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GRANDE FRATELLO: RIPENSANDOCI ANCORA…

di Simona Baldanza

Rivoluzione mediatica, evento dell'anno, 12 milioni di telespettatori, e potremmo continuare così ancora per molto, perché in effetti proprio tanto, sicuramente troppo, è stato detto, scritto, pensato e non detto, detto e non pensato di questo fantasmagorico Grande Fratello. Dopo la lunga eco di commenti che si è lasciato dietro, ci fermiamo per un attimo a riflettere su alcuni risvolti del fenomeno che possono ricondurci un po' anche alla nostra vita e alla società in cui viviamo.

 

Tutti ne hanno parlato e, più o meno tutti, ne hanno seguito almeno qualche episodio, così da poterne parlare dopo.

 

Se da un lato, però, c'era chi si divertiva a commentare i personaggi, le vicende e gli amplessi, da un altro questo ha rappresentato un succulento argomento per chi non si lascia sfuggire occasione per lanciare, probabilmente anche a ragione, bacchettate.

E così, nel banco degli imputati hanno spiccato i giovani, accusati di ignoranza, di vacuità, di superficialità. Ma chi c'era veramente tra il pubblico del G.F.? Tutti, c'erano proprio tutti. Da chi lo guardava per curiosità a chi lo scrutava come fenomeno socio-culturale, a chi infine, lo seguiva pedissequamente in tutti i suoi eventi.

Si è parlato di voyeurismo degli italiani, di una perversa e morbosa voglia di spiare gli altri nella loro quotidianità, nella loro vita privata. E, in effetti, un po' di verità in questo c'è. Ma non credo che si possa limitare questa considerazione agli spettatori del G.F. Se da un lato assistiamo al successo di colossal veri e propri (vedi "Il Gladiatore", "Mission impossible" e simili), da un altro riscuotono sempre più successo programmi che offrono un ritratto reale della gente, nella sua più assoluta normalità, nella sua quotidianità, appunto.

Ma perché si cerca il quotidiano sugli schermi? Perché si vuole sapere degli altri e delle loro vicende più insulse e banali? Perché piace guardare Rocco e Marina che fanno colazione in cucina, con gli occhiali da sole, assonnati, nel più assoluto silenzio?

Una sete di banalità, di normalità, di noi.

Sicuramente in questo c'è una spinta curiosità nell'attesa dello scoop, dello scandalo, del gesto trasgressivo, che potrebbe essere sempre in agguato, condito magari con qualche abile tocco di sesso.

A mio avviso, però, si tratta anche di un tentativo di guardarsi allo specchio, forse nella ricerca di un'identità o di quella identità che gli altri conoscono di noi. Forse vogliamo sapere come siamo e come sembriamo nella nostra vita di tutti i giorni. Ci piace guardarci nelle vetrine all'improvviso in mezzo alla strada, perché cogliamo in un colpo d'occhio la nostra immagine riflessa, proprio così come la stanno vedendo gli altri in quel momento. E' un po' il naso di Vitangelo Moscarda, quel naso che un bel giorno guardato allo specchio scatena una tempesta interiore, tempesta che fortunatamente, o sfortunatamente, non ci ha scatenato il Grande Fratello.

In una società e in un'epoca dove ogni minuto siamo bombardati da novità, da immagini di cose e persone, di identità sempre diverse, ma spiccate e quasi sempre vincenti, ad un certo punto arriva quel momento in cui alla ricerca della nostra identità, forse per pigrizia, preferiamo, o giochiamo a preferire, immaginarla o addirittura vederla riflessa in qualcosa che è fuori di noi.

Non vuol dire che chi ha guardato il G.F. era alla ricerca della sua identità nella casa dei dieci, ma sicuramente può essere stato divertente per un attimo immaginare di essere lì, in quella quotidianità. E magari ci è piaciuto poterci rispecchiare in uno dei dieci ruoli che sono stati creati ad hoc per noi e per la casa.

E poi importanti e visti dagli altri, perché no? Immaginare che milioni di persone possano ascoltare per una volta la nostra opinione sull'ultima novità lanciata dai mass media o addirittura sui valori in cui crediamo. Oppure essere ascoltati in un racconto su qualche episodio o su una storia importante della nostra vita. Raccontarsi pubblicamente, uscire allo scoperto, anzi, fingere che sia così, perché farlo davvero sarebbe molto, troppo difficile.

Certo, queste fantasie di grandezza o di false identità non appaiono poi come fenomeni del tutto "sani" e ci stanno anche bene, se ci limitiamo a considerarli come un gioco, come un diversivo passeggero. Se, però, andiamo a considerare le tante altre problematiche che si trovano a dover affrontare soprattutto i giovani nella nostra odierna società, forse, passa un po' la voglia di giocare e di sorridere. Ricercare la vita privata degli altri, la loro quotidianità, e rispecchiarvisi, magari identificarvisi, potrebbe essere un sintomo. Un sintomo come tanti già esistenti, che stanno lì, a farci riflettere sulla scarsità di punti di riferimento a cui un giovane possa rivolgersi. In una società in cui la famiglia continua a sgretolarsi giorno dopo giorno, le istituzioni deludono sempre più le aspettative e le ideologie sono solo belle confezioni che contengono poco o nulla, diventa sicuramente più facile ricercarsi nella superficialità e nella sciocca banalità. Qualcuno ha detto che i dieci rappresentano i giovani nella loro vita e nei loro pochi e superficiali contenuti. Personalmente non sono d'accordo, tuttavia il fatto che per alcuni di loro siano diventati dei modelli fa pensare.

Del resto siamo abituati anche a chiacchiere di questo tipo e il G.F. è stata solo un'occasione in più per poterne parlare, ma in fondo è stato un gioco. Insomma, è abbastanza inutile dire quanto i dieci siano stati rappresentativi della società, dei giovani, della televisione che ci viene propinata ogni giorno, non perché tutto questo non sia vero e non condivisibile, ma perché forse è stato sovraccaricato di risvolti e significati. Tanto vale calarsi nel gioco per un po' e chiedersi perché accettiamo di giocare, finché ci piace e finché ne abbiamo voglia.

 

[SCHEDA] LO SAPEVATE CHE….? di Luigino Rosati

"Era una di quelle fotografie prese in modo che gli occhi vi seguono mentre vi muovete. IL GRANDE FRATELLO VI GUARDA, diceva la scritta appostavi sotto…Quell'apparecchio (che veniva chiamato teleschermo) si poteva bensì abbassare ma non mai annullare del tutto…Qualsiasi suono che Winston avesse prodotto, al di sopra di un sommesso bisbiglio, sarebbe stato colto; per tutto il tempo, inoltre, in cui egli fosse rimasto nel campo visivo comandato dalla placca di metallo, avrebbe potuto essere, oltre che udito, anche veduto. Naturalmente non vi era nessun modo per sapere esattamente in quale determinato momento vi si stava guardando. E sarebbe stato anche possibile che guardasse tutti e ininterrottamente… Si doveva vivere (o meglio si viveva, per un'abitudine che era diventata, infine, istinto)…" Da George Orwell "1984"

Non tutti sanno che il padre di questo Grande Fratello è Eric Arthur Blair, vero nome di George Orwell. Nel suo libro "1984", scritto nel 1948, di cui riportiamo sopra alcuni stralci, l'autore mette in luce una fortissima critica nei confronti dei sistemi di potere totalitaristi, che come in questo caso vogliono tutto vedere e tutto controllare anche attraverso i loro teleschermi. Il fine ultimo era raggiungere una forma di potere a 360° sui corpi e sulle menti, culminante con l'annullamento dell'identità individuale dei singoli, obbligati a pensare, vivere, muoversi tutti allo stesso modo, tutti insieme. Salvo poi trovare un eroe che, come Winston, si renda conto della situazione e combatta contro questo tipo di società. Chi ci salverà oggi da questo Grande Fratello? Quello che per Orwell era una forma di limitazione imposta, ora diventa una scelta, seppure per un periodo limitato, per diventare famosi. Più ci si spoglia, più si esprimono idee del tutto vuote di contenuto, ma in compenso ricche di parole non proprio oxfordiane, e più corta è la strada della notorietà. Chi sarà l'eroe che troverà la breccia di luce in fondo al tunnel oscuro? Forse potresti essere tu…

 

 

 

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