Il volume n. 38 della
collana "Quaderni de L'Osservatore Romano", che ha come
titolo "Antropologia cristiana e omosessualità", propone
un insieme di commenti di alcuni esperti nell'ambito delle diverse
discipline interessate: psicologiche, giuridiche,bibliche e pastorali.
Questi saggi,
presentati dal professore Giuseppe Dalla Torre, sono stati
originariamente pubblicati, nei mesi di marzo-aprile 1997, in
articoli su L'Osservatore Romano.
La prima edizione del
volume fu subito esaurita.
Bisogna ringraziare
l'editore che, con la ristampa del "Quaderno", pone
nuovamente a disposizione del pubblico questo prezioso materiale.
Per le persone in
particolare, ma anche per la società e l'ordine giuridico, le
questioni legate all'omosessualità rivestono una gravità che non
sfugge a nessuno.
Su questo argomento
complesso, spesso doloroso, le provocazioni e la turbolenza delle
passioni non fanno che aumentare la confusione già grande.
La raccolta di saggi
ha il merito di sollevare le vere problematiche e di proporre
orientamenti ispirati all'antropologia cristiana.
Inoltre, essa
rappresenta un valido strumento di riflessione e una guida prudente
per la maturazione di eventuali decisioni.
*
* *
Una prima serie di
problemi riguarda la persona con tendenze omosessuali.
Questi problemi
accennano alla genesi dell'omosessualità, che resta ancora
misteriosa e, comunque, non rispetta uno schema univoco.
Altri problemi sono di
natura psicologica e relazionale.
Ma l'interpretazione
dei problemi e la qualità delle risposte che si cerca di dare ad
essi sono inserite nel contesto di un certo numero di concezioni
antropologiche fondamentali.
Queste concezioni, se
convenientemente approfondite, si rivelano veramente liberatrici.
La Lettera, pubblicata
dalla Congregazione per la Dottrina della Fede in data 1° ottobre
1986 sulla cura pastorale delle persone omosessuali, aveva enunciato
un principio-base: "La
persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, non può
essere definita in modo adeguato con un riduttivo riferimento al
solo suo orientamento sessuale...; ognuno ha la stessa identità
fondamentale: essere creatura e, per grazia, figlio di Dio, erede
della vita eterna".
In altre parole, la
persona trascende la sua sessualità; quindi, non può lasciarsi
imprigionare da essa.
A questo primo livello
ontologico, tutti gli esseri umani, in quanto persone, hanno gli
stessi diritti.
Tutti hanno diritto al
rispetto, nessuno deve essere oggetto di discriminazione o
disprezzo.
Il rispetto si
esprimerà già con il linguaggio: si parlerà di persone
omosessuali e si eviteranno appellativi che inquadrino le persone in
una categoria: omosessuali, lesbiche.
Spetta alla persona
rispondere liberamente alla vocazione alla filiazione divina e alla
vita eterna.
Su questo cammino di
eternità, la legge morale - legge naturale e legge evangelica - le
recano luce e guida. Dalla vocazione alla santità nessuno è
escluso, così come nessuno è esonerato dalle esigenze della legge
morale che sono esigenze di libertà.
Questa vocazione
primaria costituisce l'orizzonte di ogni vocazione specifica.
Quindi, è in rapporto
a quest'orizzonte che si comprende il senso della sessualità umana.
Troviamo qui il
secondo dato importante.
Creando l'essere umano
a sua immagine e somiglianza, Dio lo creò come maschio e femmina.
La distinzione dei
sessi fonda un rapporto di complementarietà che si realizza proprio
nel matrimonio monogamico indissolubile,aperto alla prole.
Nel matrimonio si
verifica, in conformità al disegno divino, un dialogo privilegiato.
Mediante la reciproca
donazione sponsale, i coniugi cooperano con Dio nella trasmissione
della vita.
Per i battezzati,
questa relazione unica è stata elevata da Cristo alla dignità di
sacramento. In questa prospettiva, si capisce la grandezza della
vocazione alla paternità e alla maternità.
*
* *
Ma la conseguenza di
quanto precede non è forse l'esclusione crudele delle persone
omosessuali e la loro inevitabile emarginazione?
In realtà non è così,
e ciò per una duplice ragione.
La prima si connette
con l'articolazione tra la vocazione primaria di ogni persona alla
vita divina e la vocazione specifica al matrimonio.
Quest'articolazione
non è tale da significare per tutti una necessità.
La vocazione alla vita
divina è trascendente in confronto ad ogni altra, non certo perché
vi si opponga, ma perché costituisce il principio supremo
d'integrazione di ogni chiamata particolare, che trova lì la
pienezza del suo senso.
È significativo il
fatto che la Chiesa, la quale non cessa di sottolineare la grandezza
della paternità e maternità nel matrimonio, allo stesso tempo
incoraggia le vocazioni alla vita consacrata e al celibato.
In queste, infatti,
essa riconosce una testimonianza resa all'attesa del Regno e alla
radicalità delle sue esigenze.
Né va dimenticato che
gli uomini e le donne che rinunciano per il Signore al carico e alle
gioie familiari, hanno una disponibilità maggiore per essere vicini
a tutti quelli che soffrono l'abbandono, il disprezzo e la
solitudine.
Nella pastorale
quotidiana, più di una persona omosessuale ha trovato presso un
sacerdote o una persona consacrata ascolto e conforto.
La seconda ragione è
che l'uso della facoltà sessuale deve essere regolato dalla virtù
di castità.
Le esigenze di questa
virtù s'impongono a tutti: ai
giovani, alle coppie sposate, ai singoli, alle persone consacrate.
Le modalità di
esercizio della castità variano, certo, a seconda dello stato di
vita; gli atti legati alla genitalità sono moralmente leciti solo
all'interno del matrimonio, nel quale il loro esercizio resta
comunque regolato da questa stessa virtù di castità.
Fuori dal matrimonio,
tali atti sono privi di rettitudine morale; risultano cioè di
natura peccaminosa, essendo opposti, come tali, all'autentica
realizzazione del soggetto.
Appare qui
l'importanza della distinzione tra orientamento omosessuale e atti
omosessuali.
Il primo non è da
imputare alla persona che lo scopre in sé.
Gli atti, invece, in
contrasto con la regola morale, se sono posti deliberatamente e
volontariamente, costituiscono peccato.
La fedeltà alle
esigenze di una vita casta può essere difficile e richiedere
sacrifici. Ma difficile non vuol dire impossibile.
Chi ricorre con
fiducia alla preghiera e ai sacramenti può lottare vittoriosamente
contro le tentazioni, e le vittorie che riporta sono fonte di gioia
spirituale.
È vero che, nella
nostra civiltà erotizzata, molte sirene insinuano che resistere a
pulsioni considerate irresistibili può provocare squilibri
psichici.
Ma ciò significa non
vedere quanto la persona possa crescere assumendo coraggiosamente le
sue responsabilità e dominando le proprie spinte istintive. Già la
ragione filosofica lo intuisce; alla luce della fede, poi, questa
lotta della libertà prende una nuova dimensione.
Il documento al quale
mi riferisco (Lettera sulla cura pastorale delle persone
omosessuali, n. 12) lo rileva.
La persona omosessuale
che cerca di seguire il Cristo è chiamata a realizzare la volontà
di Dio nella sua vita, unendo al sacrificio della croce del Signore
ogni sofferenza e difficoltà che possa sperimentare a motivo della
sua condizione.
Per il credente, la
croce è un sacrificio fecondo, poiché dalla morte di Gesù
provengono la vita e la redenzione.
Se questo
atteggiamento sarà deriso, non si dimentichi che questa è la sorte
riservata a tutti i discepoli di Cristo.
Una vita segnata
dall'omosessualità, quindi, non è condannata alla sterilità.
Può dare frutti
spirituali e
aprirsi al
servizio efficace
del prossimo.
I problemi legati
all'omosessualità devono essere in primo luogo considerati a
livello della persona, senza ignorare il peso di sofferenza e di
solitudine che essi comportano.
*
* *
Tuttavia, non si può
ignorare la dimensione socio-politica.
Come ricorda la
raccolta di saggi a cui s'è fatto cenno trattando dei comportamenti
contrastanti di Atene e Roma, lungo il corso della storia le società
non hanno reagito tutte allo stesso modo ad un problema che
probabilmente è sempre esistito.
Perché, oggi, esso ha
assunto le caratteristiche che conosciamo nelle società
occidentali, dove movimenti che
raggruppano persone omosessuali rivendicano, in nome
dell'uguaglianza, un riconoscimento pubblico e giuridico della loro
unione?
Oltre al diritto di
successione, questi gruppi vogliono la legalizzazione delle loro
unioni sul modello del matrimonio e il diritto all'adozione per le
coppie così costituite.
Queste rivendicazioni
suggeriscono due tipi di osservazioni.La prima osservazione riguarda
la diagnosi.
Queste rivendicazioni
s'impongono in generale con virulenza, perché sono rette
dall'ideologia dominante: il liberalismo filosofico, che fa causa
comune con l'individualismo.
L'uomo è concepito
come un individuo autonomo, la cui prerogativa essenziale è la
libertà; con ciò s'intende innanzitutto la capacità di disporre
di sé e di soddisfare i propri desideri.
In questa prospettiva,
non si vede come la sessualità s'integri in una vocazione alla
comunione delle persone.
Quel che resta è solo
il diritto dell'individuo all'esercizio della facoltà sessuale.
La crisi del
matrimonio, che oggi constatiamo, è una delle conseguenze di questa
ideologia. La stessa logica individualista favorisce le
rivendicazioni dei movimenti omosessuali.
Si comprende, ed è la
nostra seconda osservazione, perché la Chiesa si opponga
risolutamente ad un tale modo di pensare.
Lo fa, ovviamente, con
le armi che le sono proprie, cioè con la persuasione rispettosa
delle persone, ma lo fa coraggiosamente, perché tale concezione,
nella sua logica, può solo portare alla distruzione del matrimonio
e della famiglia.
Il problema è di una
gravità estrema e bisogna sperare che i legislatori e i governi,
sostenuti da un'opinione pubblica illuminata, siano in grado di
valutarne in tempo l'importanza.
Infatti, la famiglia
è alla base di tutta la vita sociale, di cui assicura la stabilità;
in modo forse ancor più decisivo, essa garantisce la qualità e
l'autenticità delle relazioni interpersonali.
Il suo ruolo
pedagogico è insostituibile.
Che se ne abbia
coscienza o meno, l'ideologia individualista sostituisce alle
relazioni di autodonazione reciproca e di apertura generosa alla
vita, relazioni narcisiste.
Rivendicare per delle
coppie omosessuali o per delle unioni di fatto diritti equivalenti o
simili a quelli del matrimonio e della famiglia, vuol dire
sconvolgere la stessa essenza di queste istituzioni, nelle quali si
riflette il disegno del Creatore.
È compito dei
credenti testimoniare la verità dell'affermazione della Gaudium et
spes (n. 12, 4): l'unione dell'uomo e della donna nel matrimonio
"costituisce la prima forma di comunione di persone".
"La prima": sono riconosciute, dunque, altre forme di comunione, purché
non in contrasto con quella, che resta paradigmatica.
È, del resto, nella
famiglia che i cuori vengono educati al senso autentico
dell'accoglienza.
P.
GEORGES COTTIER, O.P.
Teologo della Casa
Pontificia
(©L'Osservatore
Romano - 3/4 Luglio 2000