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BIRMANIA: Scheda
conflitto
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11 Giugno 2002
Birmania: il sogno della libertà
La Birmania, ex colonia britannica,
ottenne l'indipendenza il 4 gennaio
1948, costituendosi come Unione
Federale Birmana e il 18 giugno 1989
prese il nome di Myanmar. Il
generale Ne Win, il 2 marzo 1962 con
un colpo di stato prese il potere,
instaurando una dittatura militare.
Nel 1988, dopo aver duramente
represso le manifestazioni contro il
governo, lasciando sul terreno più
di tremila morti, una nuova giunta
militare assunse il potere. Il
Consiglio per il Ripristino
dell'Ordine e della Legge dello
Stato (SLORC) diede inizio a una
durissima repressione, attuata per
mezzo di torture, esecuzioni
sommarie e arresti di massa contro
gli attivisti politici. Due anni
dopo indisse libere elezioni per la
formazione di un'Assemblea
costituente. La schiacciante
vittoria della Lega Nazionale per la
Democrazia (Lnd), che riuscì a
ottenere ben 392 seggi su 485,
indusse però i militari a
invalidare le elezioni e a mettere
fuori legge i partiti e i movimenti
d'opposizione, con il conseguente
arresto di tutti i dirigenti della
Lnd. La leader della Lega Aung San
Suu Kyi, l'anno successivo fu
anch'essa arrestata e quindi
costretta per sei anni agli arresti
domiciliari. Per la sua strenua
lotta contro il regime militare di
Yangon, nel 1991 ottenne il premio
Nobel per la pace.
Il paese è allo sbando, sconvolto
da 50 anni di conflitti interni, sia
etnici che politici. I primi
riguardano i movimenti
indipendentisti delle etnie
minoritarie Karen e Shan e Wa,
contro cui il governo combatte
commettendo genocidi e deportazioni
di massa. La posta in palio qui è
il controllo dei territori al
confine con la Thailandia, ricchi di
piantagioni d'oppio, e il controllo
del narcotraffico. Solo dal 1996,
quando la lotta si è intensificata,
si contano migliaia di morti e
centinaia di migliaia di rifugiati
in Thailandia e Bangladesh.
Drammatico il problema delle mine
anti-uomo disseminate nelle zone di
conflitto. Frequenti anche gli
scontri al confine tra gli eserciti
di Birmania e Thailandia, che accusa
il governo di Yangon di essere
pienamente responsabile del
massiccio traffico di droga verso il
proprio territorio.
Il 6 maggio scorso la
cinquantaseienne Aung San Suu Kyi,
dopo 20 mesi di arresti domiciliari
è stata rilasciata, ma non sarà
facile ottenere un sostanziale
cambiamento politico in tempi brevi.
Le confuse modalità della sua
liberazione indicano che nessun
accordo, per quanto riguarda la sua
libertà di movimento e le attività
politiche della sua Lnd, è stato
firmato col governo militare del suo
paese e questo potrebbe costituire
un problema in un immediato futuro.
Inoltre, l'attuale atteggiamento del
regime non inspira fiducia sul suo
impegno ad avviare una fase di
transizione, che conduca il paese
verso la democrazia. Molti birmani
in esilio sono convinti che il
governo non abbia intenzione di
dividere il potere e che il rilascio
di Suu Kyi sia legato al ripristino
degli aiuti stranieri, necessari per
risollevare l'economia del paese,
danneggiata dalle pesanti sanzioni
inflitte da parte della comunità
internazionale a causa delle
continue violazioni dei diritti
umani e della partecipazione al
traffico mondiale di eroina (di cui
la Birmania è uno dei primi
produttori mondiali).
Non poche e gravi insidie si
annunciano per l'opposizione,
logorata e sconfitta da arresti e
minacce, sfociate in una diaspora
degli esponenti più impegnati
divisi tra dubbi e contrasti. Suu
Kyi, dopo che la giunta militare
birmana le ha permesso di riprendere
le sue attività politiche, nella
sua prima apparizione in pubblico,
ha indicato, tra le priorità, la
liberazione di 800 prigionieri
politici dell'Lnd, tra cui 17
parlamentari eletti nel 1990, anno
in cui vinse le elezioni in
Birmania, ma i militari non le hanno
mai concesso di governare. Suu Kyi,
anche quando fu liberata nel 1995,
dopo i sei anni di arresti
domiciliari nutriva grandi speranze
di portare la Birmania verso un
processo di democratizzazione;
presto però, andarono tutte deluse:
le fu impedito di lasciare la
capitale e il suo partito fu
dichiarato fuorilegge. Stavolta
potrebbe essere diverso, adesso, a
differenza del 1995, c'è un
processo politico in atto e la
leader del Lnd è nel bel mezzo di
questo processo e fino a quando ci
resterà avrà bisogno dei militari,
come loro hanno bisogno di lei. Gli
osservatori ritengono che Suu Kyi ha
accettato di negoziare con i
generali perché non aveva altro
mezzo per contrastare il loro
potere, dal momento che tengono
sotto controllo la popolazione da 14
anni, con uno dei più grossi
eserciti dell'Asia e un'efficiente
polizia segreta.
I birmani hanno una grande fiducia
in Suu Kyi, ma consapevoli che il
processo di riconciliazione non sarà
breve, temono che anche stavolta si
tratti di una falsa apertura da
parte di uno dei regimi più
repressivi dell'Asia.
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