Mi
occuperò di quelle che pur non essendo più" nuove filosofie"
dell'intervento pubblico, visto il cambiamento nella maggioranza di
Governo, costituiscono probabilmente un punto di partenza per ancor più
nuove filosofie. Nel lontano passato precedente alla rivoluzione in
politica economica della sig.ra Thatcher e di Reagan dei primi anni '80
del secolo scorso l'intervento pubblico in Europa si giustificava sia in
relazione ai fallimenti del mercato sia in relazione ad obiettivi pubblici
indipendenti da ogni valutazione di mercato. La programmazione degli
investimenti non era discussa per la sua legittimità, ma per i suoi
effetti. Se si dovesse piuttosto ricorrere al settore privato rispetto
all'azione diretta dello Stato, era allora questione squisitamente di
merito. Naturalmente, già all'epoca erano ben conosciute le distorsioni
presenti nell'intervento pubblico diretto: corruzione e concussione,
lievitazione dei prezzi, qualità inefficienti, servizi inaffidabili,
irrilevanza del fattore tempo nell'esecuzione dei lavori e nell'esercizio
delle funzioni, mancanza di rilievo della domanda individuale;
comportamento burocratico tendente a massimizzare la spesa, ecc. Tuttavia,
si trattava di difetti che, benché grandi e distruttivi, si consideravano
inferiori a quelli di una devoluzione dell'insieme delle decisioni
pubbliche al settore privato, che presentava i difetti dell'oligopolio,
dei gruppi di pressione e delle circostanze esterne negative (sociali,
ambientali): nel caso dell'intervento pubblico, infatti, si poteva
intervenire direttamente per eliminare o ridurre le distorsioni e le
esternalità, mentre nel caso del settore privato le regole del mercato
potevano essere migliorate, ma non si sarebbe mai eliminato il pericolo
della "legge del più forte". Da non sottovalutare il fatto che
una grande serie di obiettivi erano pubblici perché erano considerati
collettivi - Istruzione, sanità, ambiente, conservazione dei beni
culturali e ambientali, cultura, ricerca scientifica, difesa, giustizia,
gli stessi mercati - e dunque sarebbero stati snaturati se affidati al
settore privato. Dopo la reazione thatcheriana e l'enfasi sul pareggio del
bilancio pubblico, è prevalsa - gradualmente -la tesi dello Stato minimo.
A
seconda del prevalere della sinistra o della destra politica nei diversi
Paesi, lo stato minimo è stato interpretato, rispettivamente, come
produzione privata di beni pubblici (e collettivo o come produzione
privata di beni privati (negando l'esistenza di beni collettivo. Sto estrèmizzando,
naturalmente, ma allo scopo di far capire come, in ogni caso, il filo
logico della nuova "filosofia" sia quello della riduzione della
responsabilità pubblica e della maggiore efficienza ed efficacia del
settore privato. In molti Paesi, istruzione, sanità, giustizia, difesa
continuano ad essere considerati beni collettivi e sono prodotti dai
singoli Stati, ma ciò che importa è la sempre presente tendenza a
trasformare, nella misura del possibile, ogni bene collettivo in bene di
mercato. Il processo è incorso, e presenta alterne vicende. Nelle more
della trasformazione si creano novità istituzionali che trascendono la
direzione della trasformazione. Si è formata una nuova
"meta-filosofia" intorno al terzo settore, o non-profit,
considerato come esecutore privato di obiettivi pubblici, non distorto da
logiche di mercato. Il terzo settore, d'altro canto, è una complessa
costellazione di diverse forme di rapporti istituzionali, e di
organizzazioni, che vanno dagli accordi volontari, alla concertazione,
alla partecipazione, alla cooperazione, alle associazioni, alle
fondazioni. Siamo di fronte a forme organizzative presenti, sempre in
tutte le nostre società, ma che nello scontro tra Stato e mercato sono
investite di nuova importanza e di nuovi, compiti.
In
questo quadro vedo la discussione di Italia Nostra sull'otto per mille. Ciò
che lo Stato desidera, con questo strumento, è che si ampli il raggio dei
soggetti capaci di esprimere obiettivi di natura collettiva e ciò allo
scopo di rafforzare e non di indebolirne la dignità stessa. Occorre
ricordare, infatti, che mentre procede la riduzione del ruolo dello Stato,
si indebolisce anche la capacità dello Stato di giustificare se stesso:
quanti soprintendenti sono oggi in grado validamente di reagire alla
inevitabile riduzione del proprio ruolo, legata alla riduzione dei
finanziamenti pubblici? E la loro stessa cultura, non finisce per
sterilizzarli nella fiera rivendicazione corporativa? A quali alleanze
possono far ricorso, se il settore privato è il loro naturale avversario?
Allo stesso tempo, il ricorso al "terzo settore" ha il pregio di
ridurre la rigidità burocratica del settore pubblico che, per alcuni tipi
di progetti, può essere molto negativa e proprio per la pressione di'
interessi esterni. Bisogna sempre ricordare che il comportamento
burocratico è vincolato dalla norma. Se questa non tiene conto delle
circostanze esterne positive o negative, anche il funzionario pubblico non
ne terrà conto.
E'
vero che anche il terzo settore, può comportarsi in maniera
opportunistica e non svolgere il compito che la propria missione e lo
Stato gli assegnano - e che in sostanza è quello di evitare la pura
privatizzazione dell'offerta - ma appropriarsi di vantaggi, pur se
l'organizzazione è senza fini di lucro: si tratta di una situazione ben
nota, che dà luogo a correttivi nella forma di statuti, deontalogie,
regolazioni, monitoraggi, controlli e valutazioni. Infine, deve essere
chiaro che, quando lo Stato assegna l'otto per mille, lo fa anche per far
corrispondere, sia pure marginalmente, l'esazione fiscale ad una qualche
preferenza per il contribuente. Che si tratti di una illusione, è ben
noto, ma è la stessa illusione che riduce il senso di colpa dei giocatori
del lotto, quando sanno che una parte della loro spesa va a finanziare
nobili obiettivi. Se devo esprimere un'opinione, ritengo che Italia Nostra
debba concorrere all'otto per mille, ma che debba dotarsi di un organismo
che controlli in modo specifico la funzione collettiva della spesa che
quei fondi consentono.
Paolo
Leon
Fonte:
Bollettino dell'Associazione n. 378 dell'ottobre 2001