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Giuseppe Anzani



Un ministro di sanità che chiama carità il dare la morte (a volte, dice, l'eutanasia è un atto di carità) può essere scusato di non sapere quel che dice, perché non è obbligatorio per fare il ministro essere esperto nelle virtù teologali, al cui novero appartiene la carità. Ma quando il ministro, di fronte al caso di Eluana in coma da otto anni, dice che va trovata una soluzione "per questi morti viventi", offende la dignità umana di viventi che non sono morti, umilia la funzione del ministero che occupa e che si chiama "della sanità", e ignora la scienza che professa che è quella della medicina.
Con questo, non ho nessuna voglia di tenere a fuoco una polemica sulle opinioni o sugli strafalcioni. Quel che ho in mente sono due volti: il primo è quello di Eluana, occhi aperti e smarriti, senza coscienza, in uno stato che i neurologi chiamano "vegetativo"; l'altro è quello del suo papà, nel momento in cui chiede che quegli occhi si chiudano, si chiudano per sempre. Qui è il dramma e qui m'inchiodo a pensare. Il volto del ministro sta, al paragone, su uno sfondo scialbo; come altri volti, del resto, come altre sigle di Comitati e di Consulte, di indecifrata legittimazione.
Eluana è viva. Respira con i suoi polmoni, il suo cuore batte, i suoi organi funzionano, la sua vita non è legata a una macchina. Non c'è nessuna spina da staccare o da lasciare attaccata. Il suo cervello non è vigile, ma non è spento. Mantiene intatte le funzioni vegetative, e occorre al corpo solo l'idratazione e il nutrimento. I pazienti come Eluana non sono dei morti, ministro, non sono neanche dei morienti: sono semplicemente dei pazienti. Questa è la prima verità. Occorre la carità di un po' d'acqua, la carità di un po' di cibo. Col sondino, si capisce, perché non sono svegli. Ma perché non si svegliano è una ragione sufficiente per negare un po' d'acqua, un po' di cibo? La "carità" di un po' d'acqua e un po' di cibo?
Cominciamo da qui l'esercizio della sincerità. Una sincerit à scientifica, quando si tratta di intendere concetti come malattia e terapia. Una sincerità umana, affettuosa vorrei dire, quando si tratta di aprirsi alla comprensione del dolore, dello spossamento, della disperazione del cuore del suo papà. Una sincerità proiettata verso la comprensione dei "significati" che le vicende e le condotte umane evocano di per sé; perché niente è per l'uomo "la stessa cosa" se non la rischiara e non la infiamma il suo senso. Per prima cosa, allora, la scienza ci dirà che il cibo e l'acqua non sono un trattamento farmacologico: il cibo e l'acqua non si rifiutano a nessuno. Il cibo e l'acqua non sono un "accanimento terapeutico", sono il sostentamento minimo della vita; farli mancare apposta, quello sì sarebbe uccidere per fame e per sete.
Nella sincerità, dunque, cambiamo argomento; e parliamo apertamente di quel che c'è in fondo al cuore, con la sua oscurità dolente. C'è chi dice che la vita di Eluana è dimezzata, è infelice; che è disumana, è "indegna" di essere vissuta. Questo è un punto importante da decifrare; questa sorta di bivio decisionale, tra vita degna e vita indegna, può essere il cuore dell'equivoco, il punto di perversione dell'intenzione virtuosa. Chi affronta questo bivio drammatico con onestà intellettuale, subito riconosce che nessuna protervia può farci arbitri della dignità della vita d'un altro uomo vivente. Di fronte ai casi dello stato vegetativo permanente di pazienti in coma, il Comitato nazionale di Etica della Francia, nel 1986, diceva: "Sono esseri umani che hanno tanto più diritto al rispetto dovuto alla persona umana in quanto si trovano in uno stato di grande fragilità".
Penso allora al significato del gesto di chi, giorno per giorno, dà a Eluana quel po' d'acqua e di cibo che la fa vivere. Dare nutrimento, da che mondo è mondo, è il gesto più concreto e più simbolico che esista, fra gli umani. Il più concreto e materiale, per la sopravvivenza fisica; ma anche il più simbolico per esprimere, far capire e comunicare la "cura" che l'uno si prende dell'altro. Come la madre, come il padre. Come il fratello per il fratello. Il significato simbolico della nutrizione rappresenta così l'espressione di fare per il malato ciò che è in nostro potere per aiutarlo. Per dirla con l'eticista J. Boyle, dell'università di Toronto, "i legami della solidarietà interumana non sono meramente psicologici, ma sono realtà morali. I pazienti in coma sono curati proprio per mostrare rispetto alla loro natura umana". Ciò significa, per noi, fare quanto è in nostro potere per aiutarli, per restare in solidarietà con loro. C'è una precisa relazione fra il desiderio del soccorso e il sentimento umano della "venerazione" per l'essere umano che ci è prossimo.
Io so bene che è difficile affrontare il dolore ammettendo che esso è realtà. So che la pena degli altri ci può trafiggere più che la nostra pena. So quanto questo affatichi la vita. Ma il fantasma di un progetto "sapiente" che liberi la vita da queste pene mediante la programmata pratica della morte mi sembra una insania, una disumanità, nel momento stesso che esso abiura la "cura", cioè l'essenza dell'umanità della vita. I morti viventi che più ci inquietano sono i viventi che disegnano l'orizzonte della morte sui confini dell'incapacità di amare.


Giuseppe Anzani


 

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