Chi
non l’ha visto? Sguardo intenso e riccioli ribelli; è sempre presente
alle manifestazioni di protesta e di solidarietà, ma lo si trova anche
su magliette e poster. Chi non ha visto Ernesto Che Guevara,
guerrigliero rivoluzionario e mito giovanile da più di trent’anni?
Un mito che non
solo resiste dal 1968, ma che ha avuto nuovo impulso proprio quando, con
la caduta del muro di Berlino, sarebbe stato ovvio veder circolare altri
simboli, ad esempio l’inerme ragazzo di piazza Tienamen che da
solo contrastò un carroarmato. Invece, questa e altre immagini sono
scomparse dai mass-media e Che Guevara, campione di una ideologia
ormai rifiutata, occhieggia ovunque.
Anzi, il Che
viene proposto alla cultura giovanile come icona del buono-che-lotta-e-muore-per-la-giustizia.
Il fatto è che, però, questa icona è totalmente slegata dalla vera
vicenda del nostro "eroe", ed è stata dipinta allo scopo di
provocare un’inconsapevole trasposizione sentimentale dal simbolo a
tutto ciò che gli è connesso. L’effetto è ben riuscito, tanto che
Jovanotti, in una sua canzone, dice più o meno: "credo che al
mondo c’è una sola chiesa che va da Guevara a Madre Teresa",
mescolando personaggi opposti tra loro, ma ritenuti alla pari per bontà,
in un acritico "frullato" emotivo.
Guevara è un
mito costruito sapientemente, in modo da essere trasversale. Infatti è
universalmente accettato dalla sinistra, che vi trova il capo
rivoluzionario; dalla destra che vi trova l’uomo forte; dagli
idealisti di genere vi trovano il martire.
Mitico Che,
se fosse tutto vero!
In realtà,
Guevara non fu un idealista che lottò per la giustizia ma un
rivoluzionario di professione, dichiaratamente marxista e stalinista,
ammiratore di Mao del quale fece proprio il motto "il potere si
conquista con il fucile". Il suo frenetico spostarsi tra i
movimenti rivoluzionari del Sud America e dell’Africa, negli anni
50-60, dimostra che svolse soprattutto un ruolo di promotore e
organizzatore di rivoluzioni. Anche Cuba, fondamentale tassello del suo
mito, rientra in quest’ottica: il fortuito incontro con Fidel Castro
offrì a Guevara semplicemente l’opportunità di passare dalla teoria
della rivoluzione alla pratica. Nulla a che vedere con il popolo
oppresso, la giustizia o la libertà! Infatti, Guevara pensava (e lo
scrisse) che "la rivoluzione si può fare in qualsiasi momento,
in ogni parte del mondo", indipendentemente dalla volontà
del popolo, poiché il suo fine è formare un "conglomerato
umano" utile soltanto all’infinito svolgersi della
rivoluzione stessa.
In nome di
simili "ideali", a Cuba fu imposto, nel 1958, uno dei più
violenti totalitarismi del secolo, che soppresse le più elementari
libertà umane e si rese responsabile di centinaia di migliaia di
vittime. Solo nei primi 100 giorni di regime, sotto il personale
controllo di Guevara furono eseguite 55 fucilazioni e in pochi mesi si
arrivò ad assassinare 550 persone. Egli stesso, da ministro dell’industria,
istituì il lavoro volontario obbligatorio, i campi di rieducazione (l’equivalente
dei Gulag sovietici) e, per cieca ideologia, portò la popolazione alla
fame ben prima che venisse decretato l’embargo. Questi non sono che
piccoli esempi: gli effetti dell’eroica rivoluzione di Guevara
ancora oggi condizionano pesantemente la vita dei cubani.