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Chiesa, Madre mia!

Fenomenologia di una catena di avvenimenti

di Roberto Pompilii

Ritorno a scrivere, ebbene sì. Rispondo così ad un’esigenza che avvertivo da tempo e che fin troppo ho trascurato, provocando nel mio animo non poche frustrazioni ed inconsce depressioni.

Procederò a ruota libera, non me ne voglia quindi chi ricerca in un articolo metodo e sistematicità. Sento la necessità di condividere determinate emergenze ed uno strumento privilegiato per farlo, ad oggi, mi è offerto da questo giornale, quindi ne approfitto, punto e basta. Mi si perdonino, infine, citazioni non proprio appropriatissime o riferimenti di fatto non puntuali, chiedo di aver fiducia nel fatto che lo spirito che mi anima è tale da giustificare certe approssimazioni od inesattezze.

Veniamo al dunque: Gesù Cristo ha portato la spada nel nostro mondo ed in virtù di questo ha chiesto ad ogni suo discepolo di essere annunciatore di pace e di giustizia. Ne consegue che essere cristiani significa essere viventi custodi di un paradosso che è, nella sua portata, di per sé, dilaniante e struggente. Seguire quel figlio di un falegname che ad un certo punto della sua vita ha iniziato a spargere la voce dicendo di essere l’Unigenito di Dio, nonché il Salvatore del mondo comporta l’aderire ad un Avvenimento così misterioso da annichilire ogni intelligenza e piegare ogni autocoscienza che in esso non scelga di fondarsi.

Dio, presuntuosamente immagino, in quell’atomo di tempo in cui decise di incarnarsi, cioè di rendersi simile a quell’essere da Lui già creato e che da Lui già si era allontanato, ebbe come un tremito, o meglio, un’intuizione attraverso la quale scelse, decise il nuovo modo secondo il quale impostare il legame con la propria discendenza. Da un lato, rafforzare, rendere più fruttuosamente stringente il vincolo di unione con il figlio obbediente, il nuovo erede di Adamo, quindi il seguace del Nuovo Adamo, cioè di Cristo; dall’altro esigere dal medesimo una più radicale forma di obbedienza, ovverosia la Croce, simbolo non così tanto simbolico di quelle sofferenze che Gesù sopportò in piena libertà per i suoi amici, peccatori di ogni tempo.

Un dare/avere non proprio ragioneristico ma di certo metafisicamente assurdo. Sì, perché da un lato c’è Dio e dall’altro c’è l’uomo, cioè tu, io, mio fratello, tuo nonno, mio cugino, la tua fidanzata eccetera.

E’ un nodo, questo, che in modo terribilmente pericoloso, oggi, si finge di non dover considerare decisivo dei nostri rapporti interpersonali e del nostro vivere "normale".

Dopo questa premessa, certamente confusa (ma di ciò già mi sono scusato) passo a descrivere l’essenza di episodi che in prima persona ho vissuti e che hanno destato in me la coscienza di un allarme che non può non essere avvertito da tutti i cristiani e che quindi va, come dice un mio carissimo amico, "gridato sui tetti" e annunciato a tutte le genti anche a costo di essere ridicolizzati e - perché no? – perseguitati.

Il sentimento diabolico-borghese che pervade ogni nostro costume, ogni più banale atto del nostro pensare, del nostro agire e soprattutto del nostro immaginare, dobbiamo renderci conto che è assolutamente antitetico a quell’habitus cristiano che dovrebbe conformare, strutturare lo scorrere delle ore della nostra giornata.

Ora, io credo, il nocciolo della questione deve giocarsi in un concretissimo interrogativo che, al di là di leniniani fraintendimenti, potrà e dovrà suonare così: che fare?

Certo, la riflessione deve necessariamente concentrarsi ed incentrarsi su cosa concretissimamente dover fare e quindi su come reagire a questa più o meno sentita oppressione/repressione.

Che fare?

A mio avviso, dobbiamo brandire la spada che Cristo ci ha portato,si, dobbiamo recuperare l'originaria, autentica temerarietà di chi afferma

che il Verbo si fatto carne. Dobbiamo reagire al violento buon senso di chi ci dice che Gesù un mito, o di chi cerca di razionalizzarlo,

riducendolo cos ad una gran bella morale, utile ad una società evoluta ed

in continuo progresso. No, il nostro Signore non ci perdonerebbe simili

compromessi.

Ho visto troppi uomini dirsi cristiani pur non essendosi mai posti

seriamente l'interrogativo "Chi veramente Cristo?", "Cosa vuole da me

Costui?". Sono continuamente circondato da individui che bramano una

felicit che non quella promessa da Cristo e che si professano liberi,

mentre adorano un'infinit di idoli. E sinceramente inizio a temere di essere anch'io uno di loro.

Il sentimento che più vivamente mi sta inquietando la maternità della Chiesa.

"Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre" diceva Sant'Agostino. Il dio dei nostri giorni, il dio persino di molte comunità cristiane somiglia sempre pi al dio filosofico, ad un'idea metafisica, perché troppo poco facciamo esperienza di un'appartenenza vissuta alla Chiesa. Io ho perduto mio padre all'età di 10 anni, ma oggi posso dire di conoscerlo, grazie a mia madre, grazie al suo amore per me, pregno e segno di quell'amore mi ha generato. Ma, parafrasando un salmo, se anche mia madre mi avesse abbandonato, io oggi potrei comunque giungere al Padre vivendo la Chiesa.

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