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Biotecnologie : tra inganno e disinganno.

di Sonia Sarnataro

Le cellule microbiche, vegetali e animali possono venire ingegnerizzate con la finalità di fare loro acquisire nuove e specifiche caratteristiche funzionali: è così possibile creare nuovi microrganismi capaci, ad esempio, di degradare molto efficientemente gli inquinanti ambientali (biorisanamento), oppure nuove varietà di piante e animali, cosiddetti transgenici, capaci di resistere, ad esempio, alle malattie infettive e infestive, e di produrre alimenti in maggiore quantità e di migliore qualità.

In poche righe ho riassunto tutte le potenzialità che possono nascere dalla applicazione delle Biotecnologie sia nell’ambiente animale che vegetale.

Non è certo facile orientarsi nel dedalo delle informazioni – e disinformazioni – sugli organismi geneticamente modificati (detti per questo organismi OGM). Siamo infatti, dal punto di vista della ricerca "all’anno zero" delle conoscenze circa le ripercussioni di tali applicazioni della scienza nell’ambito della Biologia. Con questo articolo si spera di dare una piccola illuminazione a riguardo.

Con un decreto del Ministero della Sanità, è stata autorizzata per la prima volta in Italia la sperimentazione su trapianto di organi da una specie animale (maiale) a un’altra specie animale (scimmia). Il decreto è stato trasmesso in anteprima dall’ex Ministro Rosy Bindi agli organizzatori di Bionova, il primo Salone in Italia (a Padova) sulle Biotecnologie. Durante il Salone è emerso un altro importante risultato sull’ingegnerizzazione dei tessuti per l’uso della pelle artificiale, la riproduzione dell’ aroma del vino con le biotecnologie, un bioinsetticida per debellare la zanzara tigre e prodotti biotecnologici per l’alimentazione animale. Ma il settore che sembra attirare maggiormente l’attenzione del pubblico, che si sente più direttamente coinvolto dall’impatto delle biotecnologie sull’ambiente e sull’alimentazione, è quello dell’agricoltura: si è parlato a lungo di cellule vegetali in provetta, frutta durevole, embrioni bovini in laboratorio…….mentre nel mondo sono già coltivati già 60 milioni di ettari con sementi transgeniche.

L’Italia, in generale, mostra chiaramente un atteggiamento negativo nei confronti degli organismi ganeticamente modificati. Anche se la biotecnologia alimentare si prospetta come l’industria del futuro nel nostro paese essa è stata assunta come paradigma negativo. In Europa sono stati approvati solo nove prodotti transgenici, tra cui mais e soia, che prima di passare al piatto devono superare lunghissimi iter. La verità è che il consumatore è un po’ anche un "dittatore" che di fatto ha maggior potere rispetto alle svariate commissioni italiane ed europee che nella fattispecie si occupano di dare o meno le approvazioni alla produzione di nuove varietà di organismi vegetali creati in laboratorio.

Alcuni chiamano le piante transgeniche il "cibo di Frankestein"; affermano che esse sono pericolose per la salute e attentano alla biodiversità del mondo vegetale.

Il dissenso sulle piante ogm tocca le amministrazioni comunali, regionali e i Governi dell’Unione Europea (che proibiscono di coltivarle ma non di importarle).

Nel resto del mondo non sembra essere così.

Tra i paesi più attivi nella ricerca e nella coltivazione di piante ogm vi sono gli Stati Uniti, Canada e Sud America.. Nel 1999 la coltivazione mondiale di piante transgeniche è aumentata del 43.5 per cento rispetto all’anno precedente arrivando ad occupare 39.9 milioni di ettari di terreno, una superficie ben più grande dell’Italia intera.

Ma come si è arrivati alla concezione delle piante transgeniche? Sicuramente si è partiti dalla necessità di conferire o migliorare la "resistenza delle piante" nei confronti di insetti , virus, diserbanti e dalla volontà di mantenere il grado di maturazione giusto di certi frutti attraverso l’inserimento di un gene (frammento di Dna) prelevato da un organismo che nulla ha a che vedere con quelli di origine vegetale (batteri, animali, funghi, virus).

Subito allora si prospetta la necessità di valutare i dovuti benefici che possono derivare dall’impiego delle piante transgeniche per l’uomo per l’ambiente, per i paesi poveri:

1) Eliminazione dai prodotti alimentari dei residui di insetticidi, fungicidi e altri fitofarmaci

2) Riduzione dei livelli di contaminazione dei cibi con tossine fungine

3) Salvaguardia delle varietà vegetali di pregio messe a rischio da stress colturali

4) Utilizzo di piante per fabbricare prodotti chimici e farmaceutici attualmente ottenuti industrialmente

5) Resa più elevata per unità di superficie

6) Piante con migliore capacità nutrizionale

Questi sono a mio parere gli aspetti più importanti da tenere in considerazione ma allo stesso tempo se è vero che le piante transgeniche possono essere progettate per risolvere problemi tradizionali è anche vero che il messaggio che arriva dalla opinione Europea è che le piante transgeniche sono pericolose e quindi inaccettabili.

Nessuna tecnologia, dobbiamo ammetterlo, è esente da rischi ed in genere siamo portati ad accettarla se i benefici che prospetta sono maggiori rispetto ai rischi. Quando è in gioco però la salute umana il discorso cambia, si trasforma e la scienza passa in secondo piano.

Qual è l’effetto che a lungo andare potrebbe avere sull’organismo umano l’impiego dei cibi transgenici nella nostra alimentazione?. Chi teme effetti negativi e inaspettati dalle biotecnologie parla della possibilità che il gene esogeno interferisca con il resto del menoma umano. L’integrazione del gene esogeno avviene, per ora, in siti apparentemente casuali del genoma vegetale e quindi si teme che ciò possa scatenare inattivazione di geni utili o attivazione di altri geni dannosi nel nostro Dna.

La verità è che siamo di fronte a una situazione molto complessa in cui solo una piccola parte è giocata dalla scienza. Per ora si può dire che si è già ottenuto l’effetto di bloccare la ricerca scientifica in Europa, soprattutto quella pubblica. Chi dunque si occuperà della ricerca di base sui geni e di biosicurezza?

L’invito potrebbe essere quello di rivedere le nostre posizioni, visto che il mondo sembra andare in direzione opposta. Anche Sergio Dompè, presidente di Assobiotec, ha sottolineato il ritardo dell’Europa e in particolare dell’Italia, nel settore. Pensiamo infatti ai vari paesi tra cui non ci sono soltanto gli Stati Uniti ma anche la Cina, l’Argentina, il Canada etc…che stanno investendo in ricerca nei settori agroalimentare e sanitario, con ritmi di crescita dell’occupazione del 20 per cento all’anno.

Lasceremo tutto in mano alla ricerca extra-europea?

 

 

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