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ARRIVANO I NOSTRI IN CAPO AL MONDO

Di Germano Gigno

Con buona pace degli ultras anti-McDonald’s dell’ultima ora, dei nostalgici dell’anti-imperialismo a stelle e strisce, e degli anti-americani ad ogni costo, gli Stati Uniti d’America sono stati il paese protagonista in assoluto nell’ultimo secolo di storia. Dalle ultime guerre mondiali ai missili di Cuba, dal piano Marshall alla guerra fredda, dal conflitto in Corea a quello in Vietnam e nel Golfo, dalle missioni in Somalia e nei Balcani agli interventi diplomatici, di queste ultime settimane, nei dissidi arabo-israeliani e coreani: non c’è fatto saliente nella politica internazionale che non ha visto e non vede la presenza attiva degli americani. Con le armi, quando essi hanno ritenuto di dover intervenire in tal modo; e con la diplomazia quando hanno visto margini di trattativa. Sono intervenuti di loro iniziativa in fatti che ritenevano di loro diretto interesse, ma anche perché sollecitati da altre nazioni in circostanze che avrebbero volentieri evitato. Ci sono stati. E ci sono. Diciamola tutta: per fortuna! Hanno risolto, manu militari, la crisi del Kuwait, ma dopo aver avuto l’appoggio di tutti i paesi arabi (cosa non da poco se si pensi che in quei posti vige l’equazione USA = Grande Satana). Chi altri avrebbe potuto cacciare le armate di Saddam Houssein e riportare l’ordine in Medio Oriente?

La macelleria dei Balcani si è fermata solo dopo l’intervento statunitense; anche qui la stessa domanda: se non fossero arrivati loro (tirati dentro peraltro da un’Europa debole e inconsistente) chi avrebbe riportato l’ordine e la pace in quella zona del mondo?

I difficilissimi colloqui di pace tra israeliani e palestinesi sono sostenuti in maniera decisiva dal governo americano, che preme in ogni modo perché si giunga ad un accordo. Chi altri al loro posto?

Pax americana. Qualcuno ricorre al latino per definire la politica estera americana: «vogliono imporre una loro pace, un ordine favorevole, per mantenere la loro influenza nelle zone in cui hanno maggiori interessi ». Il vecchio pallino dell’imperialismo, che dicevamo all’inizio. Discorsi che andavano bene (forse) nel ’68, quando all’università il professore di fisica dettava la traccia del compito di cinematica: un aereo degli imperialisti americani lancia una bomba su una scuola di poveri bimbi vietnamiti; calcolarne la gittata sapendo che la velocità iniziale ecc. ecc.…

Oggi bisognerebbe discuterne con più serenità e spirito critico, lasciando da parte toni e slogan ormai desueti. Gli Stati Uniti sono una grande potenza mondiale, sul piano economico, tecnologico-scientifico, militare. Hanno anche un modo di vedere le cose, una sensibilità, una concezione del diritto, del potere, dell’etica, che è diversa dalla nostra e da non prendere ad esempio. Hanno i loro interessi più svariati fuori dei confini nazionali, ed è logico che li curino, laddove lo ritengano opportuno. Hanno pregi e difetti come tutti. Non siamo qui ad istruirne la causa di beatificazione. Gli va però senz’altro riconosciuto un merito: hanno una politica estera che guarda a 360 gradi. Sarà anche che vogliono imporre un ordine internazionale a loro favorevole, ma un grande paese che ha forza e mezzi deve intervenire nei conflitti cosiddetti regionali, per indurre i contendenti a discutere e a trovare accordi. Rimanere chiusi nei propri confini, coltivare il proprio orticello, e fregarsene di tutto e di tutti sarebbe di certo più scandaloso e non auspicabile. L’America sembra essi fatta carico (non da oggi a dire il vero) di questa responsabilità. Si può discutere sui modi e sui tempi di intervento, ma bisogna sicuramente ringraziare il cielo che la tromba dell’«arrivano i nostri» sia sempre pronta a suonare.

 

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