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R.D. CONGO:
Scheda conflitto
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Nel 1997 l'Alleanza delle Forze
Democratiche per la Liberazione (ADFL)
guidata da Kabila ha conquistato
Kinshasa e rovesciato la trentennale
dittatura di Mobutu. Ma nel 1998,
ribelli Tutsi, organizzati in gruppi
armati come il Raggruppamento
Congolese per la Democrazia (RCD),
fiancheggiato dai soldati ruandesi,
e il Movimento di Liberazione del
Congo (MLC), appoggiato invece dalle
forze armate ugandesi, hanno
iniziato una dura lotta contro le
fazioni fedeli al presidente Kabila,
spalleggiato a sua volta dagli
eserciti di Angola, Namibia e
Zimbabwe.
Una "Guerra Mondiale
Africana", come è stata
definita, che vede combattersi sul
territorio congolese gli eserciti
regolari di ben sei Paesi per una
ragione molto semplice: il controllo
dei ricchi giacimenti di diamanti,
oro e coltan del Congo orientale
Il Congo si è così ritrovato
diviso in una parte orientale
controllata dai ribelli e una
occidentale ancora in mano alle
truppe di Kabila.
Almeno 350mila le vittime dirette di
questo conflitto, 2 milioni e mezzo
contando anche i morti per carestie
e malattie causate dal conflitto.
Il processo di pace è stato avviato
nel luglio del 1999 con la firma
dell'accordo internazionale di
Lusaka, ma sul campo i combattimenti
non sono mai cessati. nemmeno dopo
che le nazioni coinvolte nel
conflitto hanno iniziato a ritirare
i propri eserciti regolari nel
febbraio 2001 e i caschi blu del
contingente MONUC (Missione ONU in
Congo) sono arrivati per sorvegliare
la tregua.
A combattersi ora sono, da una
parte, una mutevole schiera di
gruppi ribelli tutsi appoggiati
dagli eserciti di Ruanda e Uganda (MLC
e RCD), e dall'altra le milizie
tribali che prima combattevano in
appoggio alle truppe governative
congolesi, guerrieri come i Mai Mai,
i Donos e i Kamajors (federati nelle
FDD: Forze per la Difesa della
Democrazia) e i miliziani hutu
Interahamwe ruandesi, rifugiatisi
nelle foreste del Congo orientale
nel 1994 dopo aver compiuto il
tremendo genocidio di oltre mezzo
milione (forse 800mila) di tutsi
ruandesi..
Cambiamenti di fronte e di alleanze
sono la costante: star dietro al
continuo nascere e morire di nuove
sigle di gruppi combattenti è
davvero un'impresa.
Soprattutto dalla parte dei ribelli
tutsi filo-ruandesi/ugandesi, che
ultimamente si combattono anche tra
di loro. La contrapposizione più
forte è ora tra l'MLC (Movimento di
Liberazione del Congo) di Jean
Pierre Bemba e l'RCD-K
(Raggruppamento Congolese per la
Democrazia-Kisangani) di Mbusa
Nyamwisi, precedentemente alleati
nell'FLC (Fronte di Liberazione del
Congo). Alleato di Jean Pierre Bemba
è attualmente Roger Lumbala e il
suo RCD-N (Raggruppamento Congolese
per la Democrazia-Nazionale).
Sterttamente collegato alla
ribellione congolese è il conflitto
etnico tra gli Hema e i Lendu, che
si combattono (con migliaia i
vittime) dal giugno del 1999 nella
regione dell'Ituri, nel nord-est del
Paese, territorio affidato al
controllo dell'esercito ugandese. Il
Congo accusa quest'ultimo di
fomentare tali scontri etnici al
fine di giustificare la propria
permanenza nella regione e di
continuare a sfruttare l'economia
locale acquistando concessioni per
l'estrazione dell'oro e per la
raccolta del legno pregiato.
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Risorse aggiuntive su questo articolo:
QUATTRO ANNI DI
GUERRA E DI PROMESSE VANE |
06/08/02 -
16:31:45 |
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6 Agosto 2002
Le precisazioni dell'agenzia
MISNA sull'intesa firmata la scorsa
settimana, presentata dai media come
un vero accordo di pace
QUATTRO ANNI DI GUERRA E DI
PROMESSE VANE, TRA SILENZI E CATTIVA
INFORMAZIONE
E' un senso di doloroso sconcerto
quello che sentiamo crescere di
fronte a certi spettacoli offerti
dal mondo dei media. Il velo di
silenzio che la stampa occidentale
ha steso da tempo sul conflitto
congolese viene saltuariamente
squarciato soltanto per fare
disinformazione o, nella migliore
delle ipotesi, informazione
colpevolmente superficiale. E'
avvenuto ad esempio la scorsa
settimana quando, a seguito della
firma a Pretoria del
"protocollo d'intesa" fra
il governo della Repubblica
democratica del Congo e quello del
Rwanda, in tanti si sono affrettati
a sbandierare un presunto
"scoppio" della pace nella
regione.
Alla vigilia del quarto anniversario
dell'inizio della guerra, caduto il
2 agosto scorso, si è voluta così
archiviare la pratica senza
preoccuparsi di verificare, al di là
delle parole, quale sia la
situazione sul campo. E d'altra
parte, anche da un punto di vista
strettamente formale, quello
sottoscritto da Joseph Kabila e Paul
Kagame non è in alcun modo
assimilabile a un accordo di pace.
Si tratta assai più semplicemente
di una intesa destinata sulla carta
a regolare una questione specifica
(il destino dei cosiddetti ribelli
interahamwe e degli ex soldati delle
Far, le forze armate ruandesi
all'epoca del defunto presidente
Juvenal Habyarimana) e la cui reale
portata resta ancora tutta da
valutare. I fatti, viceversa, stanno
purtroppo a dimostrare che non ci
sono proprio le condizioni per
affermare che la pace sia arrivata o
sia alle porte in questo tormentato
Paese.
Il protocollo di Pretoria non
affronta le questioni chiave di un
conflitto che ha già causato la
morte di almeno un milione e mezzo
di persone (secondo alcune stime
oltre due milioni). Per offrire
un'idea delle immani proporzioni del
massacro può essere utile ricordare
che il numero delle vittime è
simile a quello fatto registrare
dalla guerra in Sud Sudan, ma in un
arco di tempo nettamente inferiore.
Dal 1998 ad oggi si sono susseguite
conferenze, trattative, impegni di
cessate il fuoco che hanno
alimentato speranze rivelatesi poi
vane.
Nè gli accordi di Lusaka, nè
l'estenuante maratona negoziale di
Sun City hanno portato a svolte
decisive ed è sbagliato alimentare
illusioni mentre eserciti stranieri
(ugandese e ruandese) stazionano sul
territorio congolese e nulla viene
fatto per dare spazio alla vitale
società civile locale. Il Paese
rischia seriamente di essere oggetto
di una spartizione fra quanti
puntano a continuare lo sfruttamento
delle grandi risorse minerarie
congolesi. In fondo, quando l'allora
segretario di Stato Usa Madeleine
Albright definì quella congolese
come la "prima guerra mondiale
africana" disse la verità,
poiché gli interessi che si celano
dietro a tutto questo non
appartengono soltanto alle potenze
continentali che vi hanno preso
parte sul piano militare. Se finora
la divisione e lo smembramento del
Congo non sono divenuti realtà è
perchè c'è una forte coscienza
nazionale, che resiste ad ogni
prospettiva di questo genere. Ma
quella stessa società civile che
rappresenta la grande speranza per
il futuro è vittima quotidianamente
di soprusi e violenze da parte di
chi vorrebbe far tacere la voce di
un intero popolo. Situazioni come
quelle esistenti a Kisangani e nel
Kivu non lasciano spazio a
particolare ottimismo. Altrettanto
dicasi per l'atteggiamento della
comunità internazionale, la quale
fa finta di non rendersi conto che
la Missione delle Nazioni Unite
nell'ex Zaire (Monuc) sarà
condannata a restare inutile
spettatrice fino a quando non si
vedrà assegnare un mandato più
ampio, che preveda la possibilità
di contribuire attivamente al
disarmo delle troppe fazioni
operanti nel Paese. Appena sabato
scorso una delegazione della Monuc
atterrata in elicottero a Baraka,
nel sud Kivu, è stata costretta da
un centinaio di miliziani della
Coalizione democratica congolese (Rcd-Goma)
a fare dietrofront e tornare alla
propria base. Altro che entusiastici
proclami sulla pace a portata di
mano. A quattro anni dall'inizio
della guerra, Rwanda e Uganda,
insieme ai movimenti locali loro
alleati, non sono intenzionati a
fare un passo indietro. E il
documento firmato da Kabila e Kagame
ha tutta l'aria di essere un
tentativo di compiacere quegli
ambienti diplomatici che
garantiscono lauti finanziamenti e
sono ben disposti a confondere un
protocollo d'intesa con un accordo
di pace.
http://www.misna.org/ |
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