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Assurdi revival laicisti

Truccarsi da vittime e schiaffeggiare meglio

Gianfranco Garancini

Sembra che da qualche settimana a questa parte tutte le occasioni siano buone, da parte di taluni laicisti, per segnare sdegnoso distacco quando non camuffata superiorità nei riguardi dei cattolici; per ribadire altresì che, comunque, in questa repubblica «laica» e (ohibò) «indipendente» qualsiasi cosa dica la Chiesa è (ohibò) «intrusione negli affari interni dello Stato»; per far sapere, ancora, ai cattolici che, se possono parlare e dir la loro, è perché essi sono benevolmente tollerati, a patto che mantengano l'espressione della loro fede nell'ambito privato e non s'azzardino a dir nulla per quel che riguarda il «pubblico». E qual migliore occasione - dopo un Giubileo che sta sempre più dimostrando non solo e non tanto la sua «presa» popolare, ma anche e soprattutto che il cattolicesimo ha ancora (ohibò) qualcosa da dire sugli uomini e sul mondo - del 130° anniversario della presa di Porta Pia? Quale migliore occasione per riaffermare di fronte al «moderatismo bigotto» - termine che ci sembra tanto parente di quel «clericalume» contro il quale un certo Benito rivolgeva i suoi fiammeggianti strali - che non si può tollerare l'«inopportuna ingerenza della Chiesa negli affari interni del Paese»? Oh, che confusione. Il cardinale Ruini, presidente della Conferenza episcopale italiana, si è «permesso» di esprimere un suo giudizio critico nei confronti dell'operato di un ministro della Repubblica (anzi, come il «prestigioso commentatore» si picca di precisare, dello Stato italiano); e perpetra altresì questo reato di lesa maestà in vista del giorno celebrativo di quel tale anniversario: l'occasione non può essere più ghiotta per ricordare al volgo «che cosa si intende per separazione fra Chiesa e Stato». La confusione è palese: il cardinal Ruini parla da italiano, da cittadino di questa repubblica, i cui diritti non solo di espressione ma altresì di libertà religiosa sono sanciti dalla Costituzione repubblicana, per rendere possibile la quale non pochi cattolici hanno dato anche il loro sangue; non parla certo come rappresentante di una «potenza» (ohibò) straniera che si voglia ingerire negli affari, anzi nella «sovranità» (ohibò) dello Stato. Fare in maniera così palese di tutt'erba un fascio (absit iniria verbo) non crediamo che sia frutto di ignoranza, né crediamo altresì che sia conseguenza di esagerazione polemica. Abbiamo troppo rispetto per l'intelligenza degli italiani - e (ohibò) altresì per l'intelligenza dell'«autorevole commentatore» - per crederlo. Crediamo, invece, che la polemica innescata (pare) a freddo su alcune (libere e pacate) dichiarazioni di dissenso di un cittadino italiano, seppur autorevole e seppur cattolico, abbia altri significati e altri obiettivi. Altri significati: i cattolici, nello Stato risorgimentale e «laico», ricordino sempre di essere tollerati , fintanto che stanno al loro posto e compiono le loro pratiche senza disturbare il manovratore; altri obiettivi: l'enclave vaticana non è altro che un accidente della storia, frutto di un Trattato del Laterano che fu soltanto opportunità politica a imporre di sopportare, ma di questo staterello gli eredi dello «spirito» risorgimentale e «laico» farebbero volentieri a meno. È giocoforza, per questi laici, in ossequio al talvolta faticosamente applicabile principio della libertà di espressione, tollerare che anche i cattolici dicano la loro; è altesì giocoforza, dall'altra parte, che facciano buon viso all'ormai consolidata esistenza nel consesso internazionale della Città del Vaticano, come - seppur minuscolo - Stato sovrano. Non vorremmo, però, rinunciare, da una parte, alle nostre prerogative, ai nostri diritti (e altresì ai nostri doveri) di cittadini italiani a tutto tondo; né vorremmo, dall'altra parte, che qualcuno pensasse - parliamo in modo figurato - di potere riaprire (centotrent'anni dopo!) una nuova questione romana, anzi una farsa della prima, tentando - dopo la breccia di Porta Pia - una «breccia di Sant'Anna», che - come si sa - è uno dei varchi che immettono nel minuscolo Stato Vaticano d'oggi. Si rievocherebbe la storia per intimorire gli interlocutori d'oggi. C'è una leggerezza concettuale e lessicale in giro e nelle tv - sì, anche nelle tv e nei Tg di Stato - che fa impressione. Una spavalderia tracotante che fa strame di qualsiasi galateo civile. Un vittimismo così recitato e eccentrico da mostrare a occhio nudo le cordicelle. Questi signori fingono di doversi lamentare ma solo per assestare impuniti i loro ceffoni. Forse credono che i cittadini siano scemi. Gianfranco Garancini

 

 

 

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