Patriarca - Profeta
Giobbe
È un patriarca idumeo protagonista del Libro di Giobbe.
Giobbe è l'immagine del giusto la cui fede è messa alla prova da parte di Dio.
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Giobbe Patriarca
Giobbe era un uomo giusto, realizzato, ricco e felice, viveva nel paese di Uz, aveva una famiglia con 10 figli, era un uomo spirituale e cercava in tutti i modi di piacere a Dio.
Dio sapeva che Satana disprezzava Giobbe perché era un uomo fedele e giusto, quando glielo fece notare, Satana rispose: "È forse per nulla che Giobbe teme Dio? Non hai messo una siepe intorno a lui, alla sua casa e a ogni cosa che possiede?". Satana vuole convincere Dio che Giobbe finge di praticare la sua fede solo per conservare i suoi beni materiali, e se avesse perso tutto lo avrebbe maledetto. Dio non è di questo avviso e, per dimostrare a Satana che si sbaglia, permette a Satana di mettere alla prova Giobbe.
Giobbe fu privato di tutto di tutto quello che aveva. In un solo giorno Giobbe fu colpito da una serie di terribili tragedie. Venne a sapere che nel giro di poco aveva perso tutto il suo bestiame: prima i bovini e le asine e poi le pecore e i cammelli. Cosa ancora peggiore, anche i servitori che badavano a quegli animali erano stati uccisi. A Giobbe fu detto che era stato, forse un fulmine, a causare la morte di alcuni servitori e di parte del bestiame. Prima ancora che Giobbe si rendesse conto del fatto che erano morte così tante persone e di quanto ora fosse povero, arrivò la notizia più scioccante: mentre i suoi 10 figli erano riuniti a casa del più grande di loro, un forte vento si abbatté improvvisamente sulla casa, distruggendola e causando la morte di tutti! (Giobbe 1,12-19).
Comunque, contrariamente a quello che Satana aveva predetto, Giobbe non maledisse Dio, piuttosto disse: "Si continui a lodare il nome di Dio".
Satana, infuriato, non si arrese. Si presentò nuovamente al cospetto di Dio, ed ancora una volta Dio lodò Giobbe per la sua integrità, che non era stata scalfita dagli attacchi di Satana. Ma Satana replicò: "Pelle per pelle. L'uomo darà tutto ciò che ha per la sua vita. Prova a stendere la mano e a toccarlo fino alle ossa e alla carne, e vedrai se non ti maledirà apertamente". Satana era sicuro che, se Giobbe fosse stato colpito da una grave malattia, avrebbe maledetto Dio. Dio aveva piena fiducia in Giobbe, quindi permise a Satana di privarlo della salute, ma non fino al punto di ucciderlo.
Satana si allontanò dal Signore e colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo. Allora sua moglie disse: "Rimani ancor fermo nella tua integrità? Benedici Dio e muori!". Ma egli le rispose: "Come parlerebbe una stolta tu hai parlato! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?". Anche in questo caso Giobbe, pur divenuto lebbroso, non pecca con le sue labbra: gli è stato tolto tutto, è stato abbandonato da tutti, anche dalla moglie, ma non si ribella. Resta solo, lui con la sua fede nuda, senza alcun appoggio; ecco il reale inizio del dramma: Giobbe non sa neppure perché sia stato messo alla prova con tanta sofferenza!
Giobbe aveva un disperato bisogno di conforto, era addolorato perché era certo che le disgrazie provenissero da Dio. I suoi tre amici, Elifaz, Bud Zofar, saputo della malattia dell'amico, andarono a trovarlo, ma non furono di alcun conforto per lui; anzi, gli causarono solo più dolore, sostenendo che siccome Dio è buono, i dolori e la sofferenza erano segni del castigo di Dio a causa dei peccati: se un uomo soffre vuole dire che ha molto peccato, Questa era infatti l'idea di Dio e della sua giustizia che si era formata nella tradizione e alla quale tutti credevano; secondo costoro Giobbe stava evidentemente ricevendo una punizione e Giobbe, respingendo con sdegno tali accuse, cade nella notte più oscura: "Ecco, mi passa vicino e non lo vedo, se ne va e di lui non m'accorgo... Egli come in una tempesta mi schiaccia, moltiplica le mie piaghe senza ragione, non mi lascia riprendere il fiato, anzi mi sazia di amarezze". Dio tace, non parla, proprio nel momento del maggior bisogno si nasconde. Si direbbe che Dio ci abbia creati per distruggerci, dandoci la vita per poi farci fallire, sempre consumati dal rimpianto di tutto ciò che abbiamo lasciato incompiuto.
La situazione di Giobbe è ancora più drammatica: oltre alla perdita di tutti i suoi bene e alla malattia, percepisce Dio come un nemico. Giobbe è esasperato dal silenzio di Dio, lo sente nemico. Dio è assente, si nasconde proprio quando dovrebbe intervenire a favore del giusto sofferente. Giobbe si sente innocente, non sopporta oltre questa indifferenza di Dio e grida appassionato: "O terra, non coprire il mio sangue e non abbia sosta il mio grido!". Giobbe ormai sa di dover morire senza aver ricevuto una risposta da Dio, ma intuisce e spera con fede che il suo grido sopravviva: deve esserci una giustizia!
Alla fine Dio prende la parola, invita Giobbe a fare il cammino che va dal mistero della creazione al mistero di Dio stesso, per terminare al suo proprio mistero di uomo. Il messaggio è semplice: l'universo è pieno di meraviglie e di misteri che Giobbe non conosce, ma tutte le cose hanno un senso e tutto dipende dalla Sapienza; Giobbe non deve quindi disperarsi, ricordando che Dio è presente nella creazione, anche quando questa è un mistero per l'uomo, e i criteri umani sono insufficienti, inadeguati per misurare la sua giustizia. Giobbe allora si abbandona, capisce che, pur senza aver ricevuto una risposta, è troppo piccolo di fronte alla grandezza della creazione, accetta se stesso e non parla più della sua innocenza che, secondo la concezione di allora, avrebbe dovuto garantirgli una vita fortunata e felice! Comprende che questo gli viene da una falsa concezione di Dio e, per questo, arriva poi ad affermare che i suoi occhi si sono aperti a una nuova immagine di Dio.
Giobbe accetta la Parola e si ravvede: prima della prova era chiamato il più grande di tutti gli orientali, al termine, invece, si umilia auto-definendosi "troppo meschino". Se durante la prova era pronto a rimproverare Dio, ora invece, visto che l'orizzonte della fede si è allargato, rimprovera se stesso.
Il Signore poi rivolge la sua giustizia contro i tre amici di Giobbe e, rivolgendosi a Elifaz, proclama: "La mia ira si è accesa contro di te e contro i tuoi due amici, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe. Prendete dunque sette vitelli e sette montoni e andate dal mio servo Giobbe e offriteli in olocausto per voi; il mio servo Giobbe pregherà per voi, affinché io, per riguardo a lui, non punisca la vostra stoltezza, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe". I tre andarono e fecero come loro aveva detto il Signore e il Signore ebbe riguardo di Giobbe che, per mezzo di Lui, diventerà fautore della salvezza dei suoi tre amici condannati.
Dio vuole uomini come Giobbe che, superata la prova, viene ricompensato e ristabilito nel felice stato di partenza, avendo egli pregato per i suoi amici; accrebbe anzi del doppio quanto Giobbe aveva posseduto. Tutti i suoi fratelli, le sue sorelle e i suoi conoscenti di prima vennero a trovarlo e mangiarono pane in casa sua e lo commiserarono e lo consolarono di tutto il male che il Signore aveva mandato su di lui e gli regalarono ognuno una piastra e un anello d'oro. Il Signore benedisse la nuova condizione di Giobbe più della prima: entrò in possesso di quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. Ebbe anche sette figli e tre figlie: a una mise nome Colomba, alla seconda Cassia e alla terza Fiala di stibio (o Cornustibia), in tutta la terra non si trovarono donne così belle come le figlie di Giobbe e il loro padre le mise a parte dell'eredità insieme con i loro fratelli. Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant'anni e vide figli e nipoti di quattro generazioni. Poi Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni.
Perché Dio benedisse Giobbe in un modo così straordinario? Per la sua straordinaria perseveranza in Dio. Non possiamo nemmeno immaginare quante difficoltà affrontò Giobbe, tuttavia non perse mai la fede e il suo amore per Dio e ancora di più, invece di incattivirsi e risentirsi, perdonò anche coloro che lo avevano ferito. Non perse mai né la speranza, né la sua integrità.
Giobbe rappresenta l'uomo universale, di tutti i tempi, spinto a mettersi di fronte a Dio con i suoi interrogativi, le sue intuizioni, le sue angosce. La vicenda di Giobbe è un dramma intriso di dolore che può essere colto solo da chi è aperto al mistero dell'uomo. Questo racconto parla dell'esperienza umana, per aiutarci a capire meglio il senso della vita, e mette in risalto il problema del peccato e del male da un lato, e delle virtù dall'altro. Giobbe è un uomo che soffre e che lotta, che arriva persino a pensare che forse tutto è assurdo e senza senso. Anche noi potremmo essere attanagliati dalla sofferenza, sommersi dal dubbio, circondati dalle tenebre; in quel buio potremmo percepire la profondità dell'oscurità che ci ottenebra di fronte al silenzio di Dio, ma che si riesce a vincere con la forza incrollabile della fede. La vittoria è netta e Dio non solo guarisce Giobbe, ma gli restituisce il doppio della ricchezza di prima.
La fede paga sempre perché Dio, se talvolta permette la prova, premia poi i vincitori con la Sua infinita e potente Benedizione.