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SE L'ESTETICA DIVENTA FRU FRU


Vittorio Morero
   
Da L'Avvenire del 21 Giugno



Non è la prima volta, e non sarà prevedibilmente l'ultima, che il filosofo-editorialista Gianni Vattimo presti la sua attenzione alla missione della Chiesa, oggi, al suo magistero etico, al suo modo di affrontare i problemi della vita quotidiana, e, in definitiva, al suo modo di essere e stare nella società.
Già a suo tempo egli aveva suggerito la strada maestra della carità, lasciando alla coscienza individuale di ciascuno, credente e non credente, lo spazio della più assoluta autonomia, come se la coscienza individuale non fosse il luogo della carità verso se stessi e gli altri o la percezione di sé e del mondo in cui essa, sia pur individualmente e in relazione, abita.
Su "La Stampa" di ieri Vattimo fa un passo avanti, affermando una cosa ovvia e cioè l'urgenza di un impegno della Chiesa ad annunciare il messaggio globale che offra a tutti "il senso, un senso, della nostra vita e una speranza per il futuro"; aggiungendo un particolare che sarebbe piaciuto ai teologi dell'estetica, (penso a Endokimov e a Van Balthasar), nel prospettare un modo estetico e cioè artistico di dire la verità, con "leggerezza", "delicatezza" e "amichevolezza".
Come dargli torto, se per "leggerezza" intendiamo quel giogo soave di cui parla Cristo stesso, o quello sforzo reciproco che il Vangelo suggerisce a noi credenti invitandoci a portare gli uni il peso degli altri? "Leggerezza" per dire sostanza ed essenzialismo? D'accordo.
Purtroppo questo approccio di Vattimo parte da una premessa che a noi sembra molto pesante, poco estetica e persino un po' volgare, in cui pastori, i direttori di spirito, i teologi stenteranno a riconoscersi. Volgare in senso di volgarizzazione di un'esperienza e di un approccio formativo che non abbandona mai i fondamentali che compongono un ideale cristiano e un'etica completa. Insomma, Vattimo parte dall'idea che la Chiesa sia oggi, al vertice e alla base, un'agenzia di moralismo casistico, cioè legata a quei tre o quattro casi di coscienza che nel loro dettaglio occuperebbero tutta la scena dell'annuncio o della testimonianza. Quando invece sappiamo che non è la Chiesa che inventa questa casistica, ma è la casistica che la società propone e su cui interpella la visione d'insieme di un'etica e quel senso della vita a cui Vattimo c'invita a provvedere.
Nell'analisi del filosofo torinese sembrerebbe che il Papa stesso stia all'interno di un laboratorio di etica sessuale e familiare perfino nell'apprestare la sua voce sul famoso preservativo eretto a caso eccelso di comportamento individuale. Eppure non ricordiamo da parte di di Giovanni Paolo II un cenno che fosse anche minimo a una tecnica del genere. Né il magistero etico è sceso a dibattere nei dettagli la tecnica genetica, ma piuttosto a ricordare come sia giusto e vero concedere alla vita ciò che la stessa vita reclama come finalità e procedura.
Un certo equivoco sta alla base di questa deformazione del filosofo torinese: ciò che egli stesso chiama all'inizio del suo intervento una specie di competizione tra Chiesa e Stato laico, come se fosse Chiesa più esteticamente valida e leggera quella che si indirizza solo alle coscienze individuali e non alle altre agenzie a cui gli individui affidano liberamente e responsabilmente la stabilità e la conduzione delle regole comuni. Non si comprende come possa chiamarsi ingerenza un annuncio che ha senso e valore universale. Ho l'impressione che la leggerezza "estetica" a cui Vattimo alluda consista essenzialmente nel dire che la vita è bella, vale la pena viverla, i sentieri sono coperti di fiori, la libertà individuale è ciò che uno desidera, non importa se il nostro desiderio offende quello degli altri, i problemi si risolvono da soli, senza approfondimento alcuno, ché anzi approfondire potrebbe diventare troppo pesante e antiestetico.
Non credo che l'attuale magistero della Chiesa non abbia conservato la freschezza delle parabole evangeliche e la bellezza delle Beatitudini. Basterebbe documentarsi con più pazienza e non costruire analisi pregiudiziali. La Chiesa ama la vita, è nella vita, prima ancora che nella storia e per la storia.
Vittorio Morero

 

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