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La bioarchitettura, una scienza tanto recente e tanto antica.

di Eleonora Nesi

Alvar Aalto, cerniera di passaggio.

«Un sovrano dell’antica India, trovando insopportabile la durezza del suolo sui delicati piedi dell’essere umano, ordinò che tutto il territorio del suo regno fosse ricoperto di pelli. Uno dei suoi saggi, però, gli fece notare che lo stesso risultato poteva essere ottenuto molto più semplicemente utilizzando una sola pelle. Sarebbe bastato tagliarne piccole sagome e legarle al di sotto dei piedi. Questi furono i primi sandali».

Questa breve storia indù ci aiuta ad entrare nel mondo delle tecnologie appropriate e della bioarchitettura. La consapevolezza della finitezza delle risorse naturali e gli irreversibili danni, che l’uomo apporta all’ambiente sono i binari conduttori di questa disciplina. Un freno essenziale a qualsiasi scelta progettuale gratuita ed irreversibile è il rispetto del genius loci. Rispettando l’ecosistema ambientale, la bioarchitettura vuole migliorare la qualità della vita. La tecnologia deve essere appropriata, nel senso che non solo deve proporre strumenti altamente innovativi, ma anche rispettare il patrimonio storico-ambientale.

Ma è forse l’architettura scevra dal mondo che la circonda? Non è forse, essa, espressione di una sostanza? Ma ancora. Non è forse la storia, la sostanza portante dell’architettura? E la tecnologia non ha il compito di essere innovativa e rispettosa delle preesistenze storico-culturali ambientali? Quante volte, il prof. Nicola Pagliara, durante il corso di progettazione architettonica, ci ha affascinati con la Turbinenfabrik della Aeg di Peter Behrens dove « le colonne di Paestum sono divenute d’acciaio, conservando egualmente le raffinate entasis sulla facciata ».

Ma la bioarchitettura non è una nuova scienza o un nostalgico ritorno alla natura! Essa affonda le sue radici nell’architettura, alla luce della biologia, ovvero il progetto architettonico viene considerato come un sottosistema che, inevitabilmente legato, in maniera naturale ed artificiale a tanti altri, determina un unico grande ecosistema. E’ in quest’ottica che nasce il riuso dei materiali ed un’attenta analisi d’impatto ambientale.

Si inserisce, in questo discorso l’opera di Alvar Aalto, che riesce a rispettare una serie di valori culturali, tra cui l’attenzione al luogo visto come entità irripetibile. Suo maestro: Gunnar Asplund. Ne è un esempio il Sanatorio di Paimio, che è stato definito « trappola per il sole ». Qui, i corpi dell’edificio, che ospitano i malati, sono disposti in maniera tale da fruire delle migliori condizioni di insoleggiamento durante l’intera giornata. Sono esposti a settrentrione solo i locali non destinati a degenti. Concludiamo il discorso con un esempio ancora più sintomatico: la villa Mairea, del 1938. La casa sorge in una radura ai margini della foresta, ed offre un’organizzazione planimetrica fatta di volumi costruiti e sistemazioni a terra, utilizzando la terra del giardino come piani di copertura. Essa si inserisce in questo contesto senza "disturbare", utilizzando la natura con i suoi elementi. La loggia (per i bagni di sole) funge da filtro tra la casa e la piscina, il legno viene utilizzato non solo per i rivestimenti dei soffitti, ma anche per dividere lo spazio interno o per esaltare la scala. E non ultimo ritorna l’attenzione al sole, che risulta dalla disposizione diversa di certi corpi di fabbrica rispetto ad altri. Troviamo, quindi ,l’uso di alcuni elementi della natura che, attraverso un impiego industrializzato, risolvono certe funzioni.

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