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MODELLARE O MODELLARSI?
di Francesco Giordano
Se Leonardo Da Vinci potesse essere tra di noi il suo
stupore nascerebbe non tanto dai risultati del progresso tecnico quanto
dall’osservare che chiunque è in grado di utilizzarne i prodotti
senza essere a conoscenza dei processi e della conoscenza che essi
presuppongono. In altre parole egli s’interrogherebbe sul
"funzionamento" e sui principi fisici e filosofici che reggono
il nostro sistema di progresso e rimarrebbe probabilmente smarrito nel
vedere utilizzare i milioni di circuiti di un PC attraverso freccette
cestini e iconcine a fiorellini piuttosto che nel rimirare rendering e
immagini fotorealistiche, simulacri di una realtà empirica di cui il
nostro Leonardo era già ampiamente in possesso. E’ evidente che
quando il progresso si estende a campi complessi non più fisicamente
gestibili dal singolo s’incorre inevitabilmente in una sorta di
frantumazione del sapere, per la necessità di uno sviluppo specifico
dei campi del sapere stesso che viene così ad essere consegnato sì
alla società nella sua interezza e non già più al singolo , ma fa si
che l’individuo sia più raramente conscio del "senso" di
quel sapere. Scompare cioè la comunità come coscienza degli
individui.È questo un rischio che si pone con gravità e tanto più
pesantemente quanto maggiori sono le possibilità che uno strumento
tecnologico offre. In quest’ottica il nuovo senso che i frammenti dell’immaginario
di un individuo acquistano in un progetto di architettura è da
tutelarsi, quando si adoperano strumenti e sottolineo
"strumenti" informatici come i software di modellazione. Il
rischio è quello di perdere il segno cartaceo dei processi di pensiero,
quei segni incerti a mano libera che tradiscono un guizzo o un sogno ed
evocano ed alludono, quelle tracce sovrapposte di tentativi, di
indagini, quella gestualità che restituisce la storia di un progetto e
la carrellate di pensieri che lo hanno animato: con il rischio di
perdere di vista il senso ed il significato di ciò che si fa e di
lasciare per strada l’unico mezzo di progresso umano possibile: il
processo. Gabriel Garcia Marqez sul suo letto di morte diceva: molti
guardano la vetta dimenticando che la vita sta nel come si scala la
montagna. Personalmente uso i software di modellazione per indagare i
risultati spaziali dal punto di vista configurativo e lo considero solo
una premessa alla conoscenza dello Spazio dinamicamente fruito: non ho
mai dormito sonni tranquilli solo perché uno spazio pareva gradevole a
video o generava belle immagini renderizzate. Lo ritrovo invece
essenziale per indagare la realtà solida e tridimensionale degli
oggetti, del modo in cui piccoli angoli e fessure, e raccordi, e sgusci
raccolgono la luce o si predispongono al tatto. Suggerisco a voi stessi
di provare a modellare uno dei qualsiasi oggetti che punteggiano i
vostri gesti quotidiani, fosse anche una chiave o un accendino; non
tarderanno le scoperte di piccoli mondi e forme nascosti dietro la
nostra immagine mentale un po’ troppo iconica. Per
"scolpire" virtualmente un oggetto vi risulterà
indispensabile osservarlo, toccarlo, maneggiarlo: e senza che ve ne
accorgiate l’avrete conosciuto esperendolo senza alcun computer. E se
già sarebbe sorprendente scoprire di non aver mai saputo cos’è un
accendino chiedetevi quali orizzonti si aprirebbero nel curvare
sottilmente scoprendolo il profilo che per rivoluzione genera il modello
di un’anfora. Utilizzare un software di modellazione può farvi
fantasticare ricreare mondi immaginari ma saremmo ingenui se non ci
accorgessimo che esso può al massimo dare corpo visivo a ciò che vive
già dentro di noi e si nutre di sogni, di infanzie di giochi, di
paesaggi vissuti, di luoghi e frammenti senza più un nome consapevole e
di uno spirito che fortunatamente "gira" ancora senza disco
rigido.
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