Poesiole satiriche e non - WEBSITE X5 UNREGISTERED VERSION - Vernacolo Calabrese

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Poesiole satiriche e non

La Commedia poco Divina

Fatti non foste a fotter come bruti
ma per amar in virtude e con coscienza,
giacché furono tanti i doni avuti
di cui farne buon uso è conoscenza.
Se bramosia d’amor ancor vi prende
porre la calma a voi non vi sovviene
e al turbine desio man non si arrende
voltarsi e ire altrove, forse conviene!
Volger lo sguardo attorno con costanza,
liberi siano le menti e i pensieri
non corso dare a una o più sostanza
vita vissuta sia, da uomini veri!
Se la beltade che a voi sta di fronte
è similmente presa da passione
per piano andate, e non per ponte
ché il vostro vero amor lento si pone.
Ordunque, vi trovate al suo cospetto
intimoriti assai dalla prestanza
corre veloce l’occhio sul suo petto,
sia fatto almen al chiuso di una stanza!
Se non mettete limiti alla foga
se il buio non vi fa cosa gradita
stendete su di voi una grande toga
ché codesta visuale sia impedita.
Tacitamente e senza far rumore
o almen senza produrre grand’effetto
ma solo coi battiti del cuore
si consumi la battaglia sopra il letto.
Che l’irruenza sia placata e vinta,
che sia uso costante di strumenti,
corpo e quant’altro sia unica tinta
onde evitar l’uscita di escrementi!
L’occhio di qualch’altro mal si pone
a vista di due corpi attorcigliati,
mal governare può l’attrazione
con fremiti e sussulti trasudati.

Passerotto solitario

D’in sul divano della della casa antica
muro con muro della tua cara amica,
tutto solo soletto or su che fai?
Aspetti la passerotta che non verrà mai?
Cantando attendi finché non muore il giorno
forse la passerotta oggi farà ritorno.
Ti prende l’armonia di quelle valli,
senti le pecore belar e il nitrito dei cavalli.
Gli altri augelli contenti fan pure festa
ma a te solo la speme ormai ti resta!
Tutti festeggiano il lor tempo migliore
tu, a rimirar quel che fanno, ormai son ore.
Una donzella sale per la tua via
alla finestra corri ancor che pria
dalla tua vista ella si allontana
rendendo la tua corsa tanto vana!
Alza lo sguardo al ciel e ti intravede
dentro il petto il tuo cor già si ricrede;
a consolarti pensi ella si accinge
ma passa oltre e non vederti finge!
Degli anni sei già nel più bel fiore,
ah! quanto regalar potresti amore,
sol che una passera di te degna
di fisico e virtù ne fosse pregna.
Passo del viver mio la primavera,
e questo dì ch’ormai cede alla sera,
mi vede acerbo dei provetti giorni,
con la celata speme che quel tempo torni!
Odi spesso echeggiar un urlo umano
diverso urlo risuonar ben più lontano.
Umano e non, raggiante ed appagato,
ai sensi tutti, avendo corso dato.
Tu, solingo augellin, venuto a sera,
trova sempre da far e non dispera,
ogni momento sia o in ogni orario,
la volta buona per un solitario!

A Silvietta

Silvia, rimembri ancora
quel bel tempo di gioventù?
Quella beltà che splendea fora
negli occhi tuoi or non c’è più.
Rumoreggiavan le quiete stanze
le vie dintorno piene di folla.
Ognun libero, senza mastranze
li incollavi come la colla!
Il nome tuo sparso ovunque
tra valli e monti senza sosta
a te veniva gente qualunque
ignara e felice di quanto costa.
Miravan il ciel grande e sereno
la loro voglia era già tanta
il pensier loro era già pieno
il mero dubbio era: di quanta?
Da te veniva il contadino,
ti frequentava il letterato,
il giovincello tornava perfino
dopo il turno del maritato.
Lingua mortal non ha parole
a proferir nessun commento
ne gli attuali né tanto la prole.
Silvia è solo un gran portento!
Pulita e seria davi sostegno
in te albergava un gran pudore
tutto facevi con tanto impegno
l’ ambiente intero era calore.
Facesti certo tanto denaro
senza dar conto in modo vero,
da te è venuto pure l’avaro
non nascondendo tale mistero!
Eco nell’aere fa la potenza
del nome tuo fra la gente,
con probenda oppure senza
niuno mai uscì con niente.
Al solo pensiero che Ella va via
godono molto i ben pensanti,
soffrono tanto quelli che pria
non sono stati fra suoi amanti.

Il Botto

Immerso nel pensiero più profondo
girovagavo fra questo e l’altro mondo.
I piedi avanzavano da soli
sembrava conoscessero i due poli.
Nel mentre nei pensieri assortito
di petto una giovane ho investito.
Gran donna dall’aspetto colossale
con un bel prosperoso davanzale.
Gran botta inconsueta è esplosa
io stupefatto mi chiedevo: cosa?
Non sangue ne cocci lì per terra
né altri residui di guerra!
Addolorato le chiedevo scusa
simile al gatto quando fa le fusa.
Ma il dubbio, terribile tormento
non capire la causa dell’evento.
Sarà nella borsetta un palloncino?
Son giovane ma non un ragazzino,
rispose la ragazza indispettita,
facendo un certo gesto con le dita!
Né in mano aveva buste di regali,
né altre che fosser come tali.
Donde potea venire tale botto,
se nulla in apparenza s’era rotto?
L’insana idea che fosse una scorreggia
volata in aria peggio di una scheggia,
non trova una corretta soluzione
nemmeno cambiando l’equazione.
Se fu rumor dell’ano, a dir poco,
dovea venir odor dal basso loco?!
Scocciata dal dubbio mio perenne
a questo punto la giovane intervenne,
non più avvezza ad altra spiegazione:
“Della tetta mi è scoppiato il silicone”.

Teresa vispetta

La vispa Teresa
fumava l’erbetta
dell’amico in attesa
di altra robetta.
E tutta giuliva
fumandola viva
gridava distesa:
“L’ho presa, l’ho presa!”
A lei supplicando
l’amico gridò,
sniffando e fumando:
“È poco però!”
Tu si che fai bene
lenisci le pene,
con te sono io
pur figlia di Dio.
Teresa accanita
stringendo le dita
prende l’ erbetta
e,dentro in borsetta.
Tutta l’essenza
Teresa insaccò
e senza sostanza
l’amico lasciò.

             Il primo governo

Nell’anno  impropriamente detto zero   
per tali falso,  per altri forse vero,              
nasceva un uomo, di virtù potente,          
ma i natali egli ebbe  umilmente.             
Fin da bambino ebbe una missione             
più per  dovere accolta, che per passione.           
Girovagava sempre, a destra e a manca     
svelto di parola e di lingua mai stanca.    
Da grande si stancò poi per davvero,             
pensò bene di creare un  ministero             
e partorì dalla sua mente sopraffina:              
uno è poco,  almeno una decina!                 
Il primo fu Simone detto Pietro,                     
che chiamato non tornò mai indietro.     
Gli fu data in diretta la notizia:                        
ti sia affidato  quello di Giustizia.          
Andrea  fu il secondo, nonché fratello    
che diresse il ministero del Balzello,                 
perché le tasse si sa, son sacrosante                   
purché sian esse poche oppure  tante!      
Il bel Giovanni  fu, per sua vocazione,           
a capo della Pubblica Istruzione.                    
Filippo ch’era persona più matura             
diresse quello dell’Agricoltura.  
Bartolomeo dall’idea sempre fresca     
giudò il  grande ministero della Pesca.              
Seppur fu nominato in pieno inverno                      
Giuda Iscariota ebbe quello dell’Interno.                 
Tommaso senza una punta di cinismo          
accettò il ministero del Turismo.           
Matteo al ritorno dalla Samaria            
ebbe il ministero dell’Economia.            
Simone il Cananeo detto Zelota                      
con gli Esteri lo seguì subito a ruota.                         
Per ultimo, ma senza alcuna offesa                    
a Giuda Taddeo fu affidata la Difesa.           
Si lavorò poi tanto e senza fine                        
ma nessuno di loro era incline                      
se a governare il popolo doveva,                        
che a far l’apostolo già lo sapeva!                                
Fin quando il Capo esausto oramai               
li minacciò di metterli nei guai!                
Grande prestigio vi sto dando Io                   
decisione dettatami da Dio,                        
per cui lavorate onestamente                          
e senza lamentarvi inutilmente,
se  non smettete di essere coglioni,                              
metto al mio posto Silvio Berlusconi!

       L'uccelletto

Un povero uccelletto si è posato
sopra un bel nido un pò annerito.
In altro loco voleva però entrare,
ed il suo corpicino riscaldare.
Era a due dita invero l'altro nido,
sol che ad entrare rischiava qualche grido.
Il primo pur capiente un po brunetto,
l'altro, seppur pulito, era più stretto.



       La vita

Solo solingo a rimirar io vo             
il sublime tramonto per un po.
Il disco rosso lento va a calare     
ed io ancor stupito ad ammirare.
Da millenni alterna giorno e notte,
illuminando strade, vie e rotte.
Imperituro dà luce e calore                 
da quando nasce fin quando muore.
Prende forma in me la fanciullezza,
lascia spazio poi alla giovinezza.
A seguitar incombe l’altra età                  
che fa da ponte alla maturità.
Pochi minuti e in me scorre la vita            
di amari o dolci ricordi abbellita.       
L’andirivieni è solo dei pensieri,            
di rimembranze scorse volentieri,     
giacché la vita è una ed una sola          
seppur l’amaro può restare i gola.

Replicar tramonto e poi l’aurora
è del sole che muore e sorge ancora!  



      Riposo

... e il cavalier focoso,
spento il suo intenso ardore,
le membra mise a riposo
tranne la testa e il cuore!

               Nel mezzo del cammin

Nel mezzo del cammin del nostro amplesso,
che ebbe un seguitar pure sul cesso,     
stretti avvinghiati, tutto in un momento            
ci ritrovammo ancor sul pavimento.
Ma l’opra gran finale trovò sul letto,          
dove a te ignuda rimiravo cosce e petto,      
e viso, spalle, gambe e ogni altra parte,              
ch’è dir poco paragonar ad opera d’arte!        
L’aurea bionda chioma sì sparsa dolcemente       
il seno a ricoprir, in parte e interamente.  
Estasiato alquanto da mirabile visione                
regnava dentro me, solo gran confusione.              
Felice ed appagato; ma un dubbio mi rodeva:          
perché fra tanti e tanti ella mi sceglieva?
Trovar risposta dunque al mio perenne tarlo,        
non era mio intento, non intendevo farlo!             

        Ode alla Donna

Ode a te, o donna, mirabile visione,      
a te io dedico quest’umile canzone   
non scritta con note ritmate                     
ma solo con parole un po’ rimate.               
Tu della vita prendi ciò che vuoi                  
e lasci solo quello che non puoi.    
Arbitro sei dell’universo in terra               
da te la pace e, ahimè, la guerra!                   
A guardare per bene fino in fondo  
inconsciamente, tu governi il mondo!  
Se fragile tu sembri all’apparenza              
e di te l’uomo non può stare senza,            
dimostri a qualsivoglia arrogante             
le virtù che hai son proprio tante.        
Non dal costato, né dalla creta nata,        
dalla natura, così,  fosti creata,                 
non per servire l’uomo in quanto tale,   
per  completezza, a lui essere uguale!           
Pronta ad elargire affetto e amore             
che sia profano oppure sia di cuore,          
completamente tu dai all’uomo ignaro            
l’amore vero oppure per denaro.
Lasciala solo a lui la mera illusione                     
che sia di tutto l’unico padrone;         
da tempo quest’idea già concepita,      
sol che da sempre sei tu a dar la vita!
La forza tua sta nell'essere normale,
ciò che tu chiedi non è niente di speciale.

              In Memoria

Un corpo nasce, cresce e poi si forma,          
cambia nel tempo e infine si trasforma.       
È il tribolar si del genere umano,          
uomo, donna, povero o sovrano.          
Quel che riman di noi dopo  il trapasso:  
non ossa, né di cenere un ammasso,           
di quel che abbiamo lasciato in accordo,             
solo l’eterno, dolce, tenero ricordo.



I 50 di una donna

Tanti auguri ti si fanno                 
or che fai il compleanno.                      
Il problema è trovare                              
il bel modo di celare                    
l’età vera di una donna            
madre, moglie o anche nonna.          
Son passati già i quaranta,                  
siamo adesso ai cinquanta,            
bell’età da Te raggiunta;             
tutto ciò però non conta!  


  Il “5” maggio

Ei fu siccome immobile            
dato il potente vino,                
nel sonno più profondo                  
a mo’ di Cherubino.
L’ostile gente a Lui                 
si sottomise in massa,           
trofei di ogni guerra                
raccolse in grande cassa.
Dai monti alle pianure                
stese il suo rosso manto            
sotto di esso avvolse              
tutte le donne in pianto.
Ormai le membra stanche          
con gli arti doloranti                
vagavan nella testa                 
i sogni più pesanti.
Se irto pria stava,                   
indi, disteso a bere                
né calice né vino                    
ma coppa di piacere.
Conquistatore indomito            
in groppa a biancavallo                       
fiero della potenza               
del suo grande fallo!
Come Sire e Imperatore                
dovean tutti l’obbedienza       
soprattutto le donzelle              
per la sua prestanza.
A chi si domandava          
dov’era la statura,                       
sotto i vestiti stava:
l’attrezzo di natura!
Ragion di tutto era                    
sotto il paletot celata           
la verga sempre tesa              
con la destra impugnata.
Tra glorie e conquiste                
cuori spezzati e infranti           
la gente lo ricorda              
lo studian tutti quanti.
Sarà poi tutto vero                 
ciò che si tramanda?                     
Lo affermerà storia              
oppure sarà legenda.



         Rimenbranza


Ah! Come mal mi governasti, amore!

Perché seco dovea sì dolce affetto
recar tanto desio, tanto dolore,
che il cor già trafitto dentro il petto?


 
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