indice
homepage
scrivici:
gicomma@libero.it
DOCUMENTI E INTERVENTI
Attacco agli USA,
gli Usa all'attacco:
Risoluzioni dell'O.N.U.
N. Chomsky
Lettera da New York
G. Kolko
S. Sontag
Appello delle donne afghane
Torino Social Forum
Appello al
Congresso USA
George Bush
Lettera da Firenze
D. Fo, F. Rame, J. Fo
Rigoberta Menchù
Shimon Peres
Gen. Pervez Musharraf
O. Bin Laden
Guerre&Pace: Noi No
U. Galimberti
N. Klein
G. Commare
Appello per un Tribunale
Internazionale in Guatemala
International Court
dealing with
genocide in Guatemala
Tribunal international
pour
les génocides
en Guatemala
Tribunal penal internacional
en Guatemala
La distrazione:
La distrazione/
Ecloghe
del Corsale
Immagini
(per un processo d'identificazione)
G. Commare,
La poesia della contraddizione
Cevengur, nella Valle del Belice
In corpore viri
di Gianfranco Ciabatti
NOVITA': In memoria di
Sebastiano
Timpanaro
Mi ero dimenticato chi ero
IL CONVIVIO:
Su L'azione distratta:
Gianfranco Ciabatti
Antonio Basile
Roberto Carifi
Su La distrazione:
Ottavio Cecchi
Giuseppe Panella
Giorgio Luti
Roberto Carifi
Maria Dellaqua, Del nome,
dell'acqua e dell'amore
Arlette Lawyer
Artemisia Viscoli
Franco Manescalchi
Marianna Montaruli
Sergio Ciulli
Davide Sparti, Qualcosa dell'America
Margherita De Napoli, Come
tardano
a tarlare questi
sogni
(La poesia di Tommaso Di
Ciaula)
Riempire il tempo
Danilo Mandolini, Vivere
inventando
un sogno (La poesia
di G. Peralta)
In memoria di nonno Giuseppe
Marco Saya, Oltre
Carlo Molinari, Genova,
20 luglio
Antologica: Odon von Horvath
Henry Miller
Ernesto Che Guevara |
Il sostenibile peso della verità
di SUSAN SONTAG
--------------------------------------------------------------------------------
A UN'AMERICANA, e newyorkese, come me, triste e sgomenta, l'America
non è mai apparsa così lontana dal riconoscere la realtà
come quando si è trovata di fronte alla mostruosa dose di realtà
di martedì scorso. La sconnessione tra quel che è successo
e i possibili modi di comprenderlo, da un lato, e le sciocchezze ipocrite,
le falsità belle e buone che, dall'altro, vengono spacciate in America
da quasi tutti i politici e i commentatori televisivi è allarmante,
deprimente. Sembra che le voci autorizzate a seguire un evento di tale
portata si siano coalizzate in una campagna mirata a infantilizzare il
pubblico.
Dov'è chi riconosce che non si è trattato di un «vile»
attacco alla «civiltà», o alla «libertà»,
o all'»umanità», o al «mondo libero», ma
di un attacco all'autoproclamata superpotenza del mondo, sferrato in conseguenza
di specifiche azioni e alleanze americane? Quanti americani sanno che l'America
continua ancora a bombardare l'Iraq? E se la parola «vile»
va proprio usata, forse sarebbe più pertinente riferirla a chi uccide
dall'alto del cielo, al di fuori del raggio di possibili reazioni, piuttosto
che a chi è pronto a morire per uccidere gli altri. Quanto al coraggio
(una virtù moralmente neutra): qualunque cosa si possa dire di coloro
che hanno perpetrato la carneficina di martedì, non erano vili.
I leader americani sono decisi a convincerci che tutto è ok.
L'America non ha paura. Il nostro morale è intatto. «Loro»
saranno stanati e puniti (chiunque siano questi «loro»). Abbiamo
un presidente robot, pronto ad assicurarci che l'America resta ancora a
testa alta. E, a quanto pare, le varie e numerose personalità pubbliche
che si sono opposte con forza alle politiche estere adottate da questa
amministrazione si sentono libere soltanto di dirsi unite nel sostenere
il presidente Bush. Ci è stato detto che tutto è, o sarà,
ok, anche se si è trattato di un giorno la cui infamia resterà
viva e adesso l'America è in guerra. Non è vero che tutto
è ok. E non si è trattato di una Pearl Harbor. E' necessario
riflettere a fondo, e forse lo si sta facendo a Washington e altrove, sulla
colossale inefficienza del sistema di intelligence e controintelligence
americano, sulle opzioni possibili alla politica estera americana, soprattutto
in Medio Oriente, e su ciò che costituisce un efficace programma
di difesa militare. Ma chi ricopre cariche pubbliche, chi vi aspira, chi
le ha già ricoperte - con la spontanea complicità dei principali
mezzi di comunicazione - ha stabilito che non si può chiedere al
pubblico di sopportare troppo il peso della realtà. Le ovvietà
autocelebratorie e unanimemente applaudite dei congressi di partito sovietici
ci sembravano spregevoli. L'unanimità dell'untuosa retorica di cancellazione
della realtà che quasi tutti i politici e i commentatori americani
hanno profuso in questi ultimi giorni sembra, be', indegna di una democrazia
matura.
I leader e gli aspiranti leader americani ci hanno fatto capire che
considerano il proprio compito pubblico un compito di manipolazione: di
costruzione della fiducia e gestione del dolore. La politica, la politica
di una democrazia - che comporta il disaccordo, che promuove la sincerità
- è stata sostituita dalla psicoterapia. Certo, piangiamo tutti
insieme. Ma cerchiamo di non essere stupidi tutti insieme. Qualche brandello
di consapevolezza storica potrebbe aiutarci a capire cosa è appena
successo, e cosa può ancora succedere. «Il nostro paese è
forte», ci viene ripetuto continuamente. Io, per parte mia, non la
trovo un'affermazione del tutto consolatoria. Chi dubita del fatto che
l'America è forte? Ma l'America ha il dovere di non essere soltanto
questo.
(traduzione di Paolo Dilonardo)
Copyright Wylie Agency
(da la Repubblica, 17 settembre 2001)
indice homepage
|