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BURUNDI: Scheda
conflitto
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Il primo conflitto mondiale viene
portato nella regione dei Grandi
Laghi dalla belligerante Germania,
che aveva il possesso delle colonie
nel Ruanda-Urundi (gli attuali
Ruanda e Burundi).
I Tedeschi attaccano nel 1914 le
città del Congo Belga sul Lago
Tanganica scatenando la reazione del
Belgio, alleato della Gran Bretagna
che era attestata in Uganda. Tra il
1915 ed il 1916, sia il Ruanda che
il futuro Burundi cadono nelle mani
degli Anglo-Belgi, in netta
superiorità numerica. Nel 1918 la
Società delle Nazioni, con il
trattato di Versailles, assegnerà
il protettorato del Ruanda-Urundi al
Belgio e quello del Lago Tanganica
alla Gran Bretagna. I Batutsi e
Bahutu, così si chiamano la
maggioranza degli abitanti della
regione, cambiano padrone.
Fin dal 1925 grazie ad una legge del
Parlamento belga, il Ruanda-Urundi
gode di un trattamento particolare:
viene annesso amministrativamente al
Congo belga e viene smantellata
l'organizzazione amministrativa
precedente istituita dai tedeschi,
che si affidavano ad una sorta di
autogestione del potere da parte dei
capi locali (in maggioranza Batutsi),
da loro controllata.
L'occupazione belga durerà fino
all'inizio degli anni '60, dopo che
nel 1946 al termine della seconda
guerra mondiale, la neonata
Organizzazione delle Nazioni Unite
conferma l'assegnazione del
protettorato sulla regione al
Belgio, assegnando però alla
potenza coloniale il compito di
"favorire il progresso
economico, politico e sociale delle
popolazioni, lo sviluppo della loro
istruzione ed inoltre favorire il
progresso verso la loro capacità di
amministrarsi da soli".
In seguito alle pressioni dell'ONU,
che organizza visite di controllo
per accertare che la risoluzione del
1946 venga rispettata, il potere
coloniale nel 1952 emana un serie di
ordinanze che ristrutturano
l'organizzazione amministrativa,
riassegnando la gran parte della
gestione territoriale agli
autoctoni. Il Governatore belga si
limitava a nominare un
vice-Governatore che presiedeva il
Consiglio Superiore del Paese
formato dalla locale aristocrazia,
formata in maggioranza sempre
Batutsi (o Tutsi).
L'occupazione coloniale porta nella
regione la religione cattolica,
soppiantando radicalmente la
religione tradizionale, basata sul
culto animista di Kiranga. Chi non
si convertiva godeva di meno diritti
sociali. Così, tra il 1919 ed il
1937, una grande campagna
missionaria di evangelizzazione
converte la quasi totalità degli
abitanti della regione dei Grandi
Laghi. In particolare la Chiesa
privilegia l'evangelizzazione dei
Tutsi, in accordo con il potere
coloniale, allo scopo di formare una
classe dirigente locale affidabile e
fedele; le Missioni hanno anche il
compito di fornire istruzione ed
educazione politica. Gli Hutu sono
quasi completamente esclusi
dall'accesso all'istruzione ed
oggetto di discriminazioni.
Una statistica stilata nel 1963
indicava come il 60% della
popolazione della regione fosse di
religione cattolica, mentre i
musulmani erano praticamente
assenti.
Decolonializzazione e nascita
dello stato del Burundi
Negli anni '60 esplodono in Africa
le lotte dei movimenti
indipendentisti che porteranno alla
cacciata degli occupanti europei ed
alla nascita delle Nazioni africane.
In quello che diventerà il Burundi
già dalla fine degli anni '50 la
popolazione chiedeva di poter
costituire partiti politici e nel
1960 se ne contavano 23. Reclamavano
tutti l'indipendenza del Paese,
anche se secondo modalità diverse
che andavano dalla più radicale
richiesta di immediata partenza dei
Belgi a quella di una fase di
transizione assistita che avrebbe,
comunque, dovuto portare alla
costituzione di uno Stato sovrano.
I movimenti per l'indipendenza
avevano come organizzatori
soprattutto i Tutsi che detenevano
molti ruoli chiave del potere
amministrativo. A questo punto la
Chiesa cattolica ed il Protettorato
belga si rendono conto dell'errore
commesso: di aver, cioè,
privilegiato e formato una parte
della società indigena che ora gli
sta rivoltando contro e cercano di
porre rimedio costituendo una lobby
Hutu in funzione anti-Tutsi e
quindi, si spera,
anti-indipendentista; gli Hutu, da
sempre tenuti lontano dalle leve del
potere, hanno sviluppato astio e
rancore verso i loro privilegiati
conterranei.
Il clima di odio nella regione porta
nel 1959, in Ruanda, al primo
massacro di Tutsi da parte di una
fazione Hutu che aveva tentato di
mettere in atto una rivoluzione,
sostenuti ed organizzati anche dalla
Chiesa cattolica.
A fine 1959 il Governo belga cede
alle pressioni internazionali ed
annuncia un piano per dare
l'autonomia alla regione; crea due
sotto-governatorati, uno per il
Ruanda e l'altro per l'Urundi,
separandone l'amministrazione da
quella del Congo. Le due
Il Burundi diventa, così, una
monarchia costituzionale con un re
Tutsi, ispirata a quella belga; il
Belgio dovrà rispettare una
risoluzione ONU che lo invita a
lasciare completamente il Paese
entro il 1 agosto del 1962. Ma nel
1961 avviene un colpo di stato,
sostenuto dal Belgio, che instaura
nel Paese un governo repubblicano
Hutu. Ma poco dopo il primo ministro
Hutu viene assassinato ed il suo
posto è preso da un Tutsi, che si
ritrova però a capo di un Governo
molto debole.
Gli odi tra le due componenti, Tutsi
ed Hutu, ricevono nuovo combustibile
quando nel 1965 viene di nuovo
assassinato il primo ministro Hutu,
Pierre Ngendandumwe ad opera di un
espremista Tutsi; una enorme
provocazione che rinfocola la
rabbia.
Poco dopo un gruppo di Hutu tenta un
colpo di stato ed in tutto il Paese
avvengono delle rappresaglie contro
i Tutsi, per il solo fatto che
appartengono a questo gruppo
sociale. Ma il colpo di stato
fallisce, per la grande inferiorità
di risorse militari ed economiche di
cui gli Hutu dispongono e viene
represso brutalmente dai Tutsi che
riprendono il potere compiendo a
loro volta massacri e dure
repressioni: i morti sono migliaia.
Anche i grandi eccidi avvenuti nel
1972, nel 1988 e nel 1991-1993 non
saranno altro che riedizioni della
stessa storia;
solo nel 1972 gli scontri etnici
lasciano sul terreno circa 150.000
Hutu morti (i Tutsi compongono il
15% della popolazione del Burundi,
il restante 85% sono Hutu).
Gli anni '90 e l'attuale
conflitto
"Queste storie tra Hutu e Tutsi
sono folcloristiche. La simbiosi tra
le comunità è più forte delle
dissonanze e nessuno può cancellare
il loro retaggio comune".
Questa è la dichiarazione del
Presidente Tutsi del Burundi, Bagaza,
in una intervista del 1987
all'agenzia ANSA. Ma i fatti gli
hanno dato tragicamente torto: dopo
15 anni di instabilità politica,
con l'alternarsi di colpi di stato e
Governi di breve durata, nello
stesso anno il suo Governo viene
rovesciato dall'ennesimo colpo di
stato militare, sempre Tutsi, ed
alla guida del Paese sale il
maggiore Pierre Buyoya.
E, seguendo un triste copione, nel
1988 l'esercito Tutsti impone una
violenta repressione massacrando
migliaia di Hutu, almeno 50.000,
sempre con la scusa di voler
reprimere preventivamente eventuali
ribellioni.
Ma, grazie a Buyoya, la situazione
sembra prendere una svolta nuova e
diversa: agli inizi degli anni '90,
resosi conto che la guerra etnica
non sarebbe potuta andare avanti per
sempre, il maggiore golpista tenta
di avviare un processo di
democratizzazione del Paese che
culmina con la stesura di una Carta
costituzionale, la costituzione di
più partiti e lo svolgimento di
libere elezioni nell'aprile del
1993.
Le elezioni, caso incredibile per un
Paese africano, si svolgono senza
brogli e determinano la vittoria del
FRODEBU (Fronte Democratico del
Burundi, il principale partito Hutu),
per cui gli Hutu guidati da Melchior
Ndadaye divenuto Presidente si
ritrovano al potere. Ed anche la
composizione del Governo rispecchia
il clima di distensione che sembra
regnare in Burundi: i vincitori
vogliono come Capo dell'esecutivo
una donna Tutsi, l'economista Sylvie
Kinigi.
Il sogno di democrazia dura,
purtroppo, pochi mesi: nell'autunno
del 1993 i militari dell'esercito
rimasto a maggioranza Tutsi compiono
un colpo di stato ed il Presidente
Ndadaye viene ucciso. Anche se il
colpo di stato, di fatto, non cambia
la composizione del Governo (Sylvie
Kinigi resta in carica) la reazione
degli Hutu è tremenda: centinaia di
Tutsi vengono massacrati nelle
campagne burundesi per rappresaglia.
E la reazione dell'esercito è
ancora peggiore: solo nell'ultimo
decennio si calcola che la violenza
intra-etnica abbia provocato 300.000
di morti. Gli sfollati nei Paesi
vicini, soprattutto la Tanzania,
sono centinaia di migliaia.
Il Burundi nel 1993 aveva richiesto
l'intervento di una forza di
interposizione di pace dell'ONU, ma
questo viene rifiutato dall'allora
segretario Boutros Ghali.
Ad aggravare la situazione
interviene un altro fatto: nell'ennesino
tentativo di placare gli odi nel
gennaio 1994 era stato eletto
Presidente Cyprien Ntaryamira, un
altro Hutu, che però viene ucciso
tre mesi dopo sull'aereo
presidenziale ruandese insieme al
suo omologo Juvenal Habyarimana,
Presidente del Ruanda ed Hutu
anch'egli. I due stavano per
atterrare all'aeroporto di Kigali,
capitale del Ruanda.
L'attentato, condotto sembra da una
fazione di Hutu ruandesi che poi
hanno tentato di gettare la colpa
sui Tutsi del Fronte Patriottico
ruandese, accresce l'instabilità
nell'intera regione, aggravando lo
scontro in Burundi e provocando quel
gigantesco massacro di Tutsi ed Hutu
moderati, compiuto dagli Hutu, che
viene perpetrato in Ruanda: quasi un
milione di morti.
A fine 1994 viene eletto Presidente
un altro Hutu, Ntibantunganya, ma la
situazione nel Paese rimane
altamente instabile a causa delle
centinaia di migliaia di profughi
provenienti dal Ruanda che
alimentano ulteriormente
disperazione, odi e contrasti tra le
etnie che si fronteggiano.
la guerra civile continua, quindi,
fino al 1996 quando, con un colpo di
stato, sale al potere nuovamente
Pierre Buyoya che nell'agosto '96
costituisce un Governo di unità
nazionale nel tentativo di porre
fine alla guerra civile, come al
solito invano.
Un primo spiraglio di pace si apre
nell'agosto del 2000 con gli accordi
di Arusha (città della Tanzania
sede, tra l'altro, di un Tribunale
penale internazionale) quando viene
siglato un accordo di cessate il
fuoco tra Governo e forze ribelli
grazie alla prestigiosa mediazione
del Presidente del Sudafrica Nelson
Mandela.
Due forze ribelli Hutu si rifiutano
di firmare, però: sono le CNDD-FDD
(Consiglio Nazionale per la Difesa
della Democrazia - Forze per la
Difesa della Democrazia) di Pierre
Nkurunziza e le FNL (Forze di
liberazione nazionale) di Agathon
Rwasa, che restano ancora i
principali antagonisti del Governo
di coalizione nazionale.
Ad Arusha si decide, oltre al
cessate il fuoco, anche che il Paese
sarebbe stato governato per i primi
diciotto mesi dal Tutsi Pierre
Buyoya a capo di un Governo di
transizione misto e come vice
Presidente Domitien Ndayizeye, Hutu
appartenente al partito moderato
FRODEBU. Alla fine dei 18 mesi sarà
previsto un avvicendamento al potere
con la nomina a Presidente proprio
di Ndayizeye.
La volontà di deporre le armi viene
ribadita a dicembre 2002 con
un'altro accordo al quale questa
volta partecipano le CNDD-FDD,
sempre ad Arusha, ma anche questa
volta gli odi hanno la meglio sulla
volontà di pace: continuano le
razzie e gli scontri.
Gli sfollati per quasi dieci anni di
combattimenti sono quasi un milione:
la Tanzania ne ospita circa 350.000,
rifugiati nei campi dell'UNHCR, ma
si stima che ve ne siano almeno
altri 300.000 dispersi per il Paese.
Almeno 280.000 vagano, invece, per
il Burundi alla ricerca di cibo ed
un riparo.
A Buyoya succede, come previsto, la
scorsa primavera l'attuale
Presidente Ndayizeye, anch'egli alla
guida di un Governo di unità
nazionale che dovrebbe traghettare
il Paese verso la concordia etnica e
le libere elezioni.
Al processo di pace messo in atto
con le CNDD-FDD non hanno mai
partecipato le FNL. Questi ribelli
hanno sempre rifiutato ogni ipotesi
di dialogo con il Governo, accusato
di essere succube delle forze
armate, guidate per ora dai Tutsi,
secondo loro i veri detentori del
potere in Burundi. Hanno chiesto,
quindi, di poter condurre delle
trattative direttamente con i
generali Tutsi, cosa che è sempre
stata loro rifiutata.
Il 20 luglio 2003, dopo una
sanguinosa settimana di assalto alla
capitale Bujumbura condotta dalle
FNL che ha provocato più di
trecento morti, CNDD-FDD e Governo
siglano l'ennesimo impegno per una
tregua. Questo accordo ha scatenato
le ire degli uomini di Rwasa che
accusano le CNDD_FDD di essersi
alleate con il Governo per
eliminarli. A settembre sono
scoppiati violenti scontri tra le
due forze ribelli nella provincia di
Bujumbura ed in quella
settentrionale di Bubanza, scontri
che continuano sporadicamente anche
ora.
Le trattative sono andate avanti:
dopo altri incontri dall'esito
negativo, l'8 ottobre 2003 è stato
firmato un accordo definito
"storico" tra Governo e
CNDD-FDD, grazie alla la mediazione
del Presidente del Sudafrica Thabo
Mbeki e del Presidente del
Parlamento sudafricano Jacob Zuma,
mediatore-capo per il processo di
pace in Burundi.
Nell'accordo è stato deciso il
futuro assetto che dovranno avere
Governo e Parlamento, ma soprattutto
la ripartizione del controllo sulle
forze armate. Le FDD occuperanno il
40% dei posti-chiave dell'esercito
ed il 35% delle forze di polizia.
Sul piano politico le FDD hanno
ottenuto quattro Ministeri e la
vicepresidenza, nonchè 15 seggi in
Parlamento.
Per ora sembra, quindi, che una
parte degli Hutu abbia raggiunto la
tanto agognata pacificazione dopo
dieci anni di guerra e trecentomila
morti, sperando, appunto, che non
sia solo l'ennesima firma su di un
pezzo di carta. Rimane da affrontare
il difficilissimo compito di
coinvolgere anche le FNL nel
processo di pace e cominciare la
ricostruzione.
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