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La ricostituzione della "Babele"

di Stefano Santasilia

Chi non ricorda il famoso episodio della Bibbia nel quale si parla della Torre di Babele? Come non ricordare la "hybris" che caratterizzava gli architetti e i costruttori di tale torre che credevano di poter giungere a Dio solo grazie alle loro forze, mentali o materiali che fossero?

Giusto premio di tanta tracotanza fu appunto la confusione delle lingue!

Il Signore punì la superbia (che da sempre sembra essere il peccato per eccellenza, basti ricordare l’atteggiamento che meritò a Lucifero la sorte che tutti ben conosciamo) degli uomini rendendo loro impossibile il comunicare, di conseguenza senza potersi comprendere fra loro dovettero abbandonare il progetto che si erano proposti di portare a compimento.

Per le memorie più deboli possiamo indicare il passo esatto: Genesi 11, 1-9 (La Bibbia di Gerusalemme, EDB).

Al di là di tutte le interpretazioni teologiche quello che vorrei portare alla luce esaminando questo passo è appunto la differenziazione delle lingue: l’uomo non riesce più a comunicare con il suo prossimo se la lingua parlata non è la stessa.

Probabilmente si potrebbe comunicare tramite gesti ma questo non inficia ciò che è stato detto in quanto presupporrebbe una stessa lingua mentale, uno stesso concepire le idee che ci premette di associarle agli stessi gesti.

Ho parlato di "ricostituzione", forse un tentativo di ricostruire la torre? Niente affatto!

Non "ricostruzione", ma "ricostituzione". Il luogo dove il Signore operò si chiamò Babele perché, come cita il testo, lì il Signore confuse la lingua di tutta la terra…

Il Signore quindi creò l’uomo, ogni discendente, ogni altro uomo aveva la stessa lingua, v’era la piena possibilità di comprendersi. Poi, la punizione di una colpa, generò la confusione, l’impossibilità di riuscire a comunicare senza sforzi e sacrifici. Eppure c’è da chiedersi se Il Signore con quel "confondere" abbia mutato la nostra stessa essenza, se abbia mutato l’uomo, oppure lo abbia solo confuso, disorientato…

Ammettiamo questa seconda ipotesi, ecco che l’uomo manifesta in sé l’unità con tutti gli altri uomini nella comune costituzione interiore, non mutata dal suo Creatore, solo scossa affinché non sia più possibile una superbia che avrebbe come risultato la sua distruzione!

Ecco che allora la "Babele" non è più simbolo della superbia e della confusione ma si fa emblema della possibilità di comprendersi, della possibilità di accoglienza dell’altro, accoglienza che si realizza nella comune "umanità" di ogni uomo che non si riconosce meramente come animale e implica la condivisione di un’esistenza che appunto non è più costitutivamente ego-centrica (centrata sul proprio sé), ma relazionata al prossimo nel suo stesso iniziare e svilupparsi.

Relazione che è costitutiva ma che può essere vanificata dalla mia libera volontà nel momento in cui decido di comportarmi come se avessi valore solo io, ma che comunque e sempre è chiamata all’amore, quell’amore di cui Gesù parla quando afferma: "Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici." (Gv. 15, 13).

Così la Pentecoste che si manifesta al mondo quando gli apostoli parlano le lingue di tutti coloro che ascoltano e ciò accade per mezzo dello Spirito, amore, unica lingua che unisce gli uomini perché scintilla che caratterizza l’umanità, che in quell’evento si fa lingua reale, sonora e comprensibile ad ogni uomo, da qualunque luogo venga, quella Pentecoste, dicevamo, è forse segno d’inizio della ricostituzione. Pentecoste la cui eco, certo non miracolosa ma non per questo meno importante, si avverte quando il vicario di Cristo in terra, Giovanni Paolo II, parla agli uomini e ripete ciò che dice in tutte le lingue considerate fondamentali e più diffuse.

L’uomo, grazie a Cristo, comprende che se l’uomo ha provocato la "Babele" della confusione, oggi più che mai l’uomo ha il compito di ricostituire la vera "Babele", quella dell’amore, quella dell’unità…ma sarebbe meglio dire quella della "vera umanità"!

 

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