Dio perdona
La vita umana
è un continuo ritorno alla casa del Padre. Ritorno mediante la contrizione, la conversione del cuore, che presuppone il desiderio di cambiare, la decisione ferma di migliorare la nostra vita, e si manifesta pertanto in opere di sacrificio e di dedizione.
Ritorno alla casa del Padre per mezzo del Sacramento del perdono, nel quale, confessando i nostri peccati, ci rivestiamo di Cristo e ridiventiamo suoi fratelli e membri della famiglia di Dio.
(San Josemaría, È Gesù che passa, 64).
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Il perdono di Dio
La parola “perdono”, composta dalla particella intensiva “per” e dal verbo “donare”, significa “donare completamente” e, in riferimento a una colpa, “mettere una pietra sopra”, “condonare”, cancellarne il debito o la pena. «L’empio abbandoni la sua via, l’iniquo desista dai suoi pensieri, ritorni al Signore, che ne avrà misericordia, al nostro Dio che largheggia nel perdonare» (Isaia 55,7). Sebbene sia gratuito, per ottenere il perdono occorre richiederlo, affinché Dio possa agire non contro la nostra volontà.
Quando Dio ci perdona, Lui fa sì che i nostri peccati non siano più messi in conto contro di noi. Il perdono di Dio tuttavia è condizionato al pentimento e alla confessione dei propri peccati: solo allora potrà perdonarci e purificarci da ogni iniquità.
Tutti abbiamo bisogno del perdono di Dio. Se diciamo di non aver peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. «Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto e così rimette i nostri peccati e ci purifica da ogni ingiustizia» (1 Gv 1,9). Ogni peccato è un atto di ribellione contro Dio, perciò abbiamo un disperato bisogno del Suo perdono.
Non possiamo pagare o guadagnarci il perdono da Dio, possiamo soltanto riceverlo, per fede, mediante la grazia e la misericordia di Dio stesso. È solo affidandoci a Gesù Cristo che possiamo ottenere il perdono dei peccati, perché Lui ha preso su di sé il castigo che noi meritavamo, accentando la sofferenza e la morte in croce. Ecco perché il perdono diventa atto d’amore, di misericordia e di grazia.
Ma dal momento che Dio conosce già i nostri peccati, perché ha bisogno della nostra confessione? Perché desidera che ne diveniamo consapevoli, che prendiamo i nostri peccati e li rimettiamo a lui, che li confessiamo senza cercare di sminuirli con atteggiamenti giustificativi, presuntuosi o superficiali, riconoscendo senza se e senza ma le nostre colpe. Dobbiamo essere sinceri e onesti con il Signore, Lui ci promette che ci ascolterà: «Sì o Signore, tu sei buono e concedi il tuo perdono, sei ricco di misericordia con quanti ti invocano. Tendi l’orecchio, Signore, alla mia preghiera, presta attenzione alla voce della mia supplica»
(Salmo 86,5-6).
Ma se continuiamo a manipolare la verità per farla apparire meglio di quella che è davanti a Dio, allora non potremmo mai sperimentare la realtà del suo perdono. Se è vero che Dio perdonò il re Davide per i gravi peccati che commise, è anche vero che non poté proteggerlo dalle conseguenze delle sue azioni. Dio fece mettere per iscritto gli errori di Davide in modo tale che non venissero dimenticati (2 Samuele, 12,9-13). Dio non dimentica, ha e avrà sempre la conoscenza di tutte le cose, ma ha promesso di non usare mai il nostro peccato contro di noi o di trattarci come se la realtà del nostro peccato fosse presente nella sua mente.
Poiché Dio ci ha perdonati, anche noi siamo chiamati a perdonare gli altri: «Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi reciprocamente, come anche Dio vi ha perdonato in Cristo» (Ef 4,32). Ed ancora: «Voi dunque, come eletti di Dio, santi e amati, vestitevi di tenera compassione, di bontà, di umiltà, di mitezza, di longanimità. Sopportandovi a vicenda e perdonandovi se avviene che uno si lamenti di un altro: come il Signore vi ha perdonato, cosi fate anche voi»
(Col 3, 12-13).
Perdonare non significa ignorare il torto che si ha subito dal prossimo, negare che ci è stato fatto del male o chiudere gli occhi davanti ad atrocità morali. Non significa sminuire la gravità dell'offesa. Perdonare significa decidere di lasciare che sia Dio a fare giustizia. Come ci dice Paolo, «non vi vendicate, carissimi, ma cedete il posto all’ira divina: sta scritto infatti: a me la vendetta, io darò ciò che spetta, dice il Signore»
(Rm 12,19).
Perdonare significa non permettere che la rabbia, il dolore, l’amarezza, il rancore, l’odio, il risentimento e la disperazione possano distruggere l’anima. La Bibbia ci consiglia di lasciare stare l’ira e abbandonare il furore (Salmo 37,8); senza giustificare l’accaduto, si deve e si può riuscire a non farsi consumare dalla rabbia.
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e là ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!»
(Mt 5, 20-26).
Allora, se tu hai offeso il fratello non hai giustificazione devi porre rimedio all’offesa, se invece sei vittima di qualche insolenza puoi andare da chi ti ha offeso e dire: “Ti perdono”. L’altro potrebbe anche negare di avere peccato contro di te e di averti offeso, potrebbe rifiutare la tua apertura benevola e opporsi a ogni tentativo di riconciliazione. La tua responsabilità è fare tutto ciò che è in tuo potere per essere in pace. Se rifiuta di essere in pace con te, la colpa è sua.
Da parte tua almeno hai compiuto il tuo dovere davanti a Dio. Quando invece la riconciliazione ha successo, i rapporti non possono tornare del tutto come erano prima che avvenisse l'offesa, perché occorre del tempo prima di recuperare la fiducia, la confidenza e la stima che avevi dell’altra persona. Dio non perdona le persone che commettono peccati volontariamente e crudelmente e che si rifiutano di ammettere i propri errori, di cambiare e di chiedere scusa a chi hanno fatto del male, ed Egli non ci chiede di perdonare chi lui stesso non ha perdonato.
Perdono di San Francesco
Una notte dell’anno 1216, san Francesco era immerso nella preghiera presso la Porziuncola, quando
improvvisamente vi dilagò una vivissima luce e Francesco vide sopra l’altare il Cristo rivestito di luce e alla sua destra la Madonna, circondati da una moltitudine di Angeli. Francesco adorò in silenzio con la faccia a terra il suo Signore.
Gli chiesero allora che cosa desiderasse per la salvezza delle anime. La risposta di Francesco fu immediata: «Santissimo Padre, benché io sia misero e peccatore, ti prego di concedere ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe, a tutti coloro che, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa».
Gli disse il Signore: «Quello che tu chiedi, o Frate Francesco, è grande, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza».
Il perdono è la sorgente di guarigione per la nostra anima, perché sana le ferite provocate dal risentimento, ci rinnova e ristabilisce i nostri rapporti con Dio, col prossimo e con noi stessi. È anche una necessità, perché se non perdoniamo non potremmo essere perdonati. Il perdono non è un sentimento, ma un atto di decisione che deriva dalla nostra volontà, un processo di crescita verso la libertà interiore, un passo dovuto per la conquista della vita eterna.