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I MARTIRI DELL´EST


L´Ostpolitik di Casaroli danneggiò i cattolici
Intervista con il cardinale slovacco Korec:
"Dopo quelle trattative ci siamo sentiti abbandonati"

Nelle ultime settimane si è parlato molto dell'Ostpolitik, la 
politica della trattativa con i regimi dell'Est europeo che ha 
visto protagonista sotto i gli ultimi pontificati lo scomparso 
cardinale Agostino Casaroli. Il martirio della pazienza (Einaudi
editore) è il titolo del libro che raccoglie le riflessioni del
porporato piacentino, presentato con grande solennità lo scorso
giugno in Vaticano alla presenza di cardinali e autorità 
politiche. 
Sono uscite decine di recensioni e molti autorevoli 
commentatori hanno esaltato la figura e l'opera di Casaroli. 
Nessuno ha ricordato, però, l'altra faccia dell'Ostpolitik. 
Cioè la sofferenza che trattative vaticane, tese a garantire 
la sopravvivenza dei cattolici dell'Est, provocavano nei vescovi 
di quei Paesi. 
Il Giornale ha intervistato uno degli ultimi testimoni di 
quell'epoca: Ján Korec, 76 anni, vescovo di Nitra, cardinale 
dal 1991. 
Un prelato nato in un'umile famiglia di operai slovacchi, 
che ha passato la maggior parte della sua vita di vescovo 
clandestino tra il carcere e la fabbrica. 
La sua è una testimonianza importante per ricostruire la 
storia di quegli anni.

Può raccontare l'inizio delle persecuzioni contro i cristiani 
in Cecoslovacchia?

"Uno dei punti culminanti della furia atea nel nostro Paese 
fu la soppressione di tutti i monasteri e gli istituti 
religiosi maschili nella notte tra il 13 e il 14 aprile 1950. 
In quella "notte dei barbari" i religiosi sono stati 
imprigionati nei cosiddetti "monasteri - campi di 
concentramento". Però già prima, dal 1948, il regime aveva 
soppresso i seminari, le case editrici, le confraternite, le 
organizzazioni giovanili. Imprigionavano i sacerdoti, 
portavano in tribunale i superiori religiosi, avevano messo 
in carcere alcuni vescovi, mentre altri erano sottoposti a 
una sorveglianza ferrea".

Come reagiva la Chiesa?

"La "macchina" della persecuzione si era messa in moto 
ferocemente. Dopo la presa del potere da parte del comunismo,
ai vescovi era già stata concessa da Roma la facoltà di 
consacrare segretamente altri vescovi in caso di necessità 
e ciò era accaduto nel 1949 in tre diocesi".

Lei era già prete?

"No. Nel '49 ero seminarista gesuita. Dopo la soppressione 
degli istituti religiosi sono riuscito a diventare sacerdote 
clandestinamente. L'ordinazione è avvenuta il 1 ottobre 1950 
in un ospedale, dove i medici, con il pretesto di un esame 
clinico, avevano invitato il vescovo di Roznava, Robert 
Pobozny. E' stato disponibile a ordinarmi prete nonostante 
i rischi che correva".

Quando venne consacrato vescovo?

"Nel gennaio 1951, quando la situazione si inasprì, lo stesso
monsignor Pobozny consacrò vescovo clandestinamente un giovane
prete gesuita, padre Pavol Hnilica. Quest'ultimo dopo alcuni
mesi fu scoperto e la polizia emise un mandato di cattura nei
suoi confronti. Riuscì a fuggire da Brno e arrivò a 
Bratislava: l'unica soluzione possibile per lui era quella 
di consacrare un nuovo vescovo e poi cercare di fuggire 
all'estero. Il superiore dei gesuiti mi chiese di accettare. 
Fu una decisione difficile, ma risposi di sì. Così il 24 
agosto 1951 Hnilica mi consacrò vescovo clandestinamente, a 
Bratislava".

Poi che cosa accadde?

"Hnilica fuggì all'estero. Io sono rimasto in Slovacchia, ho 
vissuto da lavoratore e anche da prigioniero compiendo la 
mia difficile missione fino al 1989. à ovvio che facevo tutto 
clandestinamente e che ero controllato dalla polizia".

Quanti anni ha passato in prigione?

"Sono stato condannato a dodici anni di carcere nel 1960 e 
sono rimasto in prigione per otto anni, fino al febbraio 1968".

Che cosa l'ha fatta soffrire di più in quel periodo?

"Tutti i tormenti che dovevamo subire. Insieme ai 200 
sacerdoti imprigionati ero sempre chiuso sotto chiave, 
senza libri, senza altare, senza Santa Messa, privato 
dei diritti umani, ogni giorno tra ladri e assassini, 
odiato dalle guardie carcerarie che consideravano i 
preti peggiori dei delinquenti comuni. L'odio del 
comunismo ateo ci umiliava in tutti i modi, dal mattino 
alla sera, mese dopo mese, anno dopo anno. Però ci 
sosteneva la preghiera e l'amore sacerdotale vicendevole, 
che avvertivano anche gli altri detenuti".

Come passava il tempo in prigione?

"Prima vivevamo in tre in una cella. Ripiegavamo dei piccoli 
cartoni con un fermaglio di ferro. Poi fabbricavamo collane 
di perle: dovevamo produrne ottanta al giorno, ed era 
davvero difficile. Il nostro rendimento era rigorosamente 
controllato. Lavoravamo tutta la giornata chiusi, ci era 
concessa soltanto una passeggiata di un'ora, sotto 
sorveglianza. Ci passavano il cibo attraverso una feritoia".

Ha fatto anche lavori più impegnativi?

"Sì, quando mi hanno trasferito nel reparto dove affilavano 
il vetro per lampadari. Era un lavoro più difficile, le mani 
dovevano stare sempre sulla mola. Chi non produceva il numero
di pezzi stabilito veniva punito con dieci giorni di 
isolamento: doveva dormire sull'asse di legno, riceveva 
un'unica porzione di cibo per tre giorni e doveva pagare una 
tassa di 30 corone al giorno. Per molti di noi questa era 
una grande sofferenza, oltre al fatto di dover lavorare con 
le dita che si ferivano a sangue sulla mola".

Perché il regime ha tentato di eliminare sistematicamente la
Chiesa?

"I comunisti sono guidati dall'ateismo militante. Dio doveva 
scomparire dalla vita della nazione. L'opera di ateizzazione
colpiva tutto: le scuole, la radio, tutte le istituzioni. 
Una persona credente non poteva fare l'insegnante, non poteva 
andare all'estero, studiare all'università, svolgere attività 
nell'esercito o negli uffici pubblici. Uno dei membri della 
direzione del Partito comunista aveva scritto che "la Chiesa 
è il nemico più accanito" del comunismo e del socialismo e 
quindi anche dello Stato. La Chiesa come istituzione era 
considerata un nemico mortale, perché non consentiva nulla 
di ciò che loro invece facevano".

Quello che le veniva contestato era il credere in Dio 
o la fedeltà al Papa?

"Il fondamento dell'atteggiamento dei miei accusatori era 
l'odio verso la fede in Dio e l'ateismo militante. In secondo
luogo c'era l'odio verso la Chiesa, i sacerdoti e i fedeli.
L'odio arrivava fino al Papa, nel quale vedevano un alleato 
dello scellerato imperialismo occidentale. A me durante il 
processo fu attribuita la colpa di "fedeltà al Papa". 
Risposi: "Io sono fiero di questa fedeltà". 
Durante l'istruttoria dissero a un prete: 
"Impiccheremo anche il vostro Papa"".

A partire dal 1963 sono cominciate le missioni degli emissari 
vaticani all'Est. E' l'inizio dell'Ostpolitik. Quali frutti 
ha portato?

"E' difficile dirlo. Podgornyj e Adzubej, genero di Krusciov,
sono stati ricevuti in udienza in Vaticano. Però, dopo la
scoperta dei delitti di Stalin, le chiese in Russia con 
Krusciov continuavano a essere demolite. Fu condannato 
soltanto un certo "culto della personalità". Tutto si è 
rivelato soltanto una farsa che in alcune parti del mondo 
continua a sussistere: penso alla Cina, alla Corea del Nord, 
a Cuba, al Vietnam. Com'è difficile che cambi qualcosa in 
quei Paesi. Il comunismo era ed à un sistema terribile di 
vita".

Il suo giudizio sull'Ostpolitik?

"I tentativi di contatti non avrebbero dovuto essere negativi. 
Sarebbe stato peggio fare dei compromessi su cose sostanziali 
della vita della Chiesa...".

Molti vescovi dell'Est, da Beran a Mindzenty a Wyszynski, 
hanno manifestato le loro perplessità per il fatto che 
questi tentativi passavano di fatto sopra le loro teste...

"Precisamente questo tocca già la sostanza della vita della 
Chiesa. Il primate di Polonia, Wyszynski, conosceva bene il 
comunismo e allo stesso tempo era aperto alla trattativa. 
Però non riusciva a sopportare che si facesse qualcosa sopra 
la sua testa. Nel nostro Paese à stato pericolosissimo il 
fatto che hanno gettato sul tappeto ciò che di più prezioso 
noi avevamo, cioè la cosiddetta Chiesa clandestina. Io stesso
ho ricevuto l'ordine di cessare di ordinare segretamente i 
sacerdoti. Per noi fu veramente una catastrofe, quasi come 
se ci avessero abbandonato, buttato via".

Che cosa fece?

"Ho obbedito. Questo però è stato il dolore più grande della 
mia vita. I comunisti, così, hanno avuto nelle loro mani la 
pastorale pubblica della Chiesa. Se qualche prete nella sua 
parrocchia si dedicava ai ministranti, veniva privato del 
consenso statale senza il quale nessun sacerdote poteva 
esercitare. La Chiesa era condannata a rinchiudersi negli 
edifici di culto e poi a spegnersi".

Che effetto ebbe l'Ostpolitik sulle vostre attività?

"La nostra speranza era la Chiesa clandestina, che 
silenziosamente collaborava con i preti nelle parrocchie e 
che formava dei giovani pronti al sacrificio: professori, 
ingegneri, medici, disposti a diventare preti. Io ne ho 
ordinati circa 120. Queste persone lavoravano in silenzio 
tra i giovani e le famiglie, pubblicavano di nascosto 
riviste e libri. In realtà l'Ostpolitik vendette questa 
nostra attività in cambio delle promesse vaghe e incerte 
dei comunisti".

Nel suo libro postumo Casaroli fa capire che all'epoca il 
comunismo si credeva invincibile e che dunque bisognava 
trattare per garantire almeno la sopravvivenza della Chiesa. 
Cosa pensa in proposito?

"Se il comunismo fosse durato cento anni, con quel metodo 
così inadeguato la Chiesa nel nostro Paese sarebbe sparita, 
come un tempo sparì nell'Africa del Nord. Era la Chiesa 
clandestina la nostra speranza. E invece le hanno tagliato 
le vene, hanno disgustato migliaia di ragazzi e di ragazze, 
di padri e di madri e tanti sacerdoti clandestini che erano 
pronti a sacrificarsi. Per fortuna dopo circa due anni ho 
ricevuto da Roma un contrordine: tutti i divieti venivano 
revocati, tutto tornava come prima. Allora però tante cose 
erano già state distrutte".

Qual era la sua idea sulla durata del comunismo?

"Non avevo le idee chiare. Proprio per questo cercavamo di 
organizzare le cose in modo che ci fossero nuovi sacerdoti, 
giovani fedeli ed entusiasti, perché si continuasse la 
catechesi nelle famiglie. C'erano professionisti che erano 
membri segreti delle comunità religiose: studiavano e al 
tempo stesso svolgevano la loro attività lavorativa. Questa 
era la speranza per il futuro ed era anche la prova che il 
Signore era con noi: si trattava di persone che avevano 
offerto tutto ed erano disposte a finire in carcere".

Com'era giudicata da voi la nomina di vescovi più "morbidi" 
verso il regime concordata con la diplomazia vaticana?

"Nelle nomine dei quattro nuovi vescovi del 1973 non era un 
problema il fatto che fossero "morbidi": a volte è bene che 
il vescovo non sia troppo duro. Il problema era che mentre 
i comunisti sapevano bene chi erano queste persone, i 
negoziatori vaticani non lo sapevano oppure lo sapevano ma 
non davano a questo grande importanza. In entrambi i casi 
un atteggiamento imperdonabile. Uno dei vescovi scelti era 
pubblicamente conosciuto come un uomo del regime, incapace, 
anzi senza la volontà di difendere la Chiesa e i fedeli 
dalla brutalità dell'ateismo. E altri due erano a tal punto 
sotto il potere del regime e della polizia segreta, che non 
erano in grado di opporvisi, neppure se lo avessero ritenuto 
giusto e necessario. E quindi da "ostaggi" del regime 
lasciavano correggere agli atei persino le loro lettere 
pastorali e le circolari destinate ai preti".

Come venivano accolti dai fedeli i prelati compromessi con 
il regime?

"Quando qualche amministratore diocesano, che non era vescovo,
veniva imposto dal governo e prestava servizio al regime con
animo servile, non era accolto dai fedeli e dai preti che 
potevano ignorarlo nelle cose non buone. Se però al suo 
posto arrivava un vescovo regolarmente nominato ma 
arrendevole, la vita dei preti e dei fedeli si complicava 
molto. Così la nomina dei vescovi del 1973, in pratica non 
ha portato nessun vero contributo alla nostra Chiesa".

Secondo lei perché à caduto il comunismo? Quale ruolo ha 
avuto l'Ostpolitik?

"Mi posso sbagliare. Ma penso che la caduta del comunismo sia 
stata complessa e abbia avuto più cause. La zelante Ostpolitik
avrà rappresentato l'uno per cento di questi motivi. Lo sforzo 
buonista della diplomazia continua ancora oggi. Ma perché la 
Cina à rimasta la Cina, il Vietnam è rimasto il Vietnam, e 
Cuba per lo più è rimasta Cuba? Per non parlare della Corea 
del Nord... Certamente, con la durezza della Chiesa si ottiene 
poco, mentre con la politica degli Stati si ottiene di più. 
Da noi ha pesato di più la fedeltà e il coraggio dei sacerdoti 
e dei fedeli, dei giovani e delle famiglie come anche degli 
ordini religiosi. I comunisti avevano una grandissima paura 
del coraggio, perché non lo potevano controllare. Era opera 
dello Spirito Santo".

Nell'89 si sono accese le speranze. Eppure in molti casi 
all'Est non à rinata la fede...

"Le speranze si sono accese veramente. Però non direi che la
libertà non ha comportato la rinascita. Nel corso di dieci 
anni del mio episcopato a Nitra ho ordinato circa 100 
sacerdoti.
Centinaia di laici hanno finito gli studi di teologia e ora
insegnano religione nelle scuole. Abbiamo nuovi seminari 
diocesani, le comunità religiose hanno rinnovato la loro vita 
e la loro attività. Abbiamo 140 scuole cattoliche e speriamo 
di avere presto anche un'università. Pubblichiamo riviste e 
libri, si sviluppano movimenti dei bambini, dei giovani, 
delle famiglie dei malati".

Qual è l'atteggiamento della Chiesa slovacca nei confronti 
della politica?

"La Chiesa incoraggia i laici a una partecipazione piena alla
vita pubblica. Però la Chiesa sta al di sopra della politica 
quotidiana. Io sono stato consapevole per tanti anni che non
ci salvano né la dialettica, né le idee rivoluzionarie, né 
la politica. Noi siamo salvati in Gesù Cristo, nella sua 
parola e nel suo sacrificio sulla croce. La Chiesa di Cristo
questo annuncia e di questo vive. Tutti i fedeli, in qualunque
luogo svolgano le loro attività, devono essere consapevoli di
queste verità e devono creare unità fino all'unità con il 
successore di Pietro".

© Il Giornale, 18-7-2000

 

 

 

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