CRITICA  LOCALE

LA  LETTERA  DI  RALPH  NADER

( nostra esclusiva la versione italiana )

 [31 Dicembre 2009]

Distribuitela, grazie

Sui liberali americani in crisi con Obama*

Di Ralph Nader

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Quei membri super speranzosi e super resistenti dell’intelligentzia liberale iniziano a staccarsi dal più piccolo e peggiore pensiero che mutò le loro valutazioni di B. Obama nella campagna presidenziale del 2008.

Essi credono ancora che il Presidente sia molto meglio di quello che sarebbe stato la sua controparte repubblicana.

Alcuni credono che prima o poi, in qualche luogo, Obama mostrerà i suoi galloni liberali.

Ma non si pensi che essi staranno lealmente in silenzio davanti all’escalation della guerra in Afganistan, al vicino collasso dei provvedimenti chiave nella riforma assicurativa sanitaria, alla modest riforma finanziaria o all’obbedienza agli speculatori di Wall Street salvati nel 2009. Ricordate che tale amministrazione prevede più facilmente bonus per i gatti grassi che investimenti adeguati in lavori pubblici.

Tra tutti i lealisti, tra i primi a “smarrirsi” ci fu Bob Herbert, editorialista del The New York Times.

Lui si meravigliò perché i suoi amici gli dissero che Obama tratta le loro cause e loro “come se essi non avessero un posto dove andare”.

Poi ci fu l’Obamiano risoluto, l’intelligente G. Wills che ruppe con Obama per l’Afganistan con un saggio duro di ammonizione.

Se voi leggeste la raccolta quindicinale delle analisi e degli editoriali liberali e progressisti sul The Progressive Populist, una delle mie pubblicazioni favorite: i guanti di velluto verbale stanno sparendo.

Jim Hightower scrive che “Obama ci sta affondando ‘nell’Assurdistan’.”

Egli si lamenta: “Avevo sperato che Obama fosse un capo più vigoroso che potesse rifiutare il solito vecchio approccio interventista di quelli che approfittano della guerra permanente. Ma la sua politica afgana annunciata  di nuovo mostra che lui non è quel capo”.

Chiediamo da dove il buon “Jim trae quella impressione” certamente non da qualcosa che Obama disse o non disse nel 2008.

Ma la speranza offusca la memoria della verità atroce che è quella che Obama si impegnò per Wall Street e il complesso militare industriale sin dall’inizio.

Egli ricevette il loro messaggio e fa sempre la corte ai loro contributi elettorali e ai consiglieri!

Norman Solomon espresse la sua forte deviazione dalla sua ammirazione antica per il politico di Chicago.

Lui scrive: “Il Presidente Obama accettò il Nobel per la Pace del 2009 mentre mandava” al mondo reale “un discorso a favore della guerra. Il contesto trasformava subito le intuizioni del discorso in “flackery” per più guerra”. Parole forti, davvero!

Arianna Huffington ha rotto a rate.

Ma la sua disillusione si sta espandendo.

Lei scrive: “Obama non distanzia se stesso dalla ‘Sinistra’ con la decisione di intensificare questo enorme disastro [in Afganistan]. Egli si sta allontanando dagli interessi nazionali del paese”.

 

John R.MacArthur, editore di Harpers’s Magazine, non fu mai un sostenitore di Obama ed è stato sconvolto da quello che chiama “l’adorazione liberale di Obama”.

In un articolo per il Providence Journal, egli cita alcuni scrittori ancora leali ad Obama, come Frank Rich del The New York Times, Hendrick Hertzberg del The New Yorker, e Tom Hayden che stanno mostrando un disagio mite nel cuore della speranza residua sui prossimi mesi di Obama.

Essi non hanno ancora tagliato i loro legami con il maestro di oratoria di “Hope and Change”.

G. Wills ha passato il suo Rubicone, definendo la scelta Afgana di Obama “un tradimento”.

Wills studia la Presidenza e dei discorsi politici (il suo libretto sul discorso di Gettysburg di Lincoln è un’interpretazione classica).

Così egli usa parole precise, cioè: “Se avessimo voluto le guerre di Bush, e gli appaltatori, e la corruzione, noi avremmo potuto votare per John McCain. Almeno avremmo visto il nostro nemico davanti a noi, non l’avremmo sentito alle nostre spalle, come accade ora”.

Il riposo assicurato dei commentatori liberali – progressivi ha altri due anni per impegnarsi in sfide e delusioni.

Entro il 2012, il silenzio muterà le loro critiche e le scelte dure della tirannia bipartitica saranno visibili e incarcereranno le loro menti nella sindrome del voto al meno peggio (come hanno fatto in anni di elezioni presidenziali recenti).

E’ duro accordare loro qualche punto di rottura morale sotto tali restrizioni auto imposte.

C’è una qualche autorità in tale approccio?

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*Lo scritto originale era senza un titolo

Tradotto da F. Allegri il 04/04/2010

[December 31 2009]

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(senza titolo)

By Ralph Nader

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Those long-hoping, long-enduring members of the liberal intelligentsia are starting to break away from the least-worst mindset that muted their criticisms of Barack Obama in the 2008 presidential campaign.

They still believe that the President is far better than his Republican counterpart would have been.

Some still believe that sometime, somewhere, Obama will show his liberal stripes.

But they no longer believe they should stay loyally silent in the face of the escalating war in Afghanistan, the near collapse of key provisions in the health insurance legislation, the likely anemic financial regulation bill, or the obeisance to the bailed out Wall Street gamblers. Remember this Administration more easily embraces bonuses for fat cats than adequate investment in public jobs.

Of all the loyalists, among the first to stray was Bob Herbert, columnist for The New York Times.

He wondered about his friends telling him that Obama treats their causes and them “as if they have nowhere to go”.

Then there was the stalwart Obamaist, the brainy Gary Wills, who broke with Obama over Afghanistan in a stern essay of admonition.

If you read the biweekly compilation of progressive and liberal columnists and pundits in The Progressive Populist, one of my favorite publications, the velvet verbal gloves are coming off.

Jim Hightower writes that “Obama is sinking us into ‘Absurdistan’”.

He bewails: “I had hoped Obama might be a more forceful leader who would reject the same old interventionist mindset of those who profit from permanent war. But his newly announced Afghan policy shows he is not that leader”.

Wonder where good “Jim got that impression” certainly not from anything Obama said or did not say in 2008.

But hope dims the memory of the awful truth which is that Obama signed on to the Wall Street and military-industrial complex from the getgo.

He got their message and is going after their campaign contributions and advisors big time!

Norman Solomon, expressed his sharp deviation from his long-time admiration of the politician from Chicago.

He writes: “President Obama accepted the 2009 Nobel Peace Prize while delivering” to the world as it is “a pro-war speech. The context instantly turned the speech's insights into flackery for more war”. Strong words indeed!

Arianna Huffington has broken in installments.

But her disillusionment is expanding.

She writes: “Obama isn't distancing himself from ‘the Left’ with his decision to escalate this deepening disaster [in Afghanistan]. He's distancing himself from the national interests of the country”.

 

John R. MacArthur, publisher of Harper’s Magazine, was never an Obama fan and has been upset with what he calls “the liberal adoration of Obama”.

In a piece for the Providence Journal, he cites some writers still loyal to Obama, such as Frank Rich of The New York Times, Hendrick Hertzberg of The New Yorker, and Tom Hayden, who are showing mild discomfort in the midst of retained hope over Obama’s coming months.

They have not yet cut their ties to the master speaker of “Hope and Change”.

Gary Wills has crossed his Rubicon, calling Obama’s Afghanistan escalation “a betrayal”.

Wills is a scholar of both the Presidency and of political oratory (his small book on Lincoln's Gettysburg address is a classic interpretation).

So he uses words carefully, to wit: “If we had wanted Bush’s wars, and contractors, and corruption, we could have voted for John McCain. At least we would have seen our foe facing us, not felt him at our back, as now we do”.

Rest assured the liberal-progressive commentariat has another two years to engage in challenge and chagrin.

For in 2012, silence will mute their criticisms as the stark choices of the two-party tyranny come into view and incarcerate their minds into the least-worst voting syndrome (just as they have done in recent Presidential election years).

It is hard to accord them any moral breaking point under such self-imposed censorship.

Not much leverage in that approach, is there?

 

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