Nella sua «Regola»
un antidoto agli egoismi e alle intolleranze dell'Occidente.
Pace, unità,
accoglienza, solidarietà, persona, lavoro:
ecco il «lascito» del santo per il terzo millennio.
SUBIACO. «Cerca
la pace e perseguila si legge nel prologo della
Regola benedettina. È uno dei tratti caratteristici
della regola. E uno
dei più attuali». A
ricordarlo, all'indomani della solennità di San Benedetto,
patrono d'Europa, è dom Mauro Meacci, l'abate dei
monasteri benedettini
di Santa Scolastica e del Sacro Speco di San Benedetto, a
Subiaco (Roma).
Quindici secoli
di storia europea possono spiegare il titolo di
patrono d'Europa? «Sicuramente
- risponde Meacci -.Perseguire la pace vuol dire non lasciarsi dividere in se stessi e non sviarsi nei
conflitti. Se è
vero per la vita di ognuno, lo è ancor più per la vita
delle nazioni e dell'Europa. Nella regola ci sono due
valori attuali
nell'Europa d'oggi: l'unità dentro la comunità, tra
le varie comunità e nella cristianità; il rispetto per
la persona, che
elimina ogni pretesa giustificazione di
discriminazione razziale o di classe».
La regola mette
in luce «ciò che manca alle civiltà occidentali: la modestia
della vita, l'accontentarsi del quotidiano, la
condivisione con l'altro, l'accoglienza e la cura dei
poveri e dei deboli». Nei
monasteri si coltivano i valori umani e la qualità di vita. La
rinuncia alle «soddisfazioni umane» rende libero il monaco. «E
l'uomo moderno». Questa
apertura agli altri comporta «la piena realizzazione
della persona e contrasta con l'individualismo oggi in
voga in Europa.
Preghiera,
solidarietà, fraternità, lavoro e concretezza di
vita - conclude Meacci -: ecco la lezione di San
Benedetto all'Europa di oggi».
Un parere
condiviso dall'abate di Monte Oliveto Maggiore
(Siena), Riccardo Tiribilli, per il quale centrale nella regola resta «il rispetto della dignità dell'uomo».
Il programma di vita benedettino «allarga la prospettiva
di coesistenza, fa intravvedere una società migliore,
stimola l'uomo a ritrovare unità ed equilibrio intorno
ai valori
evangelici». Ciò vale ancor più nell'anno giubilare.
«Il cammino di liberazione e di riconciliazione
giubilare invita
alla conversione. Nella sua carta di professione il
monaco si impegna alla conversione dei costumi,
all'obbedienza e alla stabilità al monastero. Allo
stesso modo l'uomo
viene chiamato a cambiare il proprio stile di
vita e diventare stabile, ovvero fedele, carattere troppo
spesso dimenticato ai nostri giorni».
«Il nostro impegno deve cercare di coniugare l'ora et
labora del patriarca Benedetto. Oggi assistiamo a un abbandono
della vita spirituale e contemplativa. Tutto è volto alla
"distrazione". L'uomo di oggi non ha più tempo
per riflettere e concentrarsi».
È l'analisi di Tarcisio Giovanni Nazzaro, abate di
Montevergine (Avellino), che propone di tornare «a confrontarsi
con la dimensione spirituale come insegna San Benedetto. La
preghieraè il luogo privilegiato di incontro e comunione dei
fratelli, luogo della coerenza e della unità. Ed è per questo
che il programma di
vita benedettino resta un polmone di spiritualità per tutto il
mondo e l'Europa in particolare».
Prova ne è
l'apertura sempre maggiore dei monasteri e delle abbazie
all'accoglienza di persone desiderose di preghiera
che vogliono ricapitolare la loro vita. «San Benedetto
è un profeta del quotidiano, dei gesti apparentemente
insignificanti, degli oggetti apparentemente senza
valore. Pur conservando il primato dello spirito, apprezza ogni
più piccola cosa, ogni umile lavoro». È il pensiero di Ludmila Grygiel, storica, esperta di
evangelizzazione dell'Europa e redattrice della rivista
Nuovo Areopago, nell'ultimo numero de Il Sacro Speco, la rivista
bimestrale dei benedettini di Subiaco, che celebra la solennità
di San Benedetto abate. In questo modo Benedetto insegna «una
fondamentale verità del
cristianesimo: che Dio è sempre presente». Secondo la Grygiel
il Santo di Norcia «si pone il compito di cambiare il mondo e
formare gli uomini e lo fa non attraversograndi programmi e
azioni, ma si concentra sul presente e loplasma verso il futuro».
Ma la più grande novità dell'insegnamento di san
Benedetto,secondo la Grygiel, sta nel concetto di lavoro. «Egli
sublima il lavoro elevandolo alla dignità di un atto personale,
liberamente deciso, non imposto da altri, un atto in cui l'uomo
esprime la sua fede e mostra i suoi talenti». Il lavoro,
manuale o intellettuale, acquista grande valore perché viene
considerato «uno strumento indispensabile per costruire
l'armonia della vita» e per avvicinarsi a Dio. «Il lavoro
salva l'uomo dall'accidia e lo riveste della dignità di
cooperatore del Creatore». Nessun contrasto, nel programma
benedettino, tra vita attiva e contemplativa. Tutto serve alla
glorificazione di Dio.
Come dice la
Regola. «Ogni cosa si venda sempre a prezzo più basso di
quello usato dai secolari, perché in tutto sia glorificato Dio».
È l'unica frase - afferma la Grygiel - che «parla
esplicitamente della glorificazione di Dio e ci si può
meravigliare che appaia nel discorso sulla vendita dei prodotti».
Questo dimostra - conclude - che «tutto nella vita monastica è
indirizzato a Dio e tutto serve alla sua glorificazione e alla
santificazione dell'uomo».
Daniele Rocchi
(c) Avvenire