Dove andremo


Dopo la morte

Monastero

Secondo la fede cristiana ci sono due destinazioni possibili:
Il paradiso: Luogo eterno di gioia destinato a coloro che hanno accettato Gesù Cristo e hanno vissuto una vita secondo i suoi insegnamenti. Come premio le anime saranno saranno in comunione con Dio in uno stato di felicità perfetta.

L’Inferno: Luogo di sofferenza eterna e rimorso per non avere accettato la via della redenzione offerta da Gesù attraverso i Vangeli, e di aver vissuto una vita nel peccato senza mai aver chiesto perdono o una qualche forma di riconciliazione con Gesù, Maestro e Nostro signore.

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Dove andremo dopo la morte

Molti si chiedono dove andremo dopo la morte. Ecco quello che racconta Luca: «C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe»
(Lc 16,19-21).

Nel suo racconto, Luca mette in risalto la differenza tra questi due uomini nella condotta tenuta durante la loro vita terrena: il ricco aveva molti servi che si prendevano cura di lui, mentre dell’altro solamente i cani avevano compassione. Continuando a leggere, Luca descrive ciò che avvenne dopo: «Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Poi morì anche il ricco e fu sepolto»
(Lc 16,12).

Il ricco, nonostante tutto ciò che possedeva, non ha potuto comperare nemmeno un giorno in più da regalare alla sua esistenza. Nei versetti successivi, attraverso gli occhi di Gesù, viene descritta quella che solitamente è definita una parabola, ma in realtà è una storia vera: è ciò che è accaduto al ricco e al mendicante dopo la morte e che, per analogia, risponde all’interrogativo che è stato posto all’inizio di questa riflessione.

Prima dell’ascensione di Gesù Cristo, il posto dove le anime di uomini e donne andavano dopo la morte, era nello “Sceol”, chiamato nel Nuovo Testamento “Ades”: una dimora comune che costituisce la regione dei morti nel peccato, una terra di ombre abitata da coloro che periscono senza credere, un luogo occulto e di tormento per i malvagi o di conforto nel seno di Abramo per i giusti dove, rifacendoci alla narrazione di Luca, si ritrovò anche Lazzaro portato dagli Angeli. Il ricco, invece, andò nel luogo del tormento ed è menzionato da Luca per rappresentare tutti coloro che hanno fallito o non hanno riposto la loro fiducia in Dio, così come coloro che moriranno senza Cristo.

Il ricco, stando in quell’inferno tra i tormenti, «levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi”» (Lc 16,23-26). Nel racconto ci viene detto che questo abisso, che divide i due protagonisti, non può essere superato in alcuna circostanza.

L’uomo ricco non si è perduto perché era ricco, ma perché non ha creduto e ha condotto una vita dissoluta; anche Lazzaro non si è meritato il luogo del conforto perché era povero, ma a motivo della sua fede. Ora, dopo le rispettive morti terrene, il ricco e Lazzaro hanno invertito le loro posizioni: l’uomo orgoglioso, colui che nella vita aveva negato al povero una briciola dal suo tavolo, è diventato mendicante e chiede almeno una goccia d’acqua, perché con quella sola goccia d’acqua sulla sua lingua possa ritrovare un po’ di felicità, in quel luogo di miseria e di sofferenza.

L’Ades si potrebbe dunque definire un inferno intermedio, nell’attesa del giudizio alla fine dei tempi, del grande trono bianco: «Il mare restituì i morti che esso custodiva e la morte e gli inferi resero i morti da loro custoditi e ciascuno venne giudicato secondo le sue opere. Poi la morte e gli inferi furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco»
(Ap 20,13-14).

Questa seconda morte è la dimora eterna dove tutti i miscredenti, con i loro corpi risorti, subiranno la condanna eterna nel fuoco.

Gesù parla ripetutamente della “geenna”, del “fuoco inestinguibile” che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi. Con parole severe, annuncia che: «Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno [...] tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente» (Mt 13,41-42), e ne pronuncia la condanna definitiva: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!»
(Mt 25,41).

Quando Gesù ascese dopo la sua morte, andò negli “inferi”, nell’Ades e mise definitivamente in prigione l’intera prigionia, ma prese tutte le persone che erano nel paradiso intermedio e le portò con sé, in Paradiso o Regno dei cieli, con Dio, con tutti i santi dell’Antico Testamento, con tutti coloro che erano morti credendo in Dio.

Il Regno dei cieli è il luogo in cui si trova Gesù. È Egli stesso a proferirlo: «Il vostro cuore non sia turbato; credete in Dio, e credete anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo? Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi; e del luogo dove io vado, sapete anche la via» (Gv 14,1-4). E fu così che rassicurò anche il ladrone sulla croce, quando gli disse: «oggi sarai con me in paradiso»
(Lc 23,43).

Dove andremo dopo la morte è una destinazione che il Signore ha riposto nelle nostre mani, rendendone però molto semplice la sua determinazione: ci ha donato tutti gli strumenti per conoscerLo e spendere l’eternità con Lui; e qualsiasi cosa pensiamo di fare in tal senso, sarebbe meglio decidere di farla adesso, subito: questo preciso istante potrebbe essere un momento determinante per la nostra salvezza!

Sant’Agostino, "La morte non è niente..."

La morte non è niente. Sono solamente passato dall'altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu. Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora. Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.

Non cambiare tono di voce, non assumere un'aria solenne o triste. Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme. Prega, sorridi, pensami! Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza. La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c'è una continuità che non si spezza.

Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista? Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo. Rassicurati, va tutto bene. Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata. Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.