Un ministro di sanità che chiama carità il dare la morte (a
volte, dice, l'eutanasia è un atto di carità) può essere
scusato di non sapere quel che dice, perché non è obbligatorio
per fare il ministro essere esperto nelle virtù teologali, al cui
novero appartiene la carità. Ma quando il ministro, di fronte al
caso di Eluana in coma da otto anni, dice che va trovata una
soluzione "per questi morti viventi", offende la dignità
umana di viventi che non sono morti, umilia la funzione del
ministero che occupa e che si chiama "della sanità", e
ignora la scienza che professa che è quella della medicina.
Con questo, non ho nessuna voglia di tenere a fuoco una polemica
sulle opinioni o sugli strafalcioni. Quel che ho in mente sono due
volti: il primo è quello di Eluana, occhi aperti e smarriti,
senza coscienza, in uno stato che i neurologi chiamano
"vegetativo"; l'altro è quello del suo papà, nel
momento in cui chiede che quegli occhi si chiudano, si chiudano
per sempre. Qui è il dramma e qui m'inchiodo a pensare. Il volto
del ministro sta, al paragone, su uno sfondo scialbo; come altri
volti, del resto, come altre sigle di Comitati e di Consulte, di
indecifrata legittimazione.
Eluana è viva. Respira con i suoi polmoni, il suo cuore batte, i
suoi organi funzionano, la sua vita non è legata a una macchina.
Non c'è nessuna spina da staccare o da lasciare attaccata. Il suo
cervello non è vigile, ma non è spento. Mantiene intatte le
funzioni vegetative, e occorre al corpo solo l'idratazione e il
nutrimento. I pazienti come Eluana non sono dei morti, ministro,
non sono neanche dei morienti: sono semplicemente dei pazienti.
Questa è la prima verità. Occorre la carità di un po' d'acqua,
la carità di un po' di cibo. Col sondino, si capisce, perché non
sono svegli. Ma perché non si svegliano è una ragione
sufficiente per negare un po' d'acqua, un po' di cibo? La
"carità" di un po' d'acqua e un po' di cibo?
Cominciamo da qui l'esercizio della sincerità. Una sincerit à
scientifica, quando si tratta di intendere concetti come malattia
e terapia. Una sincerità umana, affettuosa vorrei dire, quando si
tratta di aprirsi alla comprensione del dolore, dello spossamento,
della disperazione del cuore del suo papà. Una sincerità
proiettata verso la comprensione dei "significati" che
le vicende e le condotte umane evocano di per sé; perché niente
è per l'uomo "la stessa cosa" se non la rischiara e non
la infiamma il suo senso. Per prima cosa, allora, la scienza ci
dirà che il cibo e l'acqua non sono un trattamento farmacologico:
il cibo e l'acqua non si rifiutano a nessuno. Il cibo e l'acqua
non sono un "accanimento terapeutico", sono il
sostentamento minimo della vita; farli mancare apposta, quello sì
sarebbe uccidere per fame e per sete.
Nella sincerità, dunque, cambiamo argomento; e parliamo
apertamente di quel che c'è in fondo al cuore, con la sua oscurità
dolente. C'è chi dice che la vita di Eluana è dimezzata, è
infelice; che è disumana, è "indegna" di essere
vissuta. Questo è un punto importante da decifrare; questa sorta
di bivio decisionale, tra vita degna e vita indegna, può essere
il cuore dell'equivoco, il punto di perversione dell'intenzione
virtuosa. Chi affronta questo bivio drammatico con onestà
intellettuale, subito riconosce che nessuna protervia può farci
arbitri della dignità della vita d'un altro uomo vivente. Di
fronte ai casi dello stato vegetativo permanente di pazienti in
coma, il Comitato nazionale di Etica della Francia, nel 1986,
diceva: "Sono esseri umani che hanno tanto più diritto al
rispetto dovuto alla persona umana in quanto si trovano in uno
stato di grande fragilità".
Penso allora al significato del gesto di chi, giorno per giorno, dà
a Eluana quel po' d'acqua e di cibo che la fa vivere. Dare
nutrimento, da che mondo è mondo, è il gesto più concreto e più
simbolico che esista, fra gli umani. Il più concreto e materiale,
per la sopravvivenza fisica; ma anche il più simbolico per
esprimere, far capire e comunicare la "cura" che l'uno
si prende dell'altro. Come la madre, come il padre. Come il
fratello per il fratello. Il significato simbolico della
nutrizione rappresenta così l'espressione di fare per il malato
ciò che è in nostro potere per aiutarlo. Per dirla con l'eticista
J. Boyle, dell'università di Toronto, "i legami della
solidarietà interumana non sono meramente psicologici, ma sono
realtà morali. I pazienti in coma sono curati proprio per
mostrare rispetto alla loro natura umana". Ciò significa,
per noi, fare quanto è in nostro potere per aiutarli, per restare
in solidarietà con loro. C'è una precisa relazione fra il
desiderio del soccorso e il sentimento umano della
"venerazione" per l'essere umano che ci è prossimo.
Io so bene che è difficile affrontare il dolore ammettendo che
esso è realtà. So che la pena degli altri ci può trafiggere più
che la nostra pena. So quanto questo affatichi la vita. Ma il
fantasma di un progetto "sapiente" che liberi la vita da
queste pene mediante la programmata pratica della morte mi sembra
una insania, una disumanità, nel momento stesso che esso abiura
la "cura", cioè l'essenza dell'umanità della vita. I
morti viventi che più ci inquietano sono i viventi che disegnano
l'orizzonte della morte sui confini dell'incapacità di amare.
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