La Macedonia, uno dei pochi Stati
dell'ex Repubblica Federale
Yugoslava non coinvolta dal
conflitto seguito alla disgregazione
di quest'ultima, è riuscita per
tutti gli anni '90 ad assicurare una
convivenza pacifica tra le due
principali etnie che la abitano: la
maggioranza slavo-macedone che
detiene il potere politico-economico
e la consistente minoranza albanese
concentrata nel nord del Paese, ai
confini con il Kosovo e con
l'Albania, zona di enormi traffici
illegali di droga e armi gestiti
dalle mafie albanesi legate alla
guerriglia kosovara dell'Esercito di
Liberazione del Kosovo (UCK).
E prorpio dopo la guerra in Kosovo,
a cui è seguito un enorme
rafforzamento di questi poteri
politico-mafiosi, i miliziani
albanesi dell'UCK, ormai
"disoccupati" nella loro
neonata Patria, hanno cominciato ad
operare fuori dai confini kosovari,
con il dichiarato progetto
irredentista di annettere al Kosovo
quesi territori abitati da albanesi
ma appartenenti ad altre entità
statuali, per la precisione la valle
di Presevo nella Serbia meridionale,
dove si è costituito l'Esercito di
Liberazione di Presevo, Medvedja e
Bujanovac (UCPMB) e le provincie
nordoccidentali della Macedonia,
dove nel febbraio 2001 ha fatto la
sua comparsa militare l'Esecito di
Liberazione Nazionale (il cui
acronimo è sempre UCK).
Dietro a questo progetto
etnico-politico si cela la volontà
di estendere il controllo
territoriale dei potentati mafiosi
albanesi.
Alcuni osservatori hanno visto
dietro questa reviviscenza dei
movimenti armati albanesi anche la
spinta di qualche potere straniero
che vuole strumentalizzare i
guerriglieri albanesi e la loro
capacità di destabilizzazione
dell'intera regione balcanica al
fine di giustificare la presenza
permanente di contingenti militari
occidentali nell'area.