Le
cellule microbiche, vegetali e animali possono venire ingegnerizzate con
la finalità di fare loro acquisire nuove e specifiche caratteristiche
funzionali: è così possibile creare nuovi microrganismi capaci, ad
esempio, di degradare molto efficientemente gli inquinanti ambientali (biorisanamento),
oppure nuove varietà di piante e animali, cosiddetti transgenici, capaci
di resistere, ad esempio, alle malattie infettive e infestive, e di
produrre alimenti in maggiore quantità e di migliore qualità.
In
poche righe ho riassunto tutte le potenzialità che possono nascere dalla
applicazione delle Biotecnologie sia nell’ambiente animale che vegetale.
Non
è certo facile orientarsi nel dedalo delle informazioni – e
disinformazioni – sugli organismi geneticamente modificati (detti per
questo organismi OGM). Siamo infatti, dal punto di vista della ricerca
"all’anno zero" delle conoscenze circa le ripercussioni di
tali applicazioni della scienza nell’ambito della Biologia. Con questo
articolo si spera di dare una piccola illuminazione a riguardo.
Con
un decreto del Ministero della Sanità, è stata autorizzata per la prima
volta in Italia la sperimentazione su trapianto di organi da una specie
animale (maiale) a un’altra specie animale (scimmia). Il decreto è
stato trasmesso in anteprima dall’ex Ministro Rosy Bindi agli
organizzatori di Bionova, il primo Salone in Italia (a Padova) sulle
Biotecnologie. Durante il Salone è emerso un altro importante risultato
sull’ingegnerizzazione dei tessuti per l’uso della pelle artificiale,
la riproduzione dell’ aroma del vino con le biotecnologie, un
bioinsetticida per debellare la zanzara tigre e prodotti biotecnologici
per l’alimentazione animale. Ma il settore che sembra attirare
maggiormente l’attenzione del pubblico, che si sente più direttamente
coinvolto dall’impatto delle biotecnologie sull’ambiente e
sull’alimentazione, è quello dell’agricoltura: si è parlato a lungo
di cellule vegetali in provetta, frutta durevole, embrioni bovini in
laboratorio…….mentre nel mondo sono già coltivati già 60 milioni di
ettari con sementi transgeniche.
L’Italia,
in generale, mostra chiaramente un atteggiamento negativo nei confronti
degli organismi ganeticamente modificati. Anche se la biotecnologia
alimentare si prospetta come l’industria del futuro nel nostro
paese essa è stata assunta come paradigma negativo. In Europa sono stati
approvati solo nove prodotti transgenici, tra cui mais e soia, che prima
di passare al piatto devono superare lunghissimi iter. La verità è che
il consumatore è un po’ anche un "dittatore" che di fatto ha
maggior potere rispetto alle svariate commissioni italiane ed europee che
nella fattispecie si occupano di dare o meno le approvazioni alla
produzione di nuove varietà di organismi vegetali creati in laboratorio.
Alcuni
chiamano le piante transgeniche il "cibo di Frankestein";
affermano che esse sono pericolose per la salute e attentano alla
biodiversità del mondo vegetale.
Il
dissenso sulle piante ogm tocca le amministrazioni comunali, regionali e i
Governi dell’Unione Europea (che proibiscono di coltivarle ma non di
importarle).
Nel
resto del mondo non sembra essere così.
Tra
i paesi più attivi nella ricerca e nella coltivazione di piante ogm vi
sono gli Stati Uniti, Canada e Sud America.. Nel 1999 la coltivazione
mondiale di piante transgeniche è aumentata del 43.5 per cento rispetto
all’anno precedente arrivando ad occupare 39.9 milioni di ettari di
terreno, una superficie ben più grande dell’Italia intera.
Ma
come si è arrivati alla concezione delle piante transgeniche? Sicuramente
si è partiti dalla necessità di conferire o migliorare la
"resistenza delle piante" nei confronti di insetti , virus,
diserbanti e dalla volontà di mantenere il grado di maturazione giusto di
certi frutti attraverso l’inserimento di un gene (frammento di Dna)
prelevato da un organismo che nulla ha a che vedere con quelli di origine
vegetale (batteri, animali, funghi, virus).
Subito
allora si prospetta la necessità di valutare i dovuti benefici che
possono derivare dall’impiego delle piante transgeniche per l’uomo per
l’ambiente, per i paesi poveri:
1)
Eliminazione dai prodotti alimentari dei residui di insetticidi, fungicidi
e altri fitofarmaci
2)
Riduzione dei livelli di contaminazione dei cibi con tossine fungine
3)
Salvaguardia delle varietà vegetali di pregio messe a rischio da stress
colturali
4)
Utilizzo di piante per fabbricare prodotti chimici e farmaceutici
attualmente ottenuti industrialmente
5)
Resa più elevata per unità di superficie
6)
Piante con migliore capacità nutrizionale
Questi
sono a mio parere gli aspetti più importanti da tenere in considerazione
ma allo stesso tempo se è vero che le piante transgeniche possono essere
progettate per risolvere problemi tradizionali è anche vero che il
messaggio che arriva dalla opinione Europea è che le piante transgeniche
sono pericolose e quindi inaccettabili.
Nessuna
tecnologia, dobbiamo ammetterlo, è esente da rischi ed in genere siamo
portati ad accettarla se i benefici che prospetta sono maggiori rispetto
ai rischi. Quando è in gioco però la salute umana il discorso cambia, si
trasforma e la scienza passa in secondo piano.
Qual
è l’effetto che a lungo andare potrebbe avere sull’organismo umano
l’impiego dei cibi transgenici nella nostra alimentazione?. Chi teme
effetti negativi e inaspettati dalle biotecnologie parla della possibilità
che il gene esogeno interferisca con il resto del menoma umano.
L’integrazione del gene esogeno avviene, per ora, in siti apparentemente
casuali del genoma vegetale e quindi si teme che ciò possa scatenare
inattivazione di geni utili o attivazione di altri geni dannosi nel nostro
Dna.
La
verità è che siamo di fronte a una situazione molto complessa in cui
solo una piccola parte è giocata dalla scienza. Per ora si può dire che
si è già ottenuto l’effetto di bloccare la ricerca scientifica in
Europa, soprattutto quella pubblica. Chi dunque si occuperà della ricerca
di base sui geni e di biosicurezza?
L’invito
potrebbe essere quello di rivedere le nostre posizioni, visto che il mondo
sembra andare in direzione opposta. Anche Sergio Dompè, presidente di
Assobiotec, ha sottolineato il ritardo dell’Europa e in particolare
dell’Italia, nel settore. Pensiamo infatti ai vari paesi tra cui non ci
sono soltanto gli Stati Uniti ma anche la Cina, l’Argentina, il Canada
etc…che stanno investendo in ricerca nei settori agroalimentare e
sanitario, con ritmi di crescita dell’occupazione del 20 per cento
all’anno.
Lasceremo
tutto in mano alla ricerca extra-europea?