Si sa, ad esempio, che l'acido ascorbico favorisce
l'assorbimento del ferro e il suo frasferimento alla ferritina. I meccanismi
di molti dei suoi effetti fisiologici non sono ben chiari, e il metabolismo
dell'ascorbato risulta alterato in molte malattie. Supplementazioni di acido
ascorbico producono effetti favorevoli in svariate condizioni patologiche:
alcuni di questi effetti (una parte dei quali è elencata nella tabella 2)
(4) sono tuttora controversi o non ben stabiliti. In ogni caso, però, i dati
a disposizione sembrano indicare che il ruolo più significativo dell'acido
ascorbico possa essere quello che lo vede agire (unitamente ad altri agenti
riducenti, quali altre vitamine come l'alfa-tocoferolo e il beta-carotene,
enzimi come la catalasi e la superossidodismutasi e composti come il
glutatione) nei processi di riduzione che minimizzano i danni legati ai
fenomeni ossidativi. Nel sangue e in altri fluidi extracellulari gli
antiossidanti più importanti sono appunto la vitamina C e la vitamina E, le
quali agiscono spesso in sinergia fra di loro - ad esempio nell'inibire la
perossidazione lipidica (5,6) - o con elementi-traccia come il selenio.
Questo ruolo dell'acido ascorbico prevede
anche il mantenimento - in alcuni enzimi degli ioni ferro e rame nella loro
necessaria forma ridotta e la neutralizzazione dei pericolosi agenti
ossidanti e dei radicali liberi. Le osservazioni che rafforzano il concetto
che la funzione primaria dell'acido ascorbico sia quella antiossidante sono
numerose (4). E' giusto quindi considerare la vitamina C come uno degli
agenti che proteggono l'organismo contro le ossidazioni provocate da alcuni
radicali liberi, ossia contro certe reazioni che possono causare danni
cellulari anche notevoli nei sistemi viventi.
Si ritiene infatti che il danno provocato dai
radicali dell'ossigeno di produzione endogena sia fra i fattori che
maggiormente contribuiscono all'invecchiamento dei tessuti e a molti
processi degenerativi ad esso legati, compresi il cancro, le
cardiovasculopatie e le disfunzioni cognitive (7-9). Una supplementazione
dietetica quotidiana variante da 60 a 250 mg di acido ascorbico si è ad
esempio dimostrata sufficiente nell'uomo a proteggere il DNA delle cellule
spermatiche da danni ossidativi di origine endogena, e quindi ad allontanare
tanto il rischio di mutazioni trasmissibili ereditariamente quanto quello di
una aumentata incidenza nella prole di difetti congeniti, malattie genetiche
e tumori, particolarmente in soggetti con bassi livelli di acido ascorbico,
come nei fumatori (10). Come detto, i meccanismi precisi della azione
antiossidante della vitamina C non sono stati ancora ben compresi e sono
oggetto tuttora di discussione. Sembra appunto probabile che questa funzione
protettiva sia duplice, ossia si esplichi tanto attraverso la riduzione dei
gruppi già ossidati nei centri prostetici degli enzimi, quanto attraverso
una rimozione degli agenti ossidanti e dei radicali liberi. In certe
situazioni, poi, l'acido ascorbico sembra poter agire anche come
proossidante, particolarmente in presenza di ioni metallici: quest'ultima
azione sembra però di scarsa importanza in vivo (11, 12).Prosegue in ogni
caso senza soste il dibattito scientifico circa certe funzioni biologiche
dell'acido ascorbico, quali la protezione contro i tumori e gli effetti di
rallentamento dell'invecchiamento cellulare, ed anche circa i rischi legati
alle "megadosi". E infatti da lungo tempo che l'acido ascorbico, come
accennato, è al centro di molte attenzioni come possibile fattore di
prevenzione o di terapia per una serie di affezioni quali (a parte lo
scorbuto) certi tumori, l'arterosclerosi, le epatiti, l'asma, la TBC, ecc.
Per lo più le prove scientifiche a favore di tali effetti sono scarse. Nel
1992 sono però state pubblicate (13) le conclusioni relative ad uno studio
epidemiologico statunitense (NHANES I) condotto su più di 11 mila adulti,
circa la correlazione esistente fra consumi di vitamina C e mortalità. I
soggetti inclusi nello studio sono stati seguiti lungo un arco di dieci
anni, ed i risultati hanno messo in evidenza una correlazione inversa (forte
nei maschi e più lieve nelle donne) fra indice di mortalità per ogni causa e
consumo di vitamina C; tale correlazione permane dopo aggiustamento per età,
sesso e 10 variabili potenzialmente confondenti, quali fumo di sigaretta,
razza, storia sanitaria, ecc. In particolare, coloro che assumevano dosi
quotidiane di vitamina C da 50 a 300 mg hanno mostrato, nell'arco dei 10
anni, una diminuzione del 42% della mortalità complessiva e del 45% della
mortalità per malattie cardiovascolari (10% nelle donne), rispetto ai
controlli la cui assunzione di vitamina C era al disotto delle "dosi
raccomandate".
Il massimo della considerazione - sia fra i
ricercatori che nella mentalità comune - la vitamina C lo ha però ricevuto
in relazione all'ipotesi di una sua azione preventiva o curativa nei
confronti delle malattie da raffreddamento, come il comune raffreddore,
l'influenza, ecc.
La convinzione che forti dosi di acido
ascorbico possano prevenire i raffreddori o ridurne l'incidenza, oppure
anche curare un raffreddore già presente, data dagli anni '40, ed è stata
poi largamente diffusa e sostenuta soprattutto dal premio Nobel Linus
Pauling (14-16).
Sull'argomento sono stati compiuti numerosi
studi, non tutti impeccabili dal punto di vista metodologico, la cui
valutazione è sempre stata piuttosto complicata, anche per la difficoltà di
identificare il comune raffreddore come una ben definita entità morbosa.
Più recentemente, un ricercatore
dell'università di Helsinki, Harri Hemilä (17) ha cercato di fare il punto
sulle conoscenze disponibili, analizzando 20 studi condotti dal 1970 in poi
su soggetti che ricevevano regolarmente almeno un grammo di vitamina C al
giorno. Ebbene, pur con tutte le cautele del caso, questa analisi ha
permesso di rilevare che in queste persone il numero dei raffreddori non era
diminuito, mentre invece erano diminuite la durata dell'affezione e la
gravità dei relativi sintomi. A malattia già iniziata, invece, i possibili
benefici sembrano più dubbi.
Questo, quindi, l'andamento generale, anche
se talvolta la vitamina C sembra essere più efficace sulle sensazioni
soggettive di severità del raffreddore piuttosto che sui sintomi oggettivi.
Tutto ciò non attenua il significato clinico della vitamina, e fa pensare
che l'effetto principale non consista in una stimolazione del sistema
immunitario. Hemilä avanza invece l'ipotesi che l'acido ascorbico agisca sia
sopprimendo i fenomeni dannosi innescati dalla infezione virale, sia
impedendo quel calo dei livelli vitaminici che è invece la regola nel corso
del raffreddore: meccanismi che, appunto, sono adatti ad agire più sulle
sensazioni soggettive della severità della affezione che non sulla entità
oggettiva dei sintomi. Quali sono i meccanismi biochimici attraverso i quali
la vitamina C potrebbe esplicare questi suoi effetti sulle malattie da
raffreddamento?
E' noto già da qualche anno che la vitamina C
influenza positivamente la capacità battericida e la fagocitosi nei
neutrofili e nei macrofagi, e sembra agire sulle risposte immunitarie,
stimolare la produzione di interferone, migliorare la capacità di produzione
di linfociti T, ecc. La più recente ipotesi circa la sua azione sui sintomi
del raffreddore è però la seguente. Si sa che, in caso di infezione, i
leucociti neutrofili delegati ad operare la fagocitosi vengono attivati e
producono (e liberano) anche una serie di composti ossidanti che prendono
parte, all'interno dei fagosomi, alla distruzione dei virus e dei batteri.
Questi composti, però, in parte fuoriescono dalle cellule e sono in grado di
esercitare effetti dannosi sull'organismo, in particolare su composti
biochimici sensibili, sia nello spazio extracellulare che nelle membrane
cellulari. Ebbene, a parere di Hemilä, l'acido ascorbico, a concentrazioni
fisiologiche, eserciterebbe una azione protettiva proprio nei confronti di
tali effetti dannosi. Oggi, come già ricordato, si guarda con sempre
maggiore attenzione alla possibilità che i radicali dell'ossigeno, prodotti
dai neutrofili nonché attraverso molti altri meccanismi, abbiano un ruolo in
svariati disturbi, quali malattie causate da immunocomplessi, la tossicità
di certi farmaci, la aterosclerosi, i tumori e numerose altre affezioni
(18-22). Ebbene, è probabile che i radicali dell'ossigeno abbiano in vivo un
ruolo nelle infezioni respiratorie da virus, e che la vitamina C, in
concentrazioni sufficientemente elevate, sia in grado di fornire una
protezione simile a quella della superossidodismutasi, reagendo con le
sostanze ossidanti libere. Questa reazione avrebbe, di conseguenza, due
implicazioni: da un lato una diminuzione della ossidazione di vari composti
sensibili nel plasma e nelle membrane cellulari, e, dall'altro, anche una
ridotta concentrazione di acido ascorbico (dovuta proprio alla sua
ossidazione) e quindi anche un ridotto livello di molte altre reazioni
Cdipendenti alle quali la vitamina C partecipa nell'organismo. Il parere di
Hemilä è che la reazione della vitamina C con le sostanze ossidanti libere
costituirebbe un modello ragionevole per spiegare i benefici osservati
studiando il comune raffreddore. Questo peraltro non esclude che vi possano
essere anche altre reazioni attraverso le quali la vitamina C potrebbe
essere collegata al raffreddore. E, d'altra parte, la constatazione che
durante una malattia da raffreddamento i livelli di vitamina C nei
leucociti, nel plasma e nelle urine diminuiscano, costituisce una
indicazione precisa circa il fatto che la vitamina sia utilizzata nel corso
dell'infezione. Una ragione possibile può essere proprio la attivazione dei
neutrofili. La rassegna di Hemilä si chiude non solo con la conclusione che
la vitamina C allevia i sintomi tipici delle malattie da raffreddamento,
secondo meccanismi abbastanza ben comprensibili sul piano biochimico, ma
anche con l'osservazione che le dosi ottimali e il reale significato della
vitamina C non possono essere completamente chiariti sulla base degli studi
condotti finora.
Sempre in questo campo può essere
interessante richiamare i risultati di uno studio molto recente svolto su
corridori partecipanti a gare di ultramaratona (corse di lunghezza superiore
ai 42 km) (23). E' tipico di questi sportivi andare incontro, nei giorni
successivi alla gara, ad un aumento dei sintomi di infezioni delle vie
respiratorie superiori, dovuto forse ad una diminuita resistenza
antinfettiva provocata dallo sforzo sostenuto. Ebbene, la assunzione
quotidiana di 600 mg di vitamina C nelle 3 settimane precedenti la gara ha
portato ad una significativa diminuzione (33% contro 68%) del numero dei
soggetti che accusavano i disturbi, rispetto ai controlli che avevano
assunto un placebo. Secondo gli AA. questi risultati fanno pensare che
l'effetto protettivo anti-infettivo di una supplementazione di vitamina C
possa essere maggiore nelle persone la cui resistenza alle infezioni sia
ridotta da stress collegati a sforzi fisici di particolare intensità. Quello
delle dosi è in realtà un notevole problema, considerato che la vitamina C
viene largamente impiegata nelle "terapie megavitaminiche" (a dosi eccedenti
di 10 e più volte quelle raccomandate), che spesso sono autoterapie e che
possono essere accettabili, sotto attento controllo medico, solo in casi del
tutto particolari. Infatti, se è vero che, essendo l'acido ascorbico
solubile in acqua, gli eccessi vengono facilmente eliminati per via renale,
è anche vero che la letteratura segnala numerosi casi di disturbi da consumo
eccessivo, quali diarrea (anche con dosi di un grammo al dì ), uricosuria,
calcolosi renale da ossalati (in soggetti predisposti) (24), potenziamento
degli effetti negativi degli estrogeni, ecc. Se c'è anche chi ha osservato
(25) che molti dei rischi potenziali sembrano infondati, e che al contrario
disponiamo di informazioni che fanno pensare che l'azione favorevole della
vitamina C sia maggiore a dosi più alte, vale comunque, secondo la maggior
parte degli studiosi, la regola prudenziale di non eccedere né nelle dosi
elevate né nel relativo periodo di somministrazione.
Il fabbisogno quotidiano normale dell'adulto
è indicato dai LARN (livelli di assunzione giornalieri raccomandati di
energia e nutrienti per la popolazione italiana) (26) in 45 mg (60 per le
RDA statunitensi), con un aumento di 20 e di 40 mg nella gravidanza e
nell'allattamento. Molte infezioni riducono in modo non-specifico le
concentrazioni dei tessuti in acido ascorbico (il che aumenta il relativo
fabbisogno) ed alcune infezioni si verificano più facilmente nei soggetti in
cui vi è deplezione di acido ascorbico (27), anche se dosi elevate della
stessa sostanza sembrano avere un valore profilattico debole e ben poca
utilità nella cura delle infezioni nell'uomo.
Ciò non toglie che in certe affezioni, quali
il comune raffreddore, il livello di assunzione assicurato da una dieta
normale possa effettivamente essere troppo basso rispetto alle particolari
esigenze dell'organismo. In sostanza, c'è da osservare che le
raccomandazioni nutrizionali, che sono intese come le quantità adatte a
coprire i fabbisogni di una persona sana, hanno soltanto lo scopo di
impedire le carenze più evidenti e non sono basate su studi mirati a
determinare le quantità più indicate per il regolare svolgimento delle altre
reazioni nelle quali la vitamina è implicata (sia quelle in cui agisce come
importante fattore per il funzionamento di numerosi enzimi, sia quelle di
tipo non enzimatico). Su queste basi si sta facendo quindi strada l'opinione
che le dosi raccomandate possano ad esempio essere insufficienti a garantire
una buona protezione contro gli agenti ossidanti: per questo tipo di
protezione c'è chi ha suggerito una dose giornaliera raccomandata più alta,
intorno ai 150 mg (28). La discussione è comunque aperta. Il discorso della
insufficienza - in vista di esigenze particolari - delle dosi suggerite per
soggetti normali in buona salute può valere anche per i fumatori di
sigaretta, nei quali il turnover metabolico della vitamina C è accelerato e
l'assorbimento intestinale è alterato (29). In effetti i fumatori, rispetto
ai non fumatori, presentano valori plasmatici di vitamina C inferiori (vedi
tabella 3), (30, 31), ed hanno molto probabilmente maggiori fabbisogni in
questa vitamina in relazione al fatto che essa viene maggiormente consumata
per proteggere i lipidi di membrana, i lipidi plasmatici e le lipoproteine a
bassa densità dal danno ossidativo radicalico, particolarmente presente in
chi fuma abitualmente. Si ritiene infatti che la carenza di ascorbato
contribuisca all'aumentato rischio di malattie cardiovascolari dei fumatori
(32, 33). Un tentativo di calcolare quali siano i reali bisogni in vitamina
C dei fumatori può essere compiuto partendo dall'ipotesi che gli effetti del
fumo di sigaretta sugli antiossidanti presenti nel plasma umano
costituiscano un modello che aiuti a capire cosa possa accadere a livello
della secrezione broncopolmonare dei fumatori. e quindi a calcolare quale
intake surpplementare di vitamina C sia necessario per ogni sigaretta fumata
(34). Su questa base si è riusciti ad accertare che il consumo di ascorbato
ammonta a 0,8 mg per ogni sigaretta fumata, e quindi a 16 mg al dì per chi
fumi un pacchetto di sigarette al giorno. Inoltre (35) va considerato che
l'acido ascorbico potrebbe essere un fattore protettivo antifumo
particolarmente importante nell'apparato respiratorio, dato che i fluidi
della secrezione broncopolmonare sono, rispetto al plasma, più ricchi in
acido ascorbico e più poveri in molti altri antiossidanti, quali albumina,
gruppi SH, ecc. Né va dimenticata la possibile presenza di altri fattori
ossidanti innescati dal fumo, quali la maggiore produzione di specie
reattive dell'ossigeno da parte dei fagociti attivati. Naturalmente, come
gli AA. tengono a precisare, quella riportata (35) è soltanto una proposta
di calcolo della supplementazione consigliabile ai fumatori sulla base del
numero di sigarette fumate ogni giorno, e non vuole assolutamente far
pensare che dare maggiori quantità di acido ascorbico possa attenuare o
cancellare qualcuno dei molti altri effetti deleteri del fumo di sigaretta.
In sintesi, sono numerosi i dati che
permettono di concludere che per i fumatori il rischio di essere in carenza
di vitamina C è maggiore di quanto non sia per i non-fumatori. Ne deriva
(29) l'opportunità di rivedere le dosi raccomandate di assunzione per questa
categoria di persone, come già fatto fin dai primi anni '80 da Canada, Nuova
Zelanda e Francia, Paesi che hanno suggerito rispettivamente dosi di 140, 75
e 120 mg al dì contro i 50-60 precedentemente consigliati (36-38).
Molto opportunamente, anche nelle ultime RDA
statunitensi (39) la dose raccomandata di assunzione di vitamina C è stata
aumentata per i fumatori da 60 mg/die a 100 mg/die.
Va osservato che resta comunque da stabilire
se quest'ultima raccomandazione possa considerarsi sufficiente. Infatti,
secondo i risultati di un altro studio epidemiologico (NHANES II) (40), i
fumatori avrebbero bisogno di almeno 150 mg di vitamina C di origine
alimentare al giorno per raggiungere i normali livelli plasmatici
comparabili a quelli riscontrati nei soggetti non fumatori, i quali ultimi
soddisfacevano giornalmente il loro fabbisogno di 60 mg di vitamina C nella
dieta. Per quanto riguarda il rischio di livelli ematici patologici di
vitamina C - rischio che, come detto, è molto maggiore nei fumatori - questi
ultimi avrebbero bisogno, secondo gli autori, di 200 mg/die di vitamina C
per avere la stessa probabilità di rischio dei non-fumatori che ne consumano
60 mg/die.
Livelli di fabbisogno particolarmente
elevati, come quelli cui si è accennato, possono presentare difficoltà
pratiche di copertura, specialmente se si considerano le abitudini
alimentari, spesso alterate, dei forti fumatori. E' quindi necessario che
queste persone siano indirizzate ad una radicale modifica dei propri costumi
alimentari e ad un complessivo riequilibrio della propria dieta. Lo stesso
discorso deve però valere per la popolazione in generale. In una parola, è
essenziale ribadire la convenienza a procurarsi in qualunque situazione la
dose quotidiana indicata di acido ascorbico principalmente attraverso gli
alimenti che ne sono ricchi: molti tipi di frutta (soprattutto agrumi, kiwi,
fragole, meloni, patate dolci, ecc.) e molti ortaggi verdi (quali peperoni,
spinaci, piselli, cavolfiori, lattuga, indivia, ecc.). Va ricordato che, per
garantirsi un maggior apporto di vitamina C, tali alimenti vanno di
preferenza consumati allo stato fresco. Infatti, la vitamina C, a causa
soprattutto della sua facile ossidabilità, esaltata dalla esposizione alla
luce e al calore, e della sua solubilità in acqua, è uno dei principi
nutritivi più delicati, e risente notevolmente della cottura e dei
trattamenti tecnologici, oltre che della lunghezza dei tempi che
intercorrono fra raccolta e consumo, al punto di essere comunemente usata
come indicatore degli effetti che i trattamenti tecnologici hanno sulla
qualità del prodotto. Ad esempio, è stato calcolato che tre giorni di
conservazione provocano perdite di vitamina C che vanno dal 36 all'80% in
ortaggi freschi, e dal 35 al 45% in ortaggi surgelati.
La normale cottura, dal canto suo, può
causare perdite di vitamina C comprese fra il 25 e il 60%, a seconda del
prodotto di partenza, della durata del trattamento e delle condizioni in cui
questo avviene. L'effetto dei processi tecnologici di conservazione è molto
variabile. L'inscatolamento, ad esempio, provoca perdite che oscillano dal
50 all'80% nei vegetali (fino al 65% nella frutta) e dal 6 al 30% nei succhi
di frutta. La surgelazione, invece, contiene tali perdite entro ambiti molto
più ridotti (12-35%, e fino al 50%, nei vegetali, specialmente dopo il
blanching", e solo 4% nei succhi di frutta) e a volte, per periodi di
conservazione non troppo prolungati, la evita del tutto, perché blocca le
attività metaboliche che invece proseguono nel prodotto fresco.
Va infine ricordato che resta valido il
concetto di scoraggiare nella popolazione generale l'automedicazione, specie
se irragionevolmente prolungata. con dosi troppo elevate di acido ascorbico
assunte sotto forrna di preparati farmaceutici.
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