|
SUDAN: Scheda
conflitto
|
|
|
La guerra civile in Sudan è in
corso ormai da 20 anni, e vede
opporsi il governo settentrionale di
Karthoum ed i ribelli del Sudan
People's Liberation Army (SPLA), che
rivendicano l'indipendenza delle
regioni meridionali del Paese.
Una delle principali motivazioni di
questa guerra (oltre a questioni
economiche e territoriali) è
sicuramente la profonda differenza
etnica, sociale e religiosa
esistente tra il Nord nazionalista,
arabo e islamico ed il Sud nero e
cristiano-animista, organizzato in
strutture di stampo prevalentemente
tribale.
Tale contrapposizione, portata alle
estreme conseguenze da rivalità
etniche, aveva già condotto le
parti a combattersi in un primo
conflitto che insanguinò il sud
Sudan dal 1955 al 1972, poco prima
che i Paese raggiungesse
l'indipendenza dall'Inghilterra; le
ostilità ebbero inizio quando una
guarnigione governativa dell'Equatoria
Corps si ammutinò e diede origine
ad una lotta armata contro Khartoum;
in seguito, i guerriglieri si
riorganizzarono e diedero vita al
gruppo Anya Nya, a sua volta
accorpato ad altre fazioni minori
per formare l'SSLM (Southern Sudan
Liberation Movement), diretto da
Joseph Lagu. Nel 1972 quest'ultimo
firmò la pace con l'allora
dittatore sudanese Nimeiri, ad Addis
Abeba.
Agli accordi seguì dunque un
periodo di transizione
sostanzialmente pacifico, in cui gli
Stati dell'Equatoria, Bahr-el-Ghazal
e Upper Nile raggiunsero un relativo
grado di autonomia.
Tuttavia, la situazione precipitò
nuovamente nove anni dopo: la
scintilla che scatenò il secondo
conflitto ebbe luogo nel maggio del
1983, quando Nimeiri decise di
estendere la Sharia (la legge
islamica) anche alle popolazioni
cristiane del sud.
Anche stavolta diverse divisioni
governative di stanza nella regione
si ammutinarono; una di esse,
comandata da John Garang (che aveva
ricevuto un addestramento militare
negli USA) divenne il nucleo di base
della guerriglia dell'SPLA.
Successivamente i ribelli iniziarono
a ricevere finanziamenti da
amministrazioni o gruppi armati di
Paesi vicini e lontani, fra cui
Uganda, Eritrea, Chad, Stati Uniti e
Israele.
Da allora, i due eserciti si sono
fronteggiati senza sosta fino a
pochi mesi fa; i venti anni di
guerra sono stati segnati da
combattimenti estremamente feroci,
condotti anche con armi "non
convenzionali" (il regime è
stato più volte accusato
dell'utilizzo dei gas letali).
Nel 1998 gli Usa hanno bombardato
una fabbrica di armi chimiche vicino
alla capitale, accusando Khartoum di
fornire armi al terrorismo
internazionale.
Il conflitto, concentratosi quasi
esclusivamente nel sud del Paese, ha
colpito in particolar modo la
popolazione civile, tra cui si
registrano gran parte degli oltre
due milioni di vittime; inoltre, in
centinaia di migliaia hanno perso la
vita a causa delle carestie e delle
epidemie connesse con la guerra,
mentre altri quattro milioni e mezzo
di persone hanno dovuto abbandonare
le proprie case e rifugiarsi nei
campi profughi locali o dei Paesi
confinanti (Uganda e Kenya in
particolare).
Governo e ribelli si sono resi
responsabili di gravissime
violazioni dei diritti umani; per
vent'anni l'aviazione ha bombardato
incessantemente i villaggi, colpendo
case, scuole, edifici pubblici,
mercati e chiese. Le stragi di
civili sono state quasi quotidiane,
come testimonia l'enorme numero di
fosse comuni rinvenute; inoltre,
migliaia di persone, soprattutto
donne e bambini, sono state rapite e
deportate al nord come schiavi.
L'SPLA ha arruolato, spesso con la
forza, un gran numero di bambini tra
le sue milizie; inoltre i ribelli
sono stati accusati di esercitare un
opprimente monopolio sugli aiuti
umanitari (che sovente sono stati
negati alla popolazione, aggravando
maggiormente il problema della fame
e della carestia).
Negli ultimi anni il tentativo di
controllo dei giacimenti petroliferi
e delle altre risorse dei territori
meridionali ha preso il sopravvento
su ogni altra questione, diventando
così il vero motivo della guerra.
Le enormi ricchezze del sud - fra
cui, oltre al petrolio, anche acqua,
terreni coltivabili, bestiame,
minerali, che non si trovano nel
nord principalmente desertico -
rappresentano da sempre un
fortissimo richiamo per la classe
dirigente (dal 1989 sotto la guida
di Omar Hassan al-Bashir), ed ai
grandi amministratori e proprietari
terrieri ad essa legati; ad
aggravare la situazione si è
aggiunto l'intervento di influenti
multinazionali petrolifere
straniere, che hanno fomentato la
campagna di guerra di Khartoum per
tentare di conquistare quante più
"aree produttive" a sud.
Si è così instaurato un circolo
vizioso, attraverso cui il regime ha
utilizzato gran parte dei ricavi
dell' "oro nero" per
acquistare armi sempre più
distruttive, e prendere il controllo
di un numero sempre maggiore di
giacimenti. Centinaia di migliaia di
civili sono stati così scacciati o
uccisi unicamente per il fatto di
abitare nei pressi di campi
petroliferi, e talvolta, secondo
numerose denunce di osservatori
indipendenti, le multinazionali non
hanno esitato a scatenare i propri
eserciti privati sulla popolazione.
La canadese Talisman Energy, ora
ritiratasi dal Paese, ha ricevuto
durissime accuse a riguardo, ma
certamente non è stata l'unico
caso.
Solo lo scorso anno sono stati
compiuti importanti passi avanti sul
piano diplomatico, dopo due decenni
di indifferenza da parte della
comunità internazionale. Sono stati
infatti aperti i colloqui di pace in
Kenya che, fra alterni e discontinui
risultati, hanno portato ad un
cessate-il-fuoco che dovrebbe
preludere ad una pace definitiva:
per cui, dopo sei anni di
"transizione", il sud del
Paese dovrà raggiungere una larga
autonomia da Khartoum, insieme
all'autodeterminazione ed
all'utilizzo di una consistente
percentuale delle risorse naturali
locali.
Le trattative sono supportate dall'IGAD
(Inter-Governmental Authority for
Developement), che abbraccia diversi
Paesi confinanti, oltre anche agli
USA.
Proprio l'intervento del governo
americano, anche se non certamente
mirato per questioni umanitarie, è
stato determinante nel
raggiungimento di una intesa di
massima: Washington ha infatti
promesso enormi finanziamenti alle
parti in cambio di un accordo di
pace, che dovrebbe portare ad un
significativo aumento della
produzione di petrolio.
Mentre a sud, nonostante la tregua
abbia subito numerose violazioni,
sembra faticosamente aprirsi uno
spiraglio di pace, nuovi timori
sorgono per le crescenti violenze
nella provincia del Darfur, regione
desertica situata nel nord-ovest del
Paese, ed abitata per lo più da
tribù islamico-animiste nomadi.
Negli ultimi anni quest'area è
stata al centro di una campagna di
repressione da parte del regime, che
ha cercato di stabilirne il
controllo utilizzando il pugno di
ferro, tramite rastrellamenti,
arresti e condanne a morte di
oppositori, oltre ad abusi sulla
popolazione civile da parte
dell'esercito stesso o di squadre
paramilitari.
A partire dalla fine di febbraio
alcune delle etnie locali più
rappresentate (fra cui i Fur e i
Masalit), a quanto pare sostenute
dall'SPLA e da altri Paesi
stranieri, hanno cominciato una
campagna di lotta armata contro il
governo, che a sua volta ha reagito
rifiutando qualsiasi soluzione
negoziale e replicando agli
attacchi.
|
|
|
|
|
|
| |
|