Giudei

L’assedio di Gerusalemme nell’anno 70 d.C.

Monastero

Giuseppe Flavio storico ebraico
L’assedio di Gerusalemme nell’anno 70 d.C. costituì l’episodio decisivo della prima guerra giudaica.

l’esercito romano, guidato da Tito Flavio Vespasiano, assediò e conquistò la città di Gerusalemme.
"Mentre la città era colpita da ogni parte dai suoi carnefici e dei loro aguzzini, il popolo sembrava come un unico corpo, nel mezzo, che veniva dilaniato dalle tre fazioni"

(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, V, 1.5.27.)

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I Giudei furono puniti

Gesù predisse le sciagure che si sarebbero abbattute sui Giudei: Guai alle donne che saranno gravide e a quelle che allatteranno i loro figli in quei giorni. Pregate che la vostra fuga non abbia luogo d’inverno o di sabato, infatti vi sarà allora grande sofferenza quale mai, dall’inizio del mondo fino ad oggi, si è verificata, né accadrà mai più (Mt 24, 79-21).
Dando compitezza a tale profezia, la giustizia di Dio mandò in rovina i Giudei quarant’anni dopo l’efferatezza da loro compiuta contro Cristo.

Durante l’assedio di Gerusalemme da parte dell’esercito romano, la carestia fu un vero e proprio tormento, come descritto dal libro della guerra giudaica e come riferito anche da Eusebio di Cesarea, di cui si riportano i passi qui di seguito estrapolati.

Dal quinto libro delle Storie di Giuseppe così descrive il dramma: «Il più grande di tutti i mali era la fame, le donne strappavano il cibo dalla bocca dei mariti, i figli da quella dei padri e, ciò che è molto degno di compianto, le madri da quella dei propri figli.

Non potevano nemmeno restare nascosti, se la casa era chiusa a chiave era un segno che c’era ancora qualcosa da mangiare, i rivoltosi sfondavano le porte e, afferrati i malcapitati per la gola, facevano loro quasi uscire fuori i bocconi.

Picchiavano i vecchi che facevano resistenza, strappavano i capelli alle donne se cercavano di nascondere qualcosa in mano; non avevano rispetto alcuno né per i vecchi né per i fanciulli.

Se non trovavano nulla, infliggevano ad ognuno sofferenze tremende per indurli a confessare dove avevano nascosto un pezzo di pane o una piccola quantità di orzo.

La fame, che diveniva sempre più acuta, uccideva la gente nelle loro case e sterminava intere famiglie; le terrazze infatti erano stracolme di cadaveri di donne e di neonati, i vicoli di salme di vecchi. Fanciulli e giovani, tumefatti, come fantasmi si radunavano nelle piazze e cadevano là dove l'inedia li faceva stramazzare a terra.

I malati non avevano neppure la forza di dare sepoltura ai loro cari, e chi si manteneva ancora in forze ricusava [di farlo] a causa del numero elevato dei morti e dell'insicurezza del proprio destino: molti infatti cadevano morti su coloro che avevano testé seppellito, e molti scendevano nelle tombe prima che si presentasse il fato di morte.

Non si udivano, fra queste sciagure, lamento né pianti, poiché la fame aveva represso anche i sentimenti; quelli che stavano per morire guardavano con occhi asciutti venir meno coloro che li avevano preceduti; la città era piombata in un profondo silenzio e in una tetra oscurità, della morte compagna.

Ma ancor più terribile di questi mali erano i briganti; questi, saccheggiando le case, rapinavano persino i morti e, dopo averli spogliati di ciò che ancora ricopriva i loro corpi, se ne uscivano ridendo; saggiavano persino le punte delle spade sui cadaveri, e ne provavano la lama trafiggendo alcuni di quelli che erano stati abbandonati ancora in vita.

Lasciavano invece consumare con disprezzo dalla fame coloro che li supplicavano di dar loro aiuto o di porre fine alle sofferenze trafiggendoli con la spada".

Nel sesto libro Giuseppe così scrive ancora Eusebio di Cesarea: «Ormai incalcolabile era il numero delle vittime che la fame mieteva in città, e inenarrabili le sofferenze. In ogni casa era guerra se c'era la sola ombra di cibo; i parenti più cari venivano alle mani gli uni sugli altri, strappandosi di bocca i miseri sostentamenti. A soffrire erano non coloro che morivano, ma chi era ancora in vita, a cui i briganti rapinavano anche un misero boccone affinché nessuno di loro morisse con del cibo nascosto addosso.

Questi fatti avvennero nel secondo anno del regno di Vespasiano, così come aveva preannunciato la profezia di Gesù riferendole alla città di Gerusalemme: Se conoscessi anche tu in questo giorno le cose per la tua pace! Ora invece si cela ai tuoi occhi, poiché verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno con una trincea, ti chiuderanno da ogni parte e uccideranno te e i tuoi figli.

E altrove; Quando vedrete Gerusalemme assediata dai soldati, allora sappiate che è ormai prossima la sua rovina. L’anno di riferimento è il 70 d.C., data della distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito.

L’assedio di Gerusalemme culminò il 9 agosto con l’incendio del Tempio e il vessillo dei legionari innalzato sulla Porta Orientale. La cronaca dettagliata degli eventi di tutta la guerra è stata descritta dallo storico Giuseppe Flavio, che racconta come il numero complessivo dei prigionieri catturati durante l’intera guerra fu di 97.000 e i morti pari a 1.100.000.

Un numero di vittime superiore a qualunque altro sterminio eseguito prima di allora. Durante l’assedio della città la maggior parte delle vittime furono giudei, non di Gerusalemme, ma giunti da ogni parte del Paese per celebrare la Festa degli Azzimi, e il sovraffollamento generò prima la pestilenza e poi il flagello della fame.