I grassi alimentari vengono usualmente ingeriti
sotto forma di trigliceridi e vengono tradizionalmente
classificati in base alle caratteristiche degli acidi
grassi in essi contenuti e cioè in tre grandi categorie
a seconda del numero dei doppi legami presenti nella
catena di atomi di carbonio e cioè saturi (Cn: 0 = privi
di doppi legami); monoinsaturi (Cn: 1 = forniti di un
solo doppio legame) e polinsaturi (Cn: 2-3-4-5 = forniti
di più di un doppio legame).
Alcuni degli acidi grassi polinsaturi, e principalmente
l'acido linoleico, sotto chiamati "essenziali" perché
non sono sintetizzabili dall'organismo e devono quindi
necessariamente essere introdotti con la dieta, pena
l'insorgenza di carenze. I grassi alimentari sono
costituiti da miscele variabili di grassi che sono
diversi in composizione relativa a seconda dell'alimento
in questione. È noto che in genere nei grassi di origine
animale prevalgono gli acidi grassi saturi; in quelli di
origine vegetale quelli insaturi. Vanno però ricordate
delle importanti eccezioni e cioè: l'olio di oliva è
prevalentemente monoinsaturo (l'acido oleico è il
principale componente); gli oli di cocco e di palma
contengono larghe componenti di grassi saturi; i grassi
degli animali marini (pesci, foche,
balene, ecc.) sono largamente polinsaturi. Inoltre va
ricordato che sono spesso impiegati dei processi
industriali di idrogenazione che hanno lo
scopo di saturare, almeno parzialmente, i grassi
insaturi vegetali al fine di favorirne la conservazione.
Un altro problema relativo al trattamento industriale
dei grassi vegetali è la produzione di forme "trans" che
sembra tendano ad accumularsi in modo abnorme in alcuni
tessuti.
L'attenzione dei nutrizionisti per i grassi alimentari
si rivolge oggi a tre grandi settori della patologia e
cioè: 1) alle relazioni tra carenza di acidi grassi
polinsaturi durante lo sviluppo (soprattutto cerebrale);
2) alle relazioni tra grassi alimentari e malattie
cardiovascolari; 3) alle relazioni tra grassi alimentari
e tumori. Il problema dell'obesità verrà trattato
altrove.
Esiste un'abbondate
documentazione sperimentale, epidemiologica e clinica
sui danni nello sviluppo cerebrale e psichico in caso di
carenza di acidi grassi polinsaturi essenziali. Tali
condizioni, peraltro, sembrano rare nel mondo
occidentale e in Italia e sono facilmente evitate con
l'allattamento al seno, con l'uso successivo o
sostitutivo delle più comuni formule in commercio e con
la dieta usualmente suggerita in fase di svezzamento. Il
problema della carenza in questo settore sembra
sostanzialmente confinato, oggi, a certi Paesi in via di
sviluppo.
Nel corso degli ultimi 40 anni lo studio delle relazioni
tra grassi alimentari e salute, e più specificatamente
tra grassi alimentari e patologia, si è prevalentemente
diretto al problema dell'arteriosclerosi, delle malattie
cardiovascolari e della cardiopatia coronarica in
particolare. Va ricordato che le relazioni tra grassi e
accidenti cerebrovascolari sono meno chiare e
consistenti ma che, entro certi limiti, il discorso può
essere da essi estrapolato. Un modo abbastanza semplice
per affrontare il problema è quello di considerare la
catena: grassi alimentari - lipidi sierici -
arteriosclerosi - malattie cardiovascolari. Da questo
punto di vista è utile considerare le relazioni che
intercorrono tra (a) lipidi ematici e cardiopatie; (b)
grassi alimentari e lipidi ematici; (c) grassi
alimentari e cardiopatie. La relazione (a) è quella che
si avvale del maggior numero di documentazioni e delle
dimostrazioni più valide.
Le relazioni positive tra livelli sierici di
colesterolemia totale, e specie colesterolemia LDL, e
sviluppo futuro di cardiopatia coronarica (CC) sono
state avvalorate dai dati di innumerevoli studi
epidemiologici, sia inter che intra-popolazioni. Studi
come il Seven Countries, il Ni-Hon-San o e il
Framingham-Honolulu-Puerto Rico hanno dimostrato una
relazione diretta tra i livelli medi iniziali di
colesterolemia totale delle popolazioni in studio e
l'incidenza e mortalità per CC nei successivi anni di
osservazione . Inoltre questi stessi studi e molti altri
hanno dimostrato, in singoli campioni di popolazione,
una relazione simile tra livelli individuali di
colesterolemia totale e LDL e il conseguente rischio di
CC , mentre è stato dimostrato un ruolo protettivo dei
livelli di colesterolemia HDL.
Questo significa che popolazioni con elevati livelli di
colesterolo totale e colesterolo LDL presentano una più
elevata incidenza e mortalità per CC. Allo stesso tempo,
all'interno di singoli campioni di popolazione, il
rischio individuale di futuri eventi coronarici è
altamente e direttamente
correlato con i livelli di colesterolo totale ed LDL.
Ciò è stato dimostrato anche in popolazioni italiane .
Molto si è discusso sulla forma di questa relazione:
alcuni hanno identificato una funzione continua
(generalmente esponenziale), altri suggeriscono
l'esistenza di una soglia oltre certi livelli. Sebbene
il problema sembri ancora aperto, è opinione corrente
che i valori desiderabili di colesterolemia nell'adulto
siano compresi tra 170 e 200 mg/dl, mentre nelle
popolazioni italiane questi attualmente si collocano tra
200 e 240 mg/dl a seconda delle età e del sesso.
La relazione riguarda i rapporti diretti tra quota di
grassi saturi e livelli ematici di colesterolemia totale
e colesterolemia LDL in particolare, i rapporti inversi
tra quota di grassi polinsaturi e le stesse variabili
ematochimiche e gli ancora incerti e dibattuti rapporti
tra grassi monoinsaturi e colesterolemia totale e LDL.
In questo caso la documentazione delle relazioni è
risultata valida confrontando popolazioni, mentre è
quasi impossibile trovare relazioni significative
confrontando singoli individui.
Ancora una volta, i confronti tra popolazioni, come
quelli ottenuti dal Seven Countries, dal Ni-Hon- San ed
alcuni altri suggeriscono che popolazioni con un basso
consumo di grassi saturi presentano più bassi livelli
medi di colesterolemia rispetto a popolazioni
caratterizzate da elevato consumo di grassi saturi.
Tale evidenza diventa difficile da confermare quando si
considerano singoli individui. Ciò sembra dovuto alla
difficoltà di determinare con precisione i consumi
individuali e, in particolare, il consumo di grassi ed
al fatto che la variabilità intra-individuale è
frequentemente più grande di quella inter-individuale.
Di conseguenza, solo ripetute misure indipendenti (da 7
a 9 o più) riescono a caratterizzare un individuo.
Le basi matematiche di questa peculiare situazione sono
state sviluppate solo di recente e confermano gli
attuali limiti nella conduzione di adeguati studi
sull'alimentazione per tali fini. D'altra parte la
relazione è convalidata da studi di intervento sia in
camera metabolica che in Popolazioni libere e suggerisce
la possibilità di aumentare o diminuire i livelli dei
lipidi ematici modulando la qualità e la quantità dei
grassi nella dieta. Le equazioni di Keys ed Hegsted
forniscono le spiegazioni matematiche di tali
cambiamenti. I grassi saturi hanno un'azione
ipercolesterolemizzante, i mono-insaturi sembrano essere
neutrali, mentre il colesterolo alimentare giuoca un
ruolo ipercolesterolemizzante
Fra i più recenti contributi in questo settore, ci sono
due studi quasi speculari condotti in Finlandia e in
Italia. In particolare una dieta ad elevato P/S
applicata a famiglie finlandesi è stata seguita da un
sostanziale decremento della colesterolemia (di circa il
22%), mentre la dieta italiana, quando arricchita in
burro, panna e formaggio, ha prodotto, nelle famiglie
italiane, un aumento del colesterolo sierico del 16%. Lo
studio della relazione è importante sia per dimostrare
che i grassi alimentari e la cardiopatia coronarica sono
veramente correlati tra loro, almeno in modo parziale,
attraverso i lipidi ematici, sia
per esplorare possibili relazioni che non passino
attraverso i lipidi circolanti. A livello di popolazioni
è stato dimostrato che esiste una relazione diretta tra
consumo di grassi saturi e incidenza e mortalità per CC.
I più grandi studi in questo campo sono, ancora una
volta, il
Seven Countries, il Nu-Hon-San e, dal punto di vista
anatomo-patologico, il Geographic Pathology of
Atherosclerosis. Comunque, correlazioni simili sono
state riscontrate anche combinando dati di
mortalità dell'WHO e i "food balance sheets" di 20
Paesi, prodotti dalla FAO. Nel Seven Countries per
esempio, il coefficiente di correlazione tra il consumo
di grassi saturi e la mortalità per CC, in 16 campioni
di popolazione, è risultato di 0,84. D'altra parte,
confrontando singoli individui all'interno di singole
popolazioni, si verifica ancora una volta che la
variabilità intra-individuale supera quella
inter-individuale, oscurando quelle relazioni che,
comunque, pochi ma accurati studi sono riusciti a
documentare. Almeno nel Western Electric Study e nel
Ireland Boston Diet Study risultano evidenti le
relazioni tra il consumo individuale di grassi
alimentari (e i loro diversi tipi) e il rischio di CC,
ma queste, nel primo dei due, non sembrano passare solo
attraverso la mediazione dei lipidi ematici. È probabile
che siano coinvolti anche meccanismi legati alla
funzione delle piastrine, al sistema coagulativo e
forse al metabolismo della fibrocellula cardiaca .
Risultati simili sono stati ottenuti nel Seventh-Day
Adventist Study dove, per l'analisi, invece delle
sostanze nutrienti, sono stati considerati i singoli
alimenti. Il quadro viene poi completato da risultati
positivi di esperimenti di prevenzione primaria che, con
la dieta (oltre che con i farmaci), sono stati capaci di
ridurre i livelli di colesterolo totale e LDL e di
produrre, dopo alcuni anni, una riduzione di incidenza e
di mortalità per CC. Al di là delle limitazioni e delle
critiche, l'Helsinki Mental Hospital Trial, uno studio
simile condotto nel Minnesota, il Veterans
Administration Study e l'Oslo Study in Norvegia,
avvalorano
l'ipotesi del ruolo causale dei grassi saturi nella
propensione dell'arteriosclerosi e delle sue complicanze
d'organo. Altri studi di prevenzione primaria
multifattoriale, anche se caratterizzati da risultati
positivi, non sempre hanno permesso di separare
chiaramente il merito da attribuire alle modificazioni
della dieta rispetto alle altre componenti
dell'intervento. La riduzione d'incidenza e mortalità
per CC è risultata di solito proporzionale alla
riduzione del colesterolo sierico, come
conseguenza di variazioni dietetiche consistenti in un
decremento di grassi saturi e colesterolo e in un
moderato aumento di grassi polinsaturi. Conclusioni
simili sono state ottenute da studi
sperimentali su animali, compresi i primati, e
dall'osservazione, in ampi gruppi di popolazione, di
variazioni spontanee nelle abitudini alimentari, come
quelle indotte dalle guerre o da nuovi stili di vita.
Le variazioni nei consumi alimentari verificatesi negli
Stati Uniti negli ultimi 30 anni, caratterizzate da una
riduzione dei grassi animali, e da un aumento di quelli
vegetali, sembrano coerenti con la
riduzione nei valori medi della colesterolemia osservati
nella popolazione generale e con il declino della
mortalità per CC.
In questo quadro, il ruolo aterogeno e patogeno dei
grassi saturi, e specie di quelli a lunga catena, è
abbondantemente documentato. Al di là del ruolo
aterogeno, i grassi saturi peggiorano il "catabolic
rate" del colesterolo e sembrano favorire l'ipertensione
e la tendenza alla trombosi, nonché la moltiplicazione
cellulare che caratterizza la lesione arteriosa. Esiste,
peraltro, un complesso di problemi da precisare e ancora
aperti che vengono citati di seguito. Il ruolo dei
grassi monoinsaturi sui lipidi ematici sembra neutrale
secondo la maggior parte degli esperimenti metabolici
(per sostituzione isocalorica con amido), mentre forse è
in grado di aumentare leggermente la colesterolemia HDL.
Tale ruolo è, peraltro, di nuovo in discussione per
una possibile attività ipocolesterolemizzante e comunque
protettiva dell'acido oleico (e/o di altri componenti
dell'olio d'oliva). Infatti le popolazioni che usano
olio di oliva come grasso di base, sembrano essere
protette dalla CC e, forse, dal cancro. In ogni caso
l'olio di oliva al di là del suo contenuto in acido
oleico, ha una marcata funzione coleretica e colagoga e,
forse, altre funzioni proprie.
È stato ripetutamente dimostrato che i grassi
polinsaturi, ed in particolare l'acido linoleico, hanno
potere ipocolesterolemizzante, favoriscono il
rallentamento della progressione dell'arteriosclerosi e
giocano un ruolo protettivo per il muscolo cardiaco
contro l'ischemia. È noto, peraltro, che per bilanciare
l'effetto ipercolesterolemizzante dei grassi saturi, è
necessaria una quota doppia di grassi Polinsaturi.
Timori sono stati sollevati sulla possibilità che gli
acidi grassi polinsaturi siano dannosi, specie ad alte
dosi e se trattati a lungo con alte temperature. In
questo caso la formazione di perossidi, la rottura delle
catene e la produzione di radicali liberi possono avere
un ruolo cancerogeno. Inoltre i grassi polinsaturi,
indipendentemente dalla cottura, sembrano, facilitare la
produzione di calcoli biliari.
D'altra parte, il ruolo favorevole di certi polinsaturi
a catena lunga, come l'acido eicosapentanoico, nel
limitare l'aggregazione piastrinica e l'attività dei
fattori della coagulazione, è una recente acquisizione
che necessita di ulteriori approfondimenti e che verrà
trattata a parte in un altro capitolo.
Infine, anche se non si tratta di un grasso in senso
stretto, va ricordato il ruolo del colesterolo
alimentare sulla colesterolemia. Le opinioni e i dati
sono contrastanti ma, a parte la diversa enfasi data ai
risultati sperimentali, è opinione comune che il ruolo
del colesterolo alimentare, salvo in caso di dosi molto
elevate, è secondario, nell'influenzare la
colesterolemia, a quello dei grassi saturi. Nel
considerare il complesso dei grassi alimentari come
possibile causa di CC va ricordato che il
loro effetto è comunque condizionato dalla reattività
genetica individuale e da vari fattori contingenti tra
cui perlomeno l'entità del loro assorbimento a livello
intestinale. È noto, per esempio, che l'assorbimento dei
grassi si riduce in età avanzata, se il pasto si
accompagna all'assunzione di alcolici e se la dieta
contiene quote idonee di certi tipi di fibre alimentari;
inoltre alcune proteine vegetali sembrano contribuire
alla riduzione del colesterolo sierico attraverso
meccanismi che coinvolgano l'assorbimento intestinale
dei grassi e/o la sintesi epatica del colesterolo.
Un problema peculiare è quello del ruolo dell'alcool
nell'aumentare i livelli di colesterolo-HDL, e cioè la
frazione protettiva del colesterolo
Solo di recente si è verificato un crescente interesse
per le relazioni tra grassi alimentari e cancro anche se
bisogna riconoscere che i dati disponibili sono ancora
incerti, incompleti e talora contraddittori.
Esistono documentazioni "ecologiche" su una relazione
diretta tra consumi di grassi totali e di grassi saturi
da un lato e tumori maligni, della mammella, delle
ovaie, del colon e forse del pancreas e della prostata.
Tali documentazioni sono state fornite sia confrontando
popolazioni diverse nello stesso momento di tempo e sia
considerando trends temporali all'interno della stessa
popolazione. Parte di tali associazioni sono state
confermate in esperimenti su animali. A livello
individuale associazioni dello stesso tipo, sulla base
di studi caso-controllo, e quindi non del tutto
convincenti, sono state osservate per il cancro della
prostata, dell'ovaio e del colon. In quest'ultimo caso
ciò che sembra valere non è tanto la quota dei grassi
quanto un alto rapporto grassi/fibre. Almeno uno studio,
peraltro, ha trovato un rapporto inverso, su base
longitudinale, tra consumo di grassi saturi e cancro del
colon. Lo stesso studio ha suggerito invece una
relazione diretta con il cancro del retto.
L'implicazione dei grassi nella genesi del cancro del
colon è pertanto abbastanza incerta e ha posto una serie
di ipotesi tra cui: (a) la possibilità che i grassi
inducano una eccessiva produzione di acidi
biliari e steroli che potrebbero subire trasformazioni
in sostanze cancerogene da parte della flora batterica;
(b) la possibilità, d'altra parte, che i grassi
polinsaturi, specie se cotti a lungo e ad alta
temperatura, possano produrre radicali liberi e
perossidi ad azione cancerogena. Nel caso, invece, degli
altri tumori citati sembrano implicati meccanismi legati
alla regolazione primitiva e/o secondaria dei livelli
ormonali ematici e tessutali. La situazione è peraltro
intricata e richiede ulteriori studi. Un problema a
parte, ma legato a questa tematica, è costituito dalla
relazione inversa tra colesterolemia e
incidenza-mortalità per cancro (soprattutto del colon)
trovata in alcuni studi longitudinali. Altri studi non
hanno trovato queste relazioni, mentre di solito le
relazioni diventano dirette quando si confrontano
campioni di popolazione invece di individui. Anche se
l'argomento è
ancora aperto ad ulteriori ricerche, la maggior parte
delle informazioni disponibili tendono a confermare
l'esistenza di tale relazione, ma a non ritenerla
causale. Tra l'altro tale relazione non è stata trovata
in Italia.
I timori che diete povere in grassi totali e in grassi
saturi e ricche in grassi polinsaturi siano cancerogene
vengono ridimensionati quando si considera che
usualmente esse non si associano a drastiche, ma solo a
moderate riduzioni della colesterolemia. L'orientamento
a considerare
desiderabili nell'adulto valori di colesterolemia tra
170 e 200 mg/dl tiene conto anche di questo problema.
In molti Paesi industrializzati, compresa l'Italia, la
quantità nella dieta di grassi totali, grassi saturi e
colesterolo supera notevolmente i livelli usualmente
raccomandati e, per questo, sono auspicabili variazioni
nelle abitudini alimentari. In Italia, p.e., le stime
derivanti dai "food balance sheets" indicano una quota
globale di lipidi del 32%-35% di cui il 10-12%
costituita da grassi saturi. La ripartizione tra mono e
polinsaturi è di difficile stima.
Le principali fonti di saturi grassi, in Italia, sono i
formaggi (e altri derivati del latte), la carne e oli
vegetali.
È noto che negli ultimi decenni si è verificato nel
nostro Paese un sostanziale incremento nella quota dei
grassi alimentari. Stime eseguite da parte dell'Istituto
Nazionale della Nutrizione suggeriscono che tra l'inizio
degli anni '50 e la fine degli anni '70 vi è stato un
aumento dei grassi visibili dal 12% al 19%; dei grassi
invisibili animali dal 7% all'11%, mentre non sarebbe
variato il consumo dei grassi invisibili vegetali (3%).
Le indicazioni correnti da parte di vari Comitati in
diversi Paesi suggeriscono che il complesso dei grassi
alimentari dovrebbe coprire una quota di calorie totali
non superiore al 30% (ma anche non superiore al 25%
negli adulti sedentari); i grassi saturi non dovrebbero
rappresentare più del 7-8% delle calorie totali; i
polinsaturi il 4-5%, ma sicuramente meno del 10%, mentre
i monoinsaturi dovrebbero coprire la differenza; il
colesterolo alimentare non dovrebbe superare i 300 mg al
giorno.
Va ricordato che la quota del 7-8% di grassi saturi
corrisponde a quella che caratterizza popolazioni non
malnutrite, che sono esenti dall'epidemia di cardiopatia
coronarica precoce e che presentano
una lunga speranza di vita.In generale, una dieta a
basso contenuto di grassi saturi seguita per lungo tempo
si accompagna, in popolazioni adulte, a livelli di
colesterolemia ottimali (170-180 mg/dl).
Poiché i grassi saturi sembrano rappresentare un fattore
epidemiogeno anche per il cancro della mammella e delle
ovaie e, con qualche incertezza, per quello del colon e
della prostata, tale orientamento può essere accettato
anche a questi fini. La conversione di questo indirizzo,
espresso in sostanze nutrienti, in consigli sulla scelta
e sull'uso degli alimenti è complesso e, comunque, deve
tener conto anche degli orientamenti relativi ad altre
sostanze alimentari.
Comunque, nel consigliare questo o quell'alimento, e in
particolare i grassi di condimento, non va dimenticato
che la composizione della miscela dei vari acidi grassi
negli alimenti varia a seconda della produzione agricola
della preparazione industriale, della conservazione e
del modo di cucinare. Inoltre v'è una quota di grasso
invisibile che, a seconda delle stime, varia dal 60 al
70% del totale. Infine, una quota di grassi, specie
quelli di condimento, va nello spreco e quindi la stima
del loro effetto sulla salute è sottovalutata.
Le più comuni raccomandazioni per raggiungere i già
menzionati fini nutrizionali sono quelle di limitare in
modo sostanziale l'uso di prodotti caseari come il latte
intero, panna, burro e formaggio; di carne e
principalmente di carne grassa, e carni insaccate; di
uova e cibi fritti.
In termini di grassi di condimento è opportuno preferire
gli oli vegetali (compreso l'olio di oliva) e le
margarine molli, con la raccomandazione, comunque, di
non esagerare con le dosi e di evitare le alte
temperature e i lunghi tempi di cottura.
Va posta attenzione nel limitare l'uso di cibi
preconfezionati che possono contenere elevate quote di
grassi saturi come i prodotti di bar, pasticcerie e
rosticcerie. Un altro consiglio è quello di preferire
cereali, legumi, verdure e frutta, pesce e pollame al
posto della carne.
Queste linee guida vengono raccomandate a tutti gli
individui, dai 2 anni in su. La completezza e la
salubrità di questo tipo di alimentazione è ampiamente
documentata. L'aiuto dei medici, del personale
sanitario, dell'agricoltura e dell'industria alimentare
nel favorire questi cambiamenti sarà indispensabile per
il raggiungimento di tali fini.
Vi è stata una riscoperta di questi nutrienti nell'alimentazione degli sportivi. I grassi e gli oli alimentari sono formati da tre molecole di
acidi grassi legati ad una molecola di glicerina (la glicerina può essere chiamata anche glicerolo). Mentre la glicerina non cambia ,cioè è uguale in tutti i grassi , gli acidi grassi variano notevolmente e danno le
caratteristiche tipiche di ogni grasso.Gli acidi grassi variano in peso molecolare e nei doppi legami (C=C) che possono contenere.Si dividono sostanzialmente in :saturi senza doppi legami , monoinsaturi con un
legame doppio , e polinsaturi con più doppi legami.Gli acidi grassi contenuti negli oli e in tutti gli alimenti sono comunque legati alla
glicerina.L'acido grasso più facilmente reperibile nei grassi è l'acido
oleico , un acido monoinsaturo (34% in media di tutti i grassi animali e vegetali).Una piccolissima parte di acidi grassi può essere libera , e questa determina l'acidità di un olio.Alcune sosranze di tipo lipidico
stanno incontrando un notevole interesse:Acidi grassi polinsaturi essenziali o vitamina F o EFA
(essenzial fatty acids):
acido linoleico (acido grasso di-insaturo ovvero con due doppi legami nella molecola ), acido linolenico (acido grasso tri-insaturo ovvero con tre doppi legami nella molecola) , acido arachidonico (acido
grasso penta-insaturo ovvero con 5 legami doppi nella molecola ). Questi nutrienti sono indispensabili all'organismo e non possono essere sintetizzati all'interno dello stesso. Sono reperibili in vegetali oleosi e
oli di origine vegetale ,pesce ed oli di pesce. Sono difficili da conservare poichè si ossidano facilmente e si degradano nella lavorazione a caldo
dei cibi. Sono distrutti quando i grassi vengono idrogenati (produzione di margarine).L'acido linoleico (OMEGA 6) e l'acido linilenico (OMEGA 4) si trovano comunemente in molti oli
vegetali. L'acido arachidonico è
comune in molti grassi animali e olio di pesce.l'olio di pesce ha dimostrato di poter aumentare i livelli di superossi dismutasi
(SOD) , un'importantissimo antiossidante dell'organismo .Dall'acido arachidico si
generano per via enzimatica nell'organismo le prostaglandine. L'olio di lino è particolarmente ricco di OMEGA3 , ma scarseggia in OMEGA6. Una miscela molto bilanciata è costituita dagli oli ricavati dai seguenti
semi:lino , girasole , sesamo , germe di grano , germe di avena.Anche la semplice miscela con tre parti di olio di lino e una parte di olio di
girasole ha un apporto assai bilanciato di acidi grassi essenziali. Apporto giornaliero di acidi grassi essenziali consigliata: da 4,2 a 14g.
Trigliceridi a media catena o MCT: sono un tipo di grassi che tende meno a depositarsi come tessuto adiposo rispetto ai grassi convenzionali e convenzionali e fornisce la stessa energia dei grassi
comuni (9 Kcal per grammo ).Hanno una loro validità se usati in integratori energetici. Acido
gamma-linolenico (GLA)
: è un acido grasso non essenziale molto benefico per la salute.Può essere utile per la riduzione del colesterolo , contro l'artrite reumatoide , contro l'eczema e la neuropatia diabetica.E'
contenuto al 20-24% nell'olio di borragene e al 9% nell'olio di primula. EFA e DHA:(acido eicosapentanoico e docosaesanoico ): sono acidi
grassi non essenziali , in quanto il nostro organismo puo' fabbricarli a partire dagli EFA .
In alcune condizioni (come ad esempio turbe metaboliche o dieta con basse quantità di
EFA) la sintesi di questi acidi
grassi può essere insufficente.Sono indispensabili per un buon funzionamento dell'organismo e sono contenuti in vari oli di pesce.
Acido linoleico coniugato o CLA: è un acido grasso non essenziale recentemente proposto come integratore-E' contenuto naturalmente in alcuni alimenti di origine animale (carni e formaggi) .Viene definito
come "fattore di crescita" e dovrebbe influire sull'utilizzo e stoccaggio di energia nel corpo.Viene ricavato mediante modifica dell'acido linoleico
,contenuto in moltissimi oli vegetali.Il CLA viene solitamente prodotto modificando l'olio di girasole.Gli oli vegetali non contengono naturalmente il
CLA.le dosi solitamente consigliate sono da 2 a 6
grammi al giorno.E' sicuramente un buon antiossidante , mentre le proprietà anticataboliche e dimagranti non sono del tutto dimostrate.Può essere un buon ingrediente per un integratore lipidico ,
assieme agli EFA , EPA , DHA , ai fosfolipidi e al
GLA. Lecitina:è una sostanza formata da
fosfolipidi:fosfadil colina , fosfatidil
inositolo , fosfadinil etanolamina e una piccola parte (circa 25) di fosfadil
serina.Può essere di utilità nell'alimentazione degli sportivi.
Fosfadil serina(PS): è un fosfolipide tornato alla ribalta ultimamente per aver dimostrato in alcuni studi la proprietà di bloccare in parte l'azione del cortisolo, ormone dagli effetti fortemente
catabolici. Contrastando l'azione del cortisolo, la Ps ha funzione
anticatabolica. La PS è anche un nutriente utile per il cervello , in quanto migliora le funzioni cognitive , particolarmente negli adulti e negli
anziani. La PS costituisce il 70% delle membrane delle cellule cerebrali.La fosfatilserina incrementa il turnover
dell'acetilcolina, incrementando il metabolismo energetico delle cellule cerebrali.
Grassi: scegli la qualità e limita la quantità
da Linee guida per una sana alimentazione Italiana , INRAN.
Per stare bene è
necessario introdurre con l'alimentazione una certa quantità di grassi, ma
è altrettanto opportuno non eccedere, cosa che invece spesso si verifica
nell’alimentazione degli italiani. I grassi, oltre a fornire energia in
maniera concentrata (9 calorie/g, cioè più del doppio rispetto a proteine
e carboidrati), apportano acidi grassi essenziali della famiglia omega-6
(acido linoleico) e della famiglia omega-3 (acido linolenico) e
favoriscono l’assorbimento delle vitamine liposolubili A, D, E, K e dei
carotenoidi. Un eccessivo consumo di grassi nell’alimentazione abituale
rappresenta invece un fattore di rischio per l’insorgenza di obesità,
malattie cardiovascolari e tumori.
Le quantità di grassi che
assicurano un buono stato di salute variano da persona a persona, a
seconda del sesso, dell'età e dello stile di vita: una quantità indicativa
per l'adulto è quella che apporta dal 20-25% delle calorie complessive
della dieta (per soggetti sedentari) fino ad un massimo del 35% (per
soggetti con intensa attività fisica). Così, ad esempio, in una dieta da
2100 calorie quelle da grassi possono variare da 420 a 700, corrispondenti
a 46-78 grammi. Per i bambini di età inferiore ai 3 anni, invece, la quota
di grassi alimentari nella dieta può essere più elevata. Le quantità di
grassi presenti negli alimenti, sia in forma visibile (grasso del
prosciutto, della bistecca, ecc.) che invisibile (grasso del formaggio,
ecc.), variano da un prodotto all'altro e vanno da valori molto bassi
(intorno all'1% in svariati prodotti vegetali e in certe carni e pesci
particolarmente magri) fino a valori molto alti nei condimenti: l'85% nel
burro e nella margarina e il 100% in tutti gli oli (Tabella 1). Tutti i
grassi sono uguali sul piano dell'apporto di energia, ma sul piano della
qualità possono essere molto diversi. Infatti varia la loro composizione
chimica, ed in particolare quella in acidi grassi (che possono essere
saturi, insaturi, trans) (vedi Box 1). La diversa qualità dei grassi può
avere effetti importanti sullo stato di nutrizione
e di salute dell’uomo.
Nei grassi di origine
animale, e solo in questi, si trova un altro composto, il colesterolo,
presente nel sangue (vedi box 2) e in tutte le cellule (nelle quali svolge
funzioni essenziali per la vita). Negli alimenti le quantità di
colesterolo variano da 3 mg per 125 ml (1 bicchiere) nel latte scremato a
180 mg in 1 uovo, fino agli oltre 2000 mg in 100 grammi di cervello di
bovino. Il colesterolo contenuto negli alimenti può concorrere a provocare
un aumento dei livelli di colesterolo nel sangue. Tale aumento però è
molto variabile da persona a persona. Inoltre nel nostro organismo
esistono meccanismi di autoregolazione sia per le quantità di colesterolo
alimentare che si assorbono, sia per le quantità di colesterolo prodotte
nel corpo (più colesterolo mangiamo e meno ne costruiamo). In generale,
queste ultime sono notevolmente più elevate di quelle assunte con la
dieta. I grassi alimentari, e soprattutto quelli insaturi, vanno
utilizzati preferibilmente a crudo, perché tendono ad alterarsi facilmente
per azione del calore e dell'ossigeno dell'aria, dando luogo alla
formazione di composti potenzialmente dannosi. È pertanto opportuno
scegliere metodi di cottura che non prevedano un eccessivo riscaldamento
dei grassi, e comunque evitare le temperature troppo elevate e i tempi di
cottura eccessivamente lunghi.
Come comportarsi:
• Modera
la quantità di grassi ed oli che usi per condire e cucinare. Utilizza
eventualmente tegami antiaderenti, cotture al cartoccio, forno a
microonde, cottura al vapore, ecc.
• Limita il consumo di
grassi da condimento di origine animale (burro, lardo, strutto, panna,
ecc.).
• Preferisci i grassi da
condimento di origine vegetale: soprattutto olio extravergine d'oliva e
oli disemi.
• Usa i grassi da
condimento preferibilmente a crudo ed evita di riutilizzare i grassi e gli
oli già cotti.
• Non eccedere nel consumo
di alimenti fritti.
• Mangia più spesso il
pesce, sia fresco che surgelato (2-3 volte a settimana).
• Tra le carni, preferisci
quelle magre ed elimina il grasso visibile.
• Se ti piacciono le uova
ne puoi mangiare fino a 4 per settimana, distribuite nei vari giorni.
• Se consumi tanto latte,
scegli preferibilmente quello scremato o parzialmente scremato,
che comunque mantiene il suo contenuto in calcio.
• Tutti i formaggi
contengono quantità elevate di grassi: scegli comunque quelli più magri,
oppure consumane porzioni più piccole.
• Se vuoi controllare
quali e quanti grassi sono contenuti negli alimenti, leggi le etichette. |