Il sodio svolge le importanti funzioni di regolare il
volume dei fluidi extracellulari, la pressione oncotica dei fluidi extracellulari
e l'equilibrio acido-basico; inoltre il sodio è coinvolto nei fenomeni
elettrofisiologici dei tessuti nervosi e muscolari, nella trasmissione dell'impulso nervoso, nel
mantenimento del potenziale di membrana e dei gradienti transmembrana
essenziali per gli scambi cellulari di nutrienti e substrati e per il mantenimento
del "milieu" intracellulare (Luft, 1990). Poichè presente negli alimenti e
bevande esclusivamente in forma ionica solubile, il sodio è totalmente
disponibile all'assorbimento. Viene assorbito nel tratto distale dell’intestino
tenue e nel colon. La concentrazione di sodio nei fluidi extracellulari è mantenuta
ad opera dei reni: pressochè tutto il sodio che passa nel filtrato glomerulare
viene riassorbito. L'omeostasi del sodio viene così mantenuta di fronte ad una
grande variabilità di situazioni ambientali e alimentari; la regolazione del
contenuto corporeo di sodio è strettamente correlata al controllo del
volume dei fluidi extracellulari ed avviene principalmente per azione dell'aldosterone a
livello del riassorbimento tubulare renale. Il rene adulto può regolare
l'escrezione di sodio a seconda delle necessità tra lo 0,5 e il 10% del carico
filtrato. Perdite obbligatorie di sodio si verificano attraverso le feci ed il sudore,
ma si tratta di solo circa il 7% degli apporti di sodio (per una alimentazione
ricca di sodio come la nostra).
Carenza, livelli eccessivi e tossicità
Un deficit di sodio provocato da ridotto
apporto alimentare non si verifica in condizioni normali anche con diete a
bassissimo contenuto in sodio. Una deplezione di sodio si può verificare solo
in condizioni di sudorazione estrema o qualora traumi, diarrea cronica o malattie
renali producano un'incapacità a trattenere sodio. L'assunzione di una quantità elevata di
sodio determina un aumento del volume dei fluidi extracellulari: l'acqua
viene richiamata al di fuori dalle cellule per mantenere costante la concentrazione di
sodio. Il risultato finale può
essere la comparsa di edema e di
ipertensione arteriosa. Tuttavia una tossicità acuta da sodio di origine alimentare è
improbabile. Un prolungato consumo di quantità eccessive
di sodio è stato messo in relazione con la patogenesi
dell'ipertensione arteriosa in soggetti sensibili 2 (Gleibermann, 1973; Tobian, 1979; Swales,
1988). Esiste una relazione tra l'escrezione urinaria di sodio (assunto come
indicatore dell'apporto) e l'aumento dei valori pressori con l'età (Intersalt
Cooperative Research Group, 1988). Anche se altri fattori (obesità,
bassi apporti alimentari di potassio, di calcio, di magnesio , tipo di acidi grassi
nella dieta, consumo di alcool, fumo di
tabacco, ridotta attività fisica, stress)
possono concorrere nello sviluppo dell'ipertensione arteriosa, tuttavia esiste
uno stretto rapporto tra apporto di sodio ed aumentati valori di pressione
arteriosa sistolica e diastolica, tanto da far ritenere che l'associazione causale
sodio-ipertensione sia stata sottovalutata (Law et al., 1991a;
Frost et al.,1991). Questa relazione è di tipo continuo, cioè non esiste un livello di
introduzione di sodio al di sotto del quale l'effetto non si manifesti: calcolando la
potenziale riduzione dei valori di pressione arteriosa per riduzione
dell'apporto di sodio e confrontando i dati ottenuti negli studi di intervento, è stato
dedotto che la riduzione del consumo di sodio, si tradurrebbe in un apprezzabile
riduzione della mortalità per eventi cardio- e cerebro-vascolari acuti (Law et
al., 1991b).
Livelli di assunzione e fonti alimentari in
Italia
Le fonti di sodio nell'alimentazione sono di
varia natura: da una parte il sodio contenuto nel sale aggiunto nella cucina
casalinga o a tavola (sodio cosiddetto discrezionale) e dall'altra il sodio
contenuto negli alimenti, sia presente naturalmente che aggiunto nelle
trasformazioni artigianali o industriali (sodio non discrezionale). Ogni grammo di sale
contiene circa 0,4 g di sodio. Il sodio discrezionale rappresenta in media il 36%
dell'assunzione totale di sodio in Italia (Leclercq & Ferro-Luzzi, 1991).
Questa proporzione è lievemente più elevata nelle donne (39%) e più bassa nei
bambini (34%). Nelle zone rurali un ulteriore 10% deriva dalle conserve
casalinghe (formaggi, insaccati, conserve di ortaggi). L'ingestione giornaliera di
sodio contenuto naturalmente negli alimenti e nelle bevande - tra cui l'acqua
potabile - è stata stimata in 16 a 25 mEq cioè circa 0,5 g (Bull & Buss, 1990),
che corrisponde a 10% degli apporti totali in Italia. Per differenza, si può
stimare nel 55% la quota degli apporti che deriva dal sodio aggiunto nei prodotti
trasformati, artigianali, industriali o della ristorazione collettiva. Questo sodio è
prevalentemente sotto forma di cloruro di sodio mentre soltanto il 10% del sodio
totale è presete sotto forma di altri sali (glutammato di sodio, bicarbonato di sodio,
etc.). Un ulteriore stima degli apporti e delle
fonti di sodio non discrezionali è quella derivata dall'analisi chimica della
dieta italiana di riferimento (Carnovale et al.,
in preparazione). Il contenuto complessivo di sodio nella dieta nazionale ricostruita senza aggiunta di sale
discrezionale è risultato pari a 74 mEq (1,7 g) di sodio. Dall'analisi dei gruppi di
alimenti risulta che i cereali e derivati, tra cui il pane, rappresentano la principale fonte
di sodio non discrezionale (42%). Elevate quote derivano anche dai gruppi
carne/uova/pesce (31%) e latte e derivati (21%) per via del sale aggiunto
rispettivamente nelle carni e pesci conservati e nei formaggi. I contributi sia
della frutta (3%) che delle verdure e ortaggi (2%) sono invece molto bassi e
prevalentemente di origine naturale.
Anche negli altri Paesi occidentali, tra i
prodotti trasformati, il pane costituisce la maggiore fonte di sodio. Di conseguenza,
l'uso del pane "sciapo" (senza sale aggiunto), che è largamente diffuso in
alcune regioni italiane, può essere un ottimo mezzo per la riduzione degli
apporti di questo elemento. In un'area delle Marche, è stata rilevata una ridotta
ingestione globale di sodio legata a questo tipo di consumo (Leclercq &
Ferro-Luzzi, 1991).Gli apporti totali di sodio sono stati
stimati mediante indagini epidemiologiche con varie tecniche: raccolte
urinarie delle 24 ore, pesata del sale (applicando il fattore di correzione
per il 60% del sale consumato che non viene ingerito) e degli alimenti
(utilizzando le tabelle di composizione degli alimenti) e analisi di diete
totali.
Da uno studio svolto su campioni rappresentativi della popolazione di tre
aree italiane (Marche, Lazio e Campania) sono emersi i seguenti livelli di
escrezione urinaria di sodio: 191 mEq (4,4 g) negli uomini adulti, 160 mEq
(3,7 g) nelle donne adulte e 132 mEq (3 g) in bambini di età media 11 anni (Leclercq
& Ferro-Luzzi, 1991). I dati di consumo dell'indagine svolta su scala
nazionale dall'Istituto Nazionale della Nutrizione (Turrini et al., 1991)
confermano questi risultati: è stato stimato in 152 mEq (3,5 g) l'ingestione di sodio
giornaliera pro-capite (Leclercq et al., 1991). Per essere di interpretazione più
immediata per la popolazione questi dati possono essere espressi in g di cloruro
di sodio: ogni giorno l'adulto italiano ingerisce in media circa 10 g di
sale. Dai risultati di due studi internazionali in cui è stata determinata
l’escrezione urinaria (Intersalt Cooperative Research Group,
1988; Knuiman et al., 1988) appare che i livelli italiani sono nella media di quelli
dell'Europa del Sud e superiori a quelli dell'Europa del Nord, sia nei bambini che
negli adulti. Lo stesso trend Nord- Sud sembra esistere tra le regioni italiane
con un ingestione totale di sodio leggermente più elevata al Sud: 10 g di sale
in Campania contro 9 g nel Lazio
(Leclercq & Ferro-Luzzi, 1991).
Livelli di assunzione raccomandati
La determinazione dei reali fabbisogni di
sodio è difficile. L'alimentazione della popolazione italiana, al pari di
quella degli altri Paesi occidentali, è generalmente ricca di sale. Adulti Soggetti adulti sani mantengono il bilancio
del sodio con apporti anche di
soli 3-20 mEq/die (69-460
mg/die). E' stato stimato che le
perdite obbligatorie urinarie e fecali siano di 1 mEq/die (23 mg/die),
cui si aggiungono le perdite per via cutanea di circa 2-4 mEq/die (46-92
mg/die) (il sudore ha in media una concentrazione di sodio di 25 mEq/l). In
condizioni di massimo adattamento alla conservazione del sodio e sudorazione
intense, il fabbisogno minimo sarebbe per tanto di 5 mEq/die (115 mg/die).
Tenendo conto della variabilità interindividuale, sembra consigliabile un
apporto minimo di 25 mEq/die (575 mg/die). Sulla base dell'osservazione che
apporti superiori a 200 mEq/die (4600 mg/die) si accompagnano ad un elevato
rischio di ipertensione arteriosa (Frost et al., 1991; Law et al.,
1991a; Law et al., 1991b), si può raccomandare anche un livello massimo di assunzione. La
Commissione Europea (Commission of the European Communities,
1993) propone come livello raccomandato l’intervallo da 575 mg/die a
3500 mg/die (25 mEq/die - 150 mEq/die) mentre le RDA Americane (National
Research Council, 1989) riportano 500 mg/die - 2400 mg/die (22 mEq/die
- 104 mEq/die). Si ritiene più opportuno adottare i livelli raccomandati
dalla CEE, che corrispondono all’assunzione di 1,5-8,8 g di sale al
giorno. Gravidanza e allattamento .Durante la gravidanza aumenta il fabbisogno
di sodio per aumento del volume dei liquidi extracellulari, per la
richiesta del feto e per il liquido amniotico. L'abituale consumo di sale è
comunque sufficiente a coprire gli aumentati fabbisogni. Anche durante
l'allattamento aumenta il fabbisogno di sodio in quanto contenuto nel latte materno
che è comunque coperto dal contenuto della dieta. Pertanto la
raccomandazione è la stessa di quella dell’adulto. Bambini e adolescenti Le RDA Americane propongono livelli di
assunzione raccomandati distinti per classi di età del neonato, del bambino e
dell’adolescente (National Research Council, 1989). Tali valori sono basati sul calcolo del contenuto di sodio nei tessuti neoformati e su assunzioni
relative alle perdite obbligatorie di sodio. Per contro, il Scientific
Committee for Food della Commissione Europea considera che le informazioni a disposizione
non sono sufficienti per stabilire dei livelli raccomandati nell’età evolutiva
(Commission of the European Communities,
1993). La Commissione dei LARN concorda con quest’ultima
posizione.
Fonte: Società Italiana di
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