Chi non ricorda il famoso episodio della Bibbia nel
quale si parla della Torre di Babele? Come non ricordare la "hybris"
che caratterizzava gli architetti e i costruttori di tale torre che
credevano di poter giungere a Dio solo grazie alle loro forze, mentali o
materiali che fossero?
Giusto premio di tanta tracotanza fu appunto la
confusione delle lingue!
Il Signore punì la superbia (che da sempre sembra
essere il peccato per eccellenza, basti ricordare l’atteggiamento che
meritò a Lucifero la sorte che tutti ben conosciamo) degli uomini
rendendo loro impossibile il comunicare, di conseguenza senza potersi
comprendere fra loro dovettero abbandonare il progetto che si erano
proposti di portare a compimento.
Per le memorie più deboli possiamo indicare il passo
esatto: Genesi 11, 1-9 (La Bibbia di Gerusalemme, EDB).
Al di là di tutte le interpretazioni teologiche quello
che vorrei portare alla luce esaminando questo passo è appunto la
differenziazione delle lingue: l’uomo non riesce più a comunicare con
il suo prossimo se la lingua parlata non è la stessa.
Probabilmente si potrebbe comunicare tramite gesti ma
questo non inficia ciò che è stato detto in quanto presupporrebbe una
stessa lingua mentale, uno stesso concepire le idee che ci premette di
associarle agli stessi gesti.
Ho parlato di "ricostituzione", forse un
tentativo di ricostruire la torre? Niente affatto!
Non "ricostruzione", ma
"ricostituzione". Il luogo dove il Signore operò si chiamò
Babele perché, come cita il testo, lì il Signore confuse la lingua di
tutta la terra…
Il Signore quindi creò l’uomo, ogni discendente,
ogni altro uomo aveva la stessa lingua, v’era la piena possibilità di
comprendersi. Poi, la punizione di una colpa, generò la confusione, l’impossibilità
di riuscire a comunicare senza sforzi e sacrifici. Eppure c’è da
chiedersi se Il Signore con quel "confondere" abbia mutato la
nostra stessa essenza, se abbia mutato l’uomo, oppure lo abbia
solo confuso, disorientato…
Ammettiamo questa seconda ipotesi, ecco che l’uomo
manifesta in sé l’unità con tutti gli altri uomini nella comune
costituzione interiore, non mutata dal suo Creatore, solo scossa affinché
non sia più possibile una superbia che avrebbe come risultato la sua
distruzione!
Ecco che allora la "Babele" non è più
simbolo della superbia e della confusione ma si fa emblema della
possibilità di comprendersi, della possibilità di accoglienza dell’altro,
accoglienza che si realizza nella comune "umanità" di ogni uomo
che non si riconosce meramente come animale e implica la condivisione di
un’esistenza che appunto non è più costitutivamente ego-centrica
(centrata sul proprio sé), ma relazionata al prossimo nel suo stesso
iniziare e svilupparsi.
Relazione che è costitutiva ma che può essere
vanificata dalla mia libera volontà nel momento in cui decido di
comportarmi come se avessi valore solo io, ma che comunque e sempre è
chiamata all’amore, quell’amore di cui Gesù parla quando afferma:
"Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per i propri
amici." (Gv. 15, 13).
Così la Pentecoste che si manifesta al mondo quando
gli apostoli parlano le lingue di tutti coloro che ascoltano e ciò accade
per mezzo dello Spirito, amore, unica lingua che unisce gli uomini perché
scintilla che caratterizza l’umanità, che in quell’evento si fa
lingua reale, sonora e comprensibile ad ogni uomo, da qualunque luogo
venga, quella Pentecoste, dicevamo, è forse segno d’inizio della
ricostituzione. Pentecoste la cui eco, certo non miracolosa ma non per
questo meno importante, si avverte quando il vicario di Cristo in terra,
Giovanni Paolo II, parla agli uomini e ripete ciò che dice in tutte le
lingue considerate fondamentali e più diffuse.
L’uomo, grazie a Cristo, comprende che se l’uomo
ha provocato la "Babele" della confusione, oggi più che mai l’uomo
ha il compito di ricostituire la vera "Babele", quella dell’amore,
quella dell’unità…ma sarebbe meglio dire quella della "vera
umanità"!
filosteve