LA STORIA DEGLI UOMINI E LA STORIA DI DIO
di Germano Gigni
E’ passato qualche mese di tempo da quando il
Presidente della regione Lazio Francesco Storace, di Alleanza Nazionale,
si è tirato addosso un mare di critiche, di insulti ed improperi, per
aver preso una decisione, secondo alcuni coraggiosa, per altri
"fascista", per noi, diremmo così, "impopolare": si
è accorto, infatti, che i libri di storia utilizzati nelle scuole
italiane, forniscono agli studenti una lettura di situazioni e vicende
non sempre aderente alla realtà dei fatti accaduti, per cui si è
impegnato ad istituire una commissione di saggi che riveda criticamente
le aberrazioni dei libri di testo e li corregga.
Le polemiche manco a dirlo sono state roboanti e
insistenti. Da una parte (la sinistra) si è parlato di ennesimo esempio
di revisionismo storico, di censure di stampo neofascista, di Minculpop
d’inizio millennio; dall’altra parte (la destra) si è invece
rilevato la giusta ragione del presidente Storace, la faziosità
incontrovertibile dei libri di testo, l’arroganza dell’avversa parte
politica che da sempre impone una "sua" lettura della storia.
Insomma accuse vicendevoli da entrambe le parti. Dopo qualche settimana,
silenzio assoluto sulla vicenda. Eppure, ci sembra, una riflessione,
serena, serena, obiettiva, s’impone obbligatoriamente. La
questione sollevata (non importa molto da chi ed in quali termini) è
effettivamente importante. Tanto importante che alla fine si è deciso
di non affrontarla per niente. Forse il momento politico non era
dei migliori, data questa lunghissima ed estenuante campagna elettorale
che ben si presta (sic!) a provinciali baruffe di goldoniana memoria.
Forse in tale clima è stato più che sufficiente sollevare un
polverone, scambiandosi del comunista e del fascista come fossero
cioccolatini. Forse nel nostro Paese problemi del genere non si può, o
non si vuole, affrontarli. Per lo meno così è stato fino ad oggi.
Anzi, sarebbe ora di cominciare a dire fino ad ieri. Perché non deve
essere più un tabù affrontare criticamente e con il dovuto rigore
scientifico, senza ideologismi di qualsivoglia natura, pagine di storia
nazionali e internazionali. Dall’Inquisizione alle Crociate, dal
Medioevo al Risorgimento, dal regno dei Savoia a quello dei Borbone,
dalla Rivoluzione francese a quella russa, dal Fascismo alla Resistenza
partigiana: interi periodi storici "letti" ed
"interpretati" secondo le convenienze e le convinzioni,
piuttosto che studiati senz’altri fini che non quelli della
comprensione dei fatti. Tutti coloro che hanno frequentato la scuola
secondaria sanno benissimo che è così. Sembrano cose banali, dette con
banali parole; eppure ogni volta tali banalità scatenano un putiferio
incredibile. Tanto più roboante quando l’interesse per questo tipo di
problematiche parte direttamente dai palazzi della politica. Allora non
possiamo non porci una domanda: perché una battaglia per l’obbiettività
della storiografia vede protagonisti gente come Storace (a cui risponde
gente come Veltroni) e non gli studiosi della materia? Chi ha scritto i
libri ritenuti "faziosi" ovviamente non può sollevare dubbi
sul proprio lavoro. Ma gli storici che dissentono da questa lettura dei
fatti ci sono oppure no? Se no, il problema è risolto alla radice: la
storia è andata proprio come sta scritto sui libri di testo. Se invece
c’è chi non è d’accordo, perché tace?
Il Cardinale Camillo Ruini, Presidente della
Conferenza Episcopale Italiana, qualche giorno fa ha affermato che nelle
scuole italiane mancano libri di storia di "ispirazione
cattolica", mentre abbondano quelli di "ispirazione
ideologica". Esiste cioè, secondo Ruini, una lettura della storia
fatta alla luce delle idee e delle categorie mentali di gente come Vico,
Cartesio, Roussou, Kant, Hegel e Marx, mentre non esiste testo (nemmeno
nelle scuole cattoliche) in cui gli eventi umani siano inquadrati in un
disegno di natura divina. La questio non è dei giorni nostri,
chiaramente. In passato si è discusso animatamente sulla storia
degli uomini e sulla storia di Dio, e sul se e come e perché
quest’ultimo intervenga nelle umane vicende. Non si tratta di
questioni d’accademia, ma di dare un senso alla nostra vita.
Sostenere ad esempio che l’Impero Romano è caduto sotto i colpi del
barbaro invasore, a causa della vita agiata e di qualche litro di vino
di troppo, oppure a causa del sorgere di una religione che ha stravolto
i capisaldi sociali e morali su cui poggiava, non è cosa da poco. Lo
stesso dicasi per eventi come quelli citati più sopra (Inquisizione
etc.).
Il punto vero del problema sollevato da Storace (al
di là delle sue intenzioni, crediamo, e dei suoi modi) è proprio
questo: che tipo di storia far studiare a scuola. Un problema che
da tempo viene considerato un non problema e quindi non meritevole di
discussione.
Noi pensiamo esattamente il contrario: che bisogna
riprendere tale discussione. Ed è per questo che offriamo lo spazio di
questo giornale per accogliere, confrontare e divulgare le opinioni di
quanti abbiano il coraggio e la volontà di esprimere ciò che pensano
sull’argomento. Il compito di un giornale (almeno del nostro di
sicuro), è anche quello di stimolare la riflessione ed il confronto.
Un appello particolarmente caloroso è rivolto a
quegli studiosi di storia e storiografia che sono cattolici, e che per
lungo tempo hanno taciuto.
Un tale in abito bianco, straniero, ha detto che in
italiano esiste una bella parola: coraggio.
Non lasciamola marcire sul dizionario.