Profeti e Patriarchi


Patriarca - Profeta

Profeti

Mosè

È considerato una figura fondamentale del Cristianesimo, e di molte altre religioni.

Una delle figure più importanti dell'antico testamento. Ha ricevuto la legge divina e fatto uscire il popolo d'Israele dall'Egitto per guidarlo fino alla terra promessa..

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Mosè Patriarca e Profeta

Nell'Esodo, e complessivamente nel Pentateuco, la figura centrale è quella di Mosè. Perché la tradizione gli ha dato tanta importanza? Che cosa ricorda, chi rappresenta?

Dalle diverse tradizioni emergono vari aspetti, vari volti di Mosè. A volte è considerato il servo per eccellenza, il vero uomo di Dio, colui che Dio ha scelto per agire ed essere presente nel popolo; in altre parole è il grande mediatore. Altre volte tre volte è rappresentato come profeta, guida e pastore del popolo, intercessore nei momenti difficili. Appare quasi sempre come uomo d'azione, che sa intervenire negli avvenimenti. Il Deuteronomio ci dà forse l'immagine più organica e completa: qui Mosè appare come il modello di tutti i profeti. Il servizio più grande reso da Mosè è stato quello di aver dato la legge al popolo, e di avere vissuto solo per questo. Certo nessuno ha un dialogo così facile e spontaneo con Dio come lui; Mosè è colui che parla direttamente con Dio, ma nella sua personalità coesistono aspetti contraddittori e stati d'animo spesso opposti.

Per esempio il passo dell'Esodo 3219-20 ci presenta Mosè in preda ad un eccesso di collera: "Quando si fu avvicinato all'accampamento, vide il vitello e le danze. Allora l'ira di Mosè si accese: egli scagliò via le tavole spezzandole ai piedi della montagna. Poi afferrò il vitello che avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino a ridurlo in polvere, ne sparse la polvere nell'acqua e la fece trangugiare agli Israeliti". Mentre in Numeri 12,3 ci viene descritto come l'uomo più pacifico di questa terra: "Ora Mosè era un uomo molto mansueto, più di chiunque altro sulla terra".

Tutto ciò che i testi dicono di Mosè non è evidentemente la sua biografia. Sappiamo per certo, che egli è stato un personaggio storico, realmente esistito, e che ha avuto un ruolo decisivo per la liberazione degli ebrei dall'Egitto. Siamo di fronte alla storia di una vocazione, in tutta la sua complessità, con tutte le sue luci e le sue ombre. Ci fermeremo a considerare soprattutto l'aspetto che tutte le tradizioni sottolineano e cioè la solidarietà e la comunione di Mosè con il suo popolo, la sua responsabilità vissuta alla presenza di Dio.

Lasciandoci guidare dal secondo capitolo dell'Esodo possiamo ricostruire l'inizio del cammino di Mosè. 2,10: "Quando il bambino fu cresciuto, lo condusse alla figlia del faraone. Egli divenne un figlio per lei ed ella lo chiamò Mosè, dicendo: Io l'ho salvato dalle acque!". Mosè scampato al massacro, viene allevato a corte con una cultura egiziana e riceve un nome egiziano. Questo racconto fa pensare a certe leggende, che parlano dell'origine di grandi uomini: tutti in genere vengono salvati in circostanze difficili, sono portati a corte e poi diventano re. Però nel caso di Mosè il racconto termina diversamente; la sua storia prosegue in modo nuovo: "In quei giorni, Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i lavori pesanti da cui erano oppressi. Vide un Egiziano che colpiva un Ebreo, dei suoi fratelli". (2,11)

Mosè non continua la vita di corte, non diventa faraone. Accortosi dell'oppressione dei fratelli lascia la sua carriera, i suoi "privilegi" di uomo libero e colto e si fa schiavo con gli schiavi, solidale con loro. Questo è il suo esodo, la sua scelta. 2,12-14 "Voltatosi attorno e visto che non c'era nessuno, colpì a morte l'Egiziano e lo seppellì nella sabbia, il giorno dopo usci di nuovo e, vedendo due Ebrei che stavano rissando, disse a quello che aveva torto: "Perché percuoti tuo fratello?". Quegli rispose: "Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi? Pensi forse di uccidermi come hai ucciso l'Egiziano?". Allora Mosè ebbe paura e pensò: "Certamente la cosa si è risaputa"".

Mosè ha un progetto: vuol liberare il suo popolo che è sempre stato schiavo e con generosità si compromette. Ma il suo tentativo di liberazione fallisce, i suoi fratelli lo "rifiutano": sono talmente alienati che preferiscono restare nella schiavitù e nella miseria. La sua iniziativa non li scuote.

2,15 "Il faraone sentì parlare di questo fatto e cercò di mettere a morte Mosè. Allora Mosè si allontanò dal faraone e si stabilì nel paese di Madian e sedette presso un pozzo". Mosè deve fuggire deluso e sconfitto. Conoscerà la povertà e la solitudine, sarà considerato uno straniero senza nome. Andrà nel deserto e lì maturerà, la sua vocazione e si purificherà. 3,1 "Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb". Il roveto ardente è la sua esperienza di Dio maturata in quegli anni. Scopre che Dio è presente e non si vede, così come il roveto brucia senza consumarsi. Mosè ne è preso nell'intimo e ne è lui stesso consumato. Prima voleva agire senza Dio; ora l'ha scoperto e tutto cambierà; non potrà più prescinderne.

Mosè rappresenta ogni uomo che rompe con il passato in nome del servizio per i fratelli, per il mondo. Però si accorge che per essere strumento di liberazione ha bisogno di essere liberato lui. La scoperta di Dio gli fa perdere il suo progetto per entrare attivamente nel piano di Dio, nella Sua volontà, per essere sempre più disponibile al progetto di liberazione di Jahvé. Il Dio dell'Esodo ha un volto: è un Dio di liberazione, che non vuole faraoni per nessun uomo e per nessun popolo. Jahvè non è indifferente alla "situazione" dell'uomo, anzi è presente proprio là dove c'è "il grido di lamento della schiavitù" (Es. 2,23).

3,7 "Il Signore disse: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze"". Dio considera "suo", proprio questo popolo che soffre. È il Dio della solidarietà, l'amico dei poveri.

3,8 "Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita, l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo". Dio è colui che scende, per far uscire verso una terra: c'è l'idea di entrare in una realtà, per fare un "cammino con", per andare oltre, salire, verso la terra promessa: è Dio la vita eterna! Questo forma e forgia la vocazione di Mosè. "Ora va! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!". (3,10).

Il Signore manifesta il Suo disegno e Mosè lo scopre: l'esperienza fatta gli permette di cogliere tutt'intera la volontà di Dio, non senza fargli toccare con mano i suoi timori e le sue riserve: "Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?". Mosè si sente inutile, incapace, ma ha imparato a non contare più sulle sue forze o sul suo progetto, rincuorato dal messaggio divino: "Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte".

"Io sarò con te": è la certezza che gli mette dentro un dinamismo nuovo, e un modo nuovo di vivere la solidarietà. Ora ha capito, sa di poter contare su Dio e va in nome suo. Così potrà portare fedelmente il suo popolo incontro al suo disegno di salvezza, senza tornare indietro.

Se tentiamo di leggere queste cose a livello esistenziale le scopriamo cariche di un messaggio dalle numerose conseguenze: la vocazione alla solidarietà inizia e cresce quando ci si rende conto che nessuno si salva da solo, ma sempre con gli altri, con "un popolo". Mosè scopre e vive profeticamente la sua scelta di solidarietà.

Vediamo la prova. Mosè rispose: "Ecco, non mi crederanno, non ascolteranno la mia voce ma diranno: Non ti è apparso il Signore!"; Mosè non ha nessun supporto umano, niente lo renderà credibile. Come provare che lo manda il Signore? "Mosè disse al Signore: "Mio Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono mai stato prima e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua""; si sente schiacciato, inadeguato e persino insicuro!

Ma "il Signore gli disse: "Chi ha dato una bocca all'uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? Ora va! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire"". Eccolo il richiamo alla fede: sarà il Signore che lo farà profeta, cioè la parola gli sarà data, Mosè non dovrà fare altro che avere fede senza riserve. Il Profeta è colui che il Signore sceglie per manifestare la Sua parola e la Sua volontà.

Mosè disse: "Perdonami, Signore mio, manda chi vuoi mandare!". Se Mosè avesse guardato solo a se stesso, non avrebbe avuto motivi per proseguire, avrebbe preferito tirarsi indietro. Ma intuisce che il profeta è colui che dice una parola vivente proprio nelle situazioni concrete del momento presente, che annuncia la parola "incisiva" e "decisiva". Questo che lo spaventa: "Mosè parti, tornò, da Ietro suo suocero e gli disse: "Lascia che io parta e torni dai miei fratelli che sono in Egitto, per vedere se sono ancora vivi!". Ietro disse a Mosè: "Va pure in pace!"". Lo spaventa, ma poi ha il coraggio di partire, nonostante tutto. Anche la sua decisione è di per sé profetica, segno di Dio presente e potente, La prima parola nuova Mosè la dice dunque con la sua vita, pagando di persona. Parte senza garanzie di successo avendo fiducia solo nella parola del Signore.

"Gli scribi degli Israeliti si videro ridotti a mal partito, quando fu loro detto: "Non diminuirete affatto il numero giornaliero dei mattoni". Quando, uscendo dalla presenza del faraone, incontrarono Mosè e Aronne che stavano ad aspettarli, dissero loro: "Il Signore proceda contro di voi e giudichi; perché ci avete resi odiosi agli occhi del faraone e agli occhi dei suoi ministri, mettendo loro in mano la spada per ucciderci!". Allora Mosè si rivolse al Signore e disse: "Mio Signore, perché hai maltrattato questo popolo? Perché dunque mi hai inviato? Da quando sono venuto dal faraone per parlargli in tuo nome, egli ha fatto del male a questo popolo e tu non hai per nulla liberato il tuo popolo!". Es 5,19-23).

Mosè conoscerà spesso la solitudine, ma continuerà malgrado la poca fiducia dei fratelli. Le contrarietà esterne non lo fermeranno. Perché? Perché ha scoperto che il suo compito è trasmettere la parola di Jahvé, affinché il popolo sappia quali sono le intenzioni di Dio. La sua sofferenza sarà grande: ricordiamo i versetti in Numeri 11,10-12. "Mosè udì il popolo che si lamentava in tutte le famiglie, ognuno all'ingresso della propria tenda; lo sdegno del Signore divampò e la cosa dispiacque anche a Mosè; Mosè disse al Signore: "Perché hai trattato così male il tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi, tanto che tu mi hai gravato col peso di tutto questo popolo? L'ho forse concepito io tutto questo popolo? O l'ho forse messo al mondo io perché tu mi dica: Portalo in grembo, come la balia porta il bambino lattante, fino al paese che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri?".

Concretamente, quando siamo profeti? Ogni volta che sappiamo discernere fra il Faraone e Dio, ogni volta che cerchiamo la libertà che viene da Dio. E quando continuiamo a mettere in atto questo discernimento nonostante le apparenze non ci diano garanzie per credere che la parola è vera.

Dopo l'episodio del vitello d'oro, il Signore aveva deciso di sterminare il popolo, e così avrebbe fatto se Mosè, suo eletto, non fosse stato sulla breccia di fronte a Lui, per placare la sua collera; ed è in questo passo che si vede con chiarezza tutto l'amore di Mosè per il suo popolo: "Il Signore disse inoltre a Mosè: "Ho osservato questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione".

Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: "Perché, Signore, divamperà la tua ira contro il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d'Egitto con grande forza e con mano potente? Perché dovranno dire gli Egiziani: Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra? Desisti dall'ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo. Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso, e hai detto: Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto questo paese, di cui ho parlato, lo darò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre". Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo".

Dio, propone a Mosè di distruggere il popolo esistente e di ricominciare da capo, con lui. Mosè non accetta. In primo luogo perché dice di non potersi fidare di un Dio che non ha mantenuto la prima parola, in secondo luogo perché sente di non potersi più separare da questo popolo che ama proprio in quanto povero e peccatore. In fondo questa è la tentazione del profeta: credersi migliore degli altri, qualitativamente superiore, e pensare di poter rappresentare la soluzione. "E se no, cancellami dal libro che hai scritto": è disposto a morire per solidarietà con il suo popolo; il vero profeta intercede chiedendo misericordia e dà anche se stesso per salvare il popolo. È questa disposizione d'animo a "commuovere" Dio.

Un ultimo brano ci illustra sinteticamente l'esperienza di Dio vissuta da chi è servo e profeta: "Gli disse: "Mostrami la tua Gloria!". "Rispose: "Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia". Soggiunse: "Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo". Aggiunse il Signore: "Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere"".

Mosè vorrebbe "vedere" di più, avere più sicurezze e più garanzie per la sua missione. Dio invece gli risponde che è Lui a decidere quando rive farsi conoscere. Il testo usa un'immagine potente per dire che Dio si è già manifestato: è passato attraverso tutti gli avvenimenti, anche quelli più dolorosi e tutti avevano l'impronta dell'amore ("ti coprirò con la mano").
Mosè insegnerà al popolo che è sempre dopo certi momenti particolarmente critici e difficili che si riconosce la presenza di Dio, anche se Lo si vedrà sempre di spalle, perché così è stato per Mosè e così sarà per ogni credente. Dio fa crescere i suoi profeti attraverso un'esperienza sempre molto sofferta.

Mosè ci spinge a fare scelte di vita molto concrete verso i poveri e con i poveri. Si tratta di abbandonare la nostra piccola vita privata e cominciare a vivere per gli altri: non possiamo più appartenere a noi stessi. Bisogna essere poveri per essere strumenti nelle mani di Dio. Non ci si dispone a servire per realizzare noi stessi: per questo ci vorrà l'attesa, indispensabile per discernere se siamo in sintonia con la volontà di Dio. Tutta la vicenda di Mosè ci insegna che per essere servi si dovrà spesso accettare di vivere una fede nuda, sapendo che saremo provati dalla solitudine e che la perseveranza sarà dolorosa. Tutti prima o poi conosceremo il rifiuto, saremo spesso profeti senza onori e senza riconoscimenti. Anche per noi si potrà dire: "Nessun profeta è bene accetto in patria" (Lc 4, 24).

Ogni servo, se vuole restare "profetico", al di là delle convenzioni e delle mode, dovrà avere un rapporto personale e immediato con Dio, come ci insegna il Deuteronomio quando sottolinea che Mosé incontrava Dio "faccia a faccia".