Continua la nostra campagna a favore dei fruttiferi
minori nell’ambito del progetto Genres e in questo numero vogliamo
imparare a conoscere pregi e difetti di una specie non molto apprezzata
come l’Opuntia ficus indica, meglio conosciuta come fico d’India.
Il genere Opuntia, il più conosciuto
della famiglia delle Cactacee, comprende più di 1600 specie. Per
diverse ragioni, lo studio tassonomico del genere ha incontrato numerose
difficoltà e appare tuttora soggetto a continui mutamenti. Sicuramente
molti problemi sono creati dalla facilità di questa pianta ad
incrociarsi, cosa che ha provocato un’estrema variabilità dei
fenotipi. E’ grazie all’uomo (o meglio… a causa dell’uomo?) che
è avvenuta un’opera di selezione destinata alla diffusione delle
specie più richieste dal mercato: quelle con produzione frutticola tra
le quali primeggia il fico d’India.
Le specie del ficodindia, sono originarie dell’America
tropicale, ma nel tempo si sono diffuse in tutto il continente
americano, dalle regioni meridionali del Canada alla Patagonia, per poi
in seguito approdare nelle zone più aride di diversi Paesi, soprattutto
sulle coste del Mediterraneo, nell’Africa centrale e meridionale, nell’Asia
occidentale, in Australia e nel Nord della Penisola indiana. Addirittura
le prime indicazioni sull’ uso alimentare di questa pianta risalgono
al 6500 a.C.. Caratteristica comune di tutte le aree di diffusione è un
grado di aridità più o meno elevato. Nonostante ciò, queste piante
sono in grado di tollerare temperature invernali da –6 a –8°C,
riducendo l’ attività vegeto-riproduttiva. E’ infatti proprio
grazie a queste caratteristiche che la coltura si è guadagnata un ruolo
importante nell’agricoltura sostenibile sia di zone aride che
semiaride, mentre le proprietà farmaceutiche dei suoi prodotti, l’origine
esotica e il ridotto impatto ambientale, l’hanno resa interessante
anche per le aree in cui è stata introdotta recentemente. In questi
ultimi dieci anni è stato registrato un notevole aumento delle
superfici coltivate, tanto che oggi è una delle specie più diffuse: in
Italia il maggiore incremento è stato registrato in Sicilia ed è stato
finalizzato ovviamente alla produzione frutticola.
L’elevata rusticità del genere, visto il mancato
interesse del miglioramento genetico, ha reso possibile condurre con
successo tale coltura anche con un ridotto impiego di mezzi tecnici. In
Italia e nei Paesi dove si è osservata una forte intensificazione
colturale sono state proposte sia la pratica irrigua sia la concimazione
e la gestione razionale del suolo, con criteri simili a quelli usati per
le altre specie frutticole.
Oggi, quindi, il ficodindia può competere con tutte
le altre specie da frutto, in virtù di una domanda internazionale
sempre crescente di frutti esotici.
D’altra parte gli odierni usi di tale specie vanno
ben oltre l’esclusivo consumo alimentare; grande importanza assume l’impiego
del ficodindia nella gastronomia etnica di diverse nazioni dove esso
sostituisce soprattutto la mancanza di alimenti ricchi. In Messico il
ficodindia è la quinta specie per importanza, da cui si producono
verdure (nopalitos) tramite la raccolta dei giovani cladodi
(pale). I nopalitos vengono usati freschi o cucinati in oltre trecento
modi diversi e conservati sott’olio o sottaceto. I cladodi più adulti
vengono utilizzati per ottenere farine per la preparazione di biscotti e
composti industriali dietetici, ma da queste "pale" è
possibile ricavare anche marmellate e canditi, mentre il frutto è la
base di numerosi prodotti dolciari, sciroppi, puree e bevande.
Non pensiate però che dall’epidermide del frutto e
dai semi, non siano state messe a punto tecnologie per l’ottenimento
di prodotti secondari come canditi e oli.
Radici storiche confermano, invece, l’uso del
ficodindia per l’alimentazione del bestiame, in particolare per i
poligastrici, e molto importante è la possibilità di insilare anche il
materiale di potatura ottenuto da impianti destinati alla produzione
della frutta.
Ma ricordiamo anche che da questa pianta si ottiene
la produzione del colorante carminio, che trova largo impiego nella
cosmesi, nell’industria tessile e nell’agroalimentare, mentre le sue
sgargianti fioriture
vengono impiegate per uso ornamentale...