EUTANASIA
- L'ultima domanda
Un "gesto
provocatorio in contrasto con la legislazione vigente":così
Salvino Leone, dell'Istituto siciliano di Bioetica, definisce la
decisione del consiglio comunale di Torino, che avrebbe approvato un
documento a favore dell'eutanasia "passiva e attiva",
compresa "l'assistenza al suicidio".
Il Sir ha chiesto una
riflessione al prof. Leone su queste e altre questioni legate alla
"dolce morte", tra cui il caso di Eluana Ungano - la
ragazza in coma da otto anni di cui hanno parlato di recente le
cronache - e le dichiarazioni del Ministro della Sanità, Umberto
Veronesi, che ha definito l'eutanasia "un atto di carità",
riaprendo il dibattito su una legge in materia.
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Sul piano della
fenomenologia etico-sociale possiamo dire che ogni decennio
concentri la sua attenzione su un grande tema mobilitante i
movimenti di opinione, gli interessi della stampa, le normative di
legge, la riflessione teoretica, il pensiero ecclesiale, ecc.
Così, ad esempio, gli
anni '60 sono stati caratterizzati dall'esplosione del mondo
giovanile; gli anni 70 dai problemi della donna; gli anni '80 dal
tema dell'aborto; gli anni '90 dalla riproduzione assistita e dalle
manipolazioni genetiche.
Il decennio appena
inaugurato si preannunzia già contrassegnato dalla riflessione sui
vari aspetti della morte e del morire.
Sicuramente si parlerà
di eutanasia ma anche di accanimento terapeutico; sarà interpellata
la medicina e la possibile "discutibilità" di alcune sue
conquiste; l'Unione europea sta già preparando linee-guida
sull'assistenza al grande immaturo; e certamente, in ambito
ecclesiale, si tornerà a parlare di escatologia.
D'altra parte il
clamore suscitato dalle richiesta del padre di una ragazza in coma,
dalle proposte del ministro Veronesi o dalle deliberazioni del
comune di Torino è assolutamente indicativo di questo clima
culturale.
In esso credo che si
debba "partire col piede giusto" evitando fraintendimenti
e confusione a cominciare da quelli di ordine semantico.
Bisognerà
innanzitutto capire cos'è realmente l'eutanasia,superando
definitivamente le ambigue dizioni di attiva e passiva.
Quest'ultima
semplicemente non esiste perché o si tratta di eutanasia (senza
ulteriori aggettivazioni) o si tratta di interventi di lecita
astensione terapeutica che nulla hanno che vedere con l'eutanasia
propriamente detta.
In
secondo luogo si dovrà evitare la pietizzazione del problema
enfatizzando (i pur veri e drammatici) "casi pietosi" in
cui la nobiltà di una condivisibile motivazione viene identificata
con la legittimità del mezzo impiegato, un po' come dire che per
risolvere il problema della fame nel mondo (reale, drammatico,
emotivamente coinvolgente) basterebbe eliminare i soggetti che hanno
fame.
Esempio paradossale,
certo, ma che rende l'idea di una strumentalità operativa
assolutamente dissonante dalla condivisibilità dell'intenzione.
Ancora occorre
sottolineare con forza il concetto di proporzionalità delle cure
pienamente accettato dall'etica laica ma anche da quella cattolica
che l'ha fatto suo nella Dichiarazione sull'eutanasia della
Congregazione per la dottrina della fede che, pur essendo del 1980
è sempre attuale anche se poco attualizzata).
Se realmente si
applicasse tale criterio si eviterebbero non solo tanti inutili
accanimenti terapeutici ma anche tante (successive) richieste di
eutanasia.
In ogni caso bisogna
aver chiaro che l'eutanasia stessa non è mai semplice
"richiesta di morte" quanto piuttosto "richiesta di
senso", cioè domanda di un perché al proprio soffrire o al
soffrire di un proprio congiunto al quale non si riesce a dare
adeguata risposta.
Dare tale risposta non
è compito del medico, quantomeno non esclusivamente suo, ma di
tutti.
La morte in quanto
tale è realmente un non-senso in quanto trae significato da quello
che c'è prima e da quello che c'è dopo.
Il prima è la vita
che è stata vissuta per cui il morire ne diventa l'epilogo e,
indipendentemente dalle modalità con cui la morte sopraggiunge, si
muore come si è vissuto.
Ma trae senso anche da
quello che le sta innanzi e che solo in un orizzonte di fede può
essere colto nella sua compiutezza.
Si diceva prima
dell'urgente rilancio dell'escatologia cristiana che, oggi, non
assume più il significato di una riflessione puramente dogmatica ma
acquista fondamentali risvolti etici e pastorali.
Non saranno i tormenti
dell'inferno a esserne il centro né le anime che fanno capolino tra
le fiamme del purgatorio quanto piuttosto il suo correlarsi alla
Resurrezione e alla nuova esistenza corporeo-spirituale che si
inaugura.
E volendo spingerci
ancora più in là, in un terreno forse ancora inesplorato, possiamo
dire che se da un lato secoli di tradizione moral-teologica ci hanno
abituati a vedere la vita fisica come dono di Dio da non ostacolare,
forse è venuto il tempo di rivalutare come dono di Dio anche la
morte.
Con le implicanze di
ordine etico-normativo che tutto questo può comportare.
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