Le mine


Parabola: delle mine (monete)

Monastero Racconti di Gesù che si trovano nei Vangeli
La parabola delle mine narrata da Luca nel suo vangelo, esorta i credenti a usare le proprie risorse in modo produttivo, chi rifiuta di operare in questo modo nega Gesù e il suo Regno eterno.

Sommario:
- Luca 19,12-27
- Esegesi parabola

Unisciti a noi

Parabola delle mine - Vangelo Luca

Dal Vangelo di Luca Capitolo 19, Versetti 12,27

In quel tempo, Gesù disse una parabola perché era vicino a Gerusalemme e i discepoli credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro.
Disse dunque: "Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno. Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un'ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato.

Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. A questo disse: Sarai tu pure a capo di cinque città.
Venne poi anche l'altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuto riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato.
Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l'avrei riscosso con gli interessi.

Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci. Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me". Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme.

Esegesi parabola delle Mine Lc [19,12-27]

La breve parabola delle mine riportata da Luca è affine a quella dei talenti di Matteo, sebbene differisca in alcuni aspetti. Quella di Luca vede per protagonista un nobiluomo che, dovendosi allontanare dal paese d'origine per "ricevere un titolo regale e poi ritornare", chiama dieci servi e consegna loro dieci mine da far fruttare in sua assenza.

Nella Grecia antica la "mina", oltre a essere una misura ponderale, era divenuta anche moneta di conto: una mina d'argento corrispondeva a 100 dramme e 60 mine corrispondevano a un talento. Il valore variò secondo i luoghi e i tempi, ma allora 60 mine d'argento corrispondevano allo stipendio riconosciuto a quasi 17 anni di lavoro di un operaio (1 mina era quindi lo stipendio di più di 3 mesi).

A differenza di Matteo, Luca precisa che il protagonista sta per recarsi in un paese "lontano", lasciando intendere che – per questo – non potrà tornare molto presto: la parabola, come sottolinea Luca, fu narrata da Gesù "perché era vicino a Gerusalemme e i discepoli credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro"; con questo "lontano" si vuole invece alludere che il ritorno del "nobiluomo" non sarebbe stato immediato, ma solo dopo la sua investitura regale: si allude qui all'Ascensione e al ritorno di Gesù alla fine dei tempi. I suoi cittadini, però, lo odiavano e, per mezzo di ambasciatori, gli fanno sapere che non lo vogliono per re così come, quando Archelao si recò a Roma per ottenere la successione del padre Erode il grande, i Giudei mandarono ambasciatori affinché Augusto, lo deponesse da re; ma Archelao tornò confermato nel regno, benché solo come etnarca, e fece aspra vendetta dei suoi nemici.

Quando il nobiluomo della parabola fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno di essi avesse guadagnato. I sovrani d'Oriente solevano compensare i loro servi mettendoli a capo di Città o di Provincie sulla base della loro fedeltà: ai servi che avevano fatto fruttare la mina in altre dieci e cinque mine, il premio fu proporzionato al guadagno realizzato e divennero rispettivamente capi di dieci e di cinque città; al servo che si presentò con il solo capitale consegnato e giustificò la propria indolenza accusando il padrone per essere severo e incontentabile, venne tolta anche la mina che gli fu affidata prima della partenza: egli non aveva investito il denaro ricevuto per non esporsi al pericolo di perderlo, né aveva ritenuto opportuno consegnarlo alla banca per farne maturare gli interessi, pertanto il re lo condanna; infatti il servo sapeva bene qual era l'intento per il quale gli era stato consegnato (farlo fruttare, e non conservarlo) e conosceva il modo di agire del suo padrone (severo e incontentabile) quindi, trattenendo la mina e nascondendola in un fazzoletto invece di farla fruttare, agì in piena coscienza al contrario di quanto gli era stato ordinato: "Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! [...]

Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci". Il ricco, infatti, facilmente acquista nuove ricchezze, mentre il povero con pari facilità, temendo di perdere anche quel poco che ha, non lo compromette o lo lascia svalutare. Chi usa bene delle grazie di Dio merita nuovi incrementi di grazia, mentre chi ne abusa, merita di essere privato anche dei doni che ha già ricevuto.

"E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me": terribile è il castigo riservato ai sudditi ribelli, ossia a coloro che lo "odiavano" perché, probabilmente, lo consideravano – come l'ultimo servo della mina conservata – "un uomo severo, che prende quello che non ha messo in deposito e miete quello che non ho seminato". Essi sono condannati a morte per essersi schierati dalla parte del torto, alla stregua del "servo malvagio": quella che è severità e ingiustizia ai loro occhi, è giustizia agli occhi di Dio! La condotta e i pensieri dell'uomo non verranno giudicati secondo le leggi che si è dato o l'interpretazione che se n'è fatta a proprio uso e consumo, ma secondo la Legge e la Parola del Sommo bene e della Perfetta giustizia.

L'uomo nobile della parabola rappresenta Gesù Cristo, che è salito al cielo per ricevere con solenne e regale investitura il regno conquistato con la sua passione e morte. Egli tornerà a suo tempo per il giudizio universale. I dieci servi sono i fedeli; la mina rappresenta le varie grazie date a ciascuno per operare la propria santificazione. I cittadini, che non vogliono Gesù per re, sono i Giudei e tutti gli empi che giudicano "sbagliato" il Suo agire, sulla base della falsa interpretazione che loro stessi si sono dati della Legge: al Suo ritorno, Gesù darà ai buoni il premio meritato e farà subire ai ribelli tutto il peso della Sua "giusta" condanna.

Ma il giudizio di Gesù sugli empi cominciò a farsi sentire sui Giudei già a quei tempi con la distruzione di Gerusalemme, testimonianza concreta della fine riservata a coloro che si presenteranno all'estremo giudizio con il bagaglio delle loro iniquità, per non aver messo in pratica quanto era stato chiesto e non aver fatto fruttare i beni ricevuti.