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Europa e Islam:

storia di un malinteso.

di Emmanuel Fabiani

Il rapporto fra Europa e Islam è oggetto dell’ultima pubblicazione del professor Franco Cardini, medievalista di fama internazionale, docente dell’Università di Firenze, nonché presenza costante e pregevole sulle pagine del quotidiano Avvenire.

In occasione di una sua conferenza sul tema, siamo riusciti ad ottenere la presente intervista.

Professor Cardini, come giudica il modo con cui il rapporto Europa - Islam è stato affrontato dall’opinione pubblica?

Sinceramente, a me pare che la maggior parte di noi, informazione pubblica, politici e opinion makers, continui ad affrontare l’argomento, come se fosse una partita di calcio, tifando per gli uni o per gli altri. Sostenendo la tesi della possibile convivenza o quella opposta, senza prendersi il fastidio di verificare con gli strumenti della storia, dell’antropologia culturale, della storia delle religioni, della sociologia, della statistica, l’effettiva natura del fenomeno.

 

Ma allora professore come bisogna guardare a questo complesso rapporto?

Evitando tutti i possibili malintesi fin qui accumulati.Questi sono essenzialmente due.

Il primo consiste nel voler fondare, a tutti i costi, una sorta di confronto-appiattimento fra Europa e Islam. Senza chiedersi cosa effettivamente Europa e Islam siano. Noi siamo abituati a pensare all’Europa come ad un ‘continente’ e all’Islam come ad una religione, ad un modo di aggregarsi, di concepire il mondo. Per noi occidentali, i continenti sono delle realtà obiettive e non, come sarebbe giusto e corretto valutarli, dei dati storici, che appartengono al nostro modo erodoteo di concepire l’ecumene.

Il mondo musulmano, erede in questo di tradizioni che sono indiane, persiane, concepisce il mondo per fasce geografiche, per fasce climatiche. È già questo è un modo diverso di guardare alla realtà.

Europa e Islam sono realtà profondamente disomogenee fra di loro e proprio per questo suscettibili di un fruttuoso interscambio.

Professore, una simile convivenza non costituirebbe un pericolo per la nostra identità?

Oggi, si parla molto del fatto che l’identità possa essere messa in crisi da qualcosa di esterno. Personalmente ritengo che quando l’identità è forte, è radicata, questo pericolo non esiste. Se si incomincia a pensare che la propria identità possa essere minacciata dall’altro in quanto ‘diverso’, è allora che qualcosa incomincia a vacillare.

Mi permetta di introdurre a questo punto il secondo malinteso, che può essere compendiato nell’incapacità, spero non volontaria, di riconoscere la profonda collaborazione avuta in passato fra civiltà europea e quella musulmana. Tutta una serie di avvenimenti storici ci è comunemente inculcata come prova della insormontabile giustapposizione fra questi due mondi. Io non sto qui a parlargliene, ma eventi come la battaglia di Poitiers del 732-733, la gloriosa battaglia di Lepanto o l’arrivo dei turchi a Vienna, due anni dopo che i lanzichenecchi erano giunti a Roma, se fossero esaminati con un po’ più di fedeltà storica, ci permetterebbero di scoprire che il rapporto fra cristiani e musulmani non consisteva solo nel farsi guerra, ma anche in una fruttuosa reciprocità. Si intenda: io non voglio negare l’effettivo accaduto, ma solo rilevare l’altrettanta reale collaborazione esistita.

L’Islam è stata una delle grandi levatrici della nostra cultura. La prosperità economica, nata a partire dal XI secolo, fatta certo anche di razzie militari, era fondata soprattutto su gli scambi. Se noi guardiamo ai secoli classici della crociata, XI e XII secolo, ci accorgiamo che quel periodo è stato "l’età dell’oro" degli scambi culturali, filosofici ed economici fra Europa e Islam. Questo per dire che il nemico metafisico, così come lo immaginiamo, non esiste e non è mai esistito.

Le ripeto, con questo non intendo negare gli effettivi scontri avvenuti, anzi ciò che mi preme è ricondurli ad un equilibrio politico, sociale e religioso molto più ampio di quello che qualsiasi banalizzante schematizzazione può darci. Ancora, ciò che m’interessa è ricordare che questi scontri non costituiscono l’unica, e nemmeno la predominante, cifra di una realtà molto più complessa di quanto s’immagini.

 

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