l'esperienza
familiare, un modo alternativo rispetto a quello tradizionale».
L'emendamento
approvato dal Senato parla della possibilità di accedere alla
fecondazione eterologa con seme di donatore qualora le tecniche di
tipo omologo non abbiano avuto successo.
«È un inganno -
spiega il professor Domenico Di Virgilio, presidente
dell'Associazione medici cattolici italiani - perché tutte le
tecniche di procreazione assistita vantano una quota di successi,
vale a dire di gravidanze portate a termine, che vanno dal 10 al 20
per cento, anche se qualcuno "spara" il 30 per cento.
È comunque una
percentuale bassa: chi potrà dire se la tecnica è fallita per
cause proprie o per il seme del marito?
Non può essere questo
un elemento per accedere all'eterologa, perché l'insuccesso è
insito nelle tecniche di procreazione assistita. È evidente che l'eterologa
non è una cura della sterilità».
Ma altre perplessità
di tipo medico vengono sollevate.
Maria Luisa Di Pietro,
ricercatrice presso il Centro di Bioetica dell'Università Cattolica
di Roma, ricorda le preoccupazioni espresse nel documento che il
Centro redasse tre anni fa: «Il seme del donatore viene sottoposto
ad esami per escludere la presenza di alcune patologie (e non
tutte), ma altrettanti esami andrebbero condotti sulla donna
ricevente, per garantire la compatibilità dei gameti: si tratta di
una prospettiva che, oltre a comportare una spesa molto elevata,
rischia di essere irrealistica per l'ampiezza dei potenziali esami».
Ma c'è di più: «In
caso di fecondazione eterologa - continua Maria Luisa Di Pietro - il
figlio non conosce il 50% del patrimonio genetico: questo può
essere un enorme rischo, a parte i noti problemi di ordine
psicologico, nel caso si debba verificare un pericolo per la salute.
Potrebbe essere ritardata la diagnosi di qualche patologia, per
quanto rara».
Perché dunque si
insiste nella «bontà» della fecondazione eterologa?
Non si può trascurare
l'aspetto economico rappresentato dalle decine di centri privati che
praticano le tecniche di fecondazione in vitro. «So per certo -
conferma Di Virgilio - che ci sono coppie che si sono letteralmente
svenate per poter accedere a queste tecniche (che costano
generalmente dagli otto milioni in su).
Da questo punto di
vista, l'unico aspetto positivo della legge è il fatto che venga
previsto di privilegiare le strutture pubbliche».
E l'insistenza sulla
procreazione assistita non può che favorire l'aumento della
domanda, secondo una nota legge economica:
«Sicuramente è un
timore fondato dei medici - spiega Di Virgilio - che facilitare le
tecniche di fecondazione assistita riduce l'impegno nella ricerca
delle cause della sterilità, che invece non poche volte può essere
vinta».
Nemmeno il presunto
allinearsi all'Europa tiene come valore di
riferimento.
D'Agostino sottolinea
che «ci sono importanti Paesi, come la Germania, la Svezia, la
Svizzera, in cui la fecondazione eterologa è estremamente
penalizzata. L'Italia non deve assolutamente omologarsi a una
normativa europea che, su questo punto, è molto diversificata».
Come conferma la
dottoressa Di Pietro: «In Spagna, prevedendo i problemi di tipo
sanitario, è stato previsto che venga reso noto il donatore se è
in gioco la salute del figlio. E anche l'Inghilterra sta mettendo in
dubbio l'anonimato. È singolare che l'Italia vada verso l'eterologa
quando c'è un forte ripensamento da parte degli Stati che l'hanno
approvata in passato».
Enrico Negrotti
(c) Avvenire