indice
homepage
scrivici:
gicomma@libero.it
La distrazione:
La distrazione/
Ecloghe
del Corsale
Mi ero dimenticato chi ero
Cevengur, nella Valle del Belice
Ciabatti,
In corpore viri
G. Commare, La poesia della
contraddizione
In memoria di Sebastiano
Timpanaro
Il nome e la memoria (I romanzi
di G. Van Straten)
G. Commare, Brevi ... di film
Maria Dellaqua
Arlette Lawyer
Artemisia Viscoli
Franco Manescalchi
Marianna Montaruli
Tribunale internazionale sul
genocidio in Guatemala
International Court dealing with
genocide in Guatemala
DOCUMENTI E INTERVENTI
Attacco agli USA,
gli Usa all'attacco:
Risoluzioni dell'O.N.U.
N. Chomsky
Lettera da New York
G. Kolko
S. Sontag
Appello delle donne afghane
Torino Social Forum
Appello al
Congresso USA
George Bush
Lettera da Firenze
D. Fo, F. Rame, J. Fo
Rigoberta Menchù
Shimon Peres
Gen. Pervez Musharraf
O. Bin Laden
Guerre&Pace: Noi No
U. Galimberti |
Giovanni Commare
LA DISTRAZIONE
(1998-1999)
IMMAGINI
(per un processo d'identificazione)
1. (del tu)
Infante biondo liscio tutto tondo
involto in uno scialle d'Arlecchino
in braccio a giovane donna, Anita;
lei morbida di belle forme bruna
in un gruppo di donne schierate
lungo la via che dal poggio scende
come una linea di fanti a valle
verso l'orizzonte tra i cipressi
del cimitero e il mare.
2. (del tu)
Sulla spiaggia ch'è una vampa di sole
lungo la linea di gelo del mare
il naso le spalle le braccia bruciate
troppo chiare le gambe gelate
in braccio alla donna bagnata
salata sudata ardita, Nastasia;
mentre l'atomica scatena l'ordalia
appoggiato al suo seno nudo e pieno
quasi in croce pietà chiedendo
e lei sorridente con la dolce voce.
3. (del tu)
E con tuo padre (quasi dimenticavi),
nella terra dei corsari e dei sudori
a tracciare sulle zolle rinnovate
(era gennaio, sempre di domenica)
le linee dei nuovi filari
e il sesto dell'ulivo e quello della vite
a ordinare uno spazio certo nel futuro;
le nubi forte correnti sulle schiene
tuo padre e tu nell'arido grigio
quando con le gru volano i pensieri
e il vento si fa leggero
leggero il tempo.
4. (del tu)
Non il maggiore ma il più incredibile,
ma già di bianco striati i capelli
sotto il banco si misura il sesso
nell'ora di storia romana
col compagno vicino e ne corona
di glicine il glande a gloria imperiale;
intorno al grande ulivo dei corsari
si celebra il nuovo saturnale
non sguaiate le aste sguainate
tra le vitalbe che si fanno letto
le facce rosse le voci in falsetto
disperse nel vento che freme
la donna a invocare nell'albero
la cui scorza irrorano di seme.
5. (dell’io)
Non è l’angelo azzurro tra le rocce
del romito che sospende la spada
sul collo di Abele
mentre difendi la porta dei pini
nella più gloriosa partita
stremato sulla terra rossa
ma la festa è memorabile
per la gioia dei compagni fedeli intorno
a esaltare la maglia rossogrigia
a esultare e cantare fin sotto
lo spicchio della luna nascente
nell’ebbrezza del calicanto
che ci accompagna alla primavera;
ed ecco la notte profumata e lieta
dell’affetto fedele che nasce dalla lotta
quando non ferito dal rancore
danzavi intorno ai fuochi delle sarde
in attesa del nuovo mattino
seguendo le tracce della vita eventuale
dove lei non t’aspettava.
6. (del tu)
La sera incerta e stanca nella vigna
dove imbroccasti la meretrice bianca,
vergine virtuosa dopo due settimane
di vacanza al mare con la figlia,
dove entrasti in un quadretto famigliare
tutto femminile, e lei lunga e leggera
persino delicata la rosa senza peli,
quasi dimentica nella trasparenza
di vita, ti fu confidente e finta innamorata;
così su quel broccato rosso di bordello
ci desti dentro con la foga arcana
di chi non vuol morire per dire,
a te perduto senza più pensieri
a lei crocifissa nella zana,
che quello che bruciava era il tuo ieri
il ragazzo che eri.
7. (del tu)
Dicono Anchise ma era tuo padre,
che moriva nella verde automobile
lenta sotto il sole immobile
gli occhi alla terribile luce del giugno
che guardavano e più non vedevano
che la mano da te allontanava;
dicono Enea e tu eri il figlio
disamato dagli uomini e lo tenevi
in braccio ed eri tu padre
che stringeva nella morte il non più figlio.
8. (dell'io)
Da dove vieni? e dove vai? ancòra torni
sacrifici chiedendo sanguinari?
perché ti ostini a provarmi ancòra?
da dove ti viene questa voglia di sangue
che mai si placa? mi svegli
toccandomi la mente, con le mani
fredde, risuonando degli asini i ragli;
e Abramo raduna i servi del regno
in un nuovo silenzio; non cedo
al tuo ricatto; ti dico no; nel vano
perdermi e dissiparmi vivo,
la giovane vita coltivo, a tuo scorno,
senza ritorno e nel viaggio m'incanto;
non è per vanto, ma ai tuoi sussurri piango
e mi godo la vita, nei suoi occhi azzurri.
9. (dell'io)
Dalla parte di Ettore,
la parte che ti sei scelto
Da recitare al mondo,
ancora inconsapevole del torto
Ma fatto esperto dalla storia
dei padri che sotto Troia
O in Africa combatterono
per scelta non loro
Ligi sempre al dovere,
seppur restii a morire
Per l'onore dei re,
però fedeli alle case
Alle loro povere cose
alle povere vite
Annichilite fra la dura zappa
e il fucile e tutta
La retorica dei vati;
Dai campi di battaglia
Dei corvi e dei corsari
hanno imparato, tutti, quanto vale
Una giacca senza le stellette,
dunque nella storia stanno ad agio,
Senza recriminare ai torti
degli dei e degli eroi
Dalla parte di Ettore, sempre,
perché solo i deboli
Hanno falsi alibi,
sono tutti veri
Gli alibi dei forti.
10. (del tu)
Trasuda umori il tuo vaso, Elena,
come un sogno che agisce dentro le viscere
dall'Oriente spirando essenze primordiali
fra le labbra ruminanti e i riccioli
come un sonno agitato dallo scirocco;
e il fiore del cardo si anima
nel tuo vaso stillante, Elena,
che ti libri in un cielo di vampe
con i rotoli di Rabbì Chananya;
e le lettere si fanno memoria
quando all'alba ti svegli e scrivi
nel palmo della mano col tuo sangue,
con le spine ardenti del cardo,
come la parola si fa carne e vive
come Cristo s'incarna e langue,
toccandoti là dove il giovane corpo
canta.
11. (dell'io)
Chiara primavera del mio primo canto
nel deserto della nuova gioventù, amore,
l'altra parte di me, la mia debolezza,
nella tua conca si è riconosciuta
come acqua piovana nella schiuma di mare;
se amare è godere, non ti ha ferito
la spina del cardo nel palmo della mano
dove ho bagnato la bocca, stanca e arida,
tu la mia forza, la mia insicurezza ardita,
tu vela alla mia sete di vento;
con te ho saputo che la vera metafisica
è solo l'evidenza dell'evento,
il resto è gorgo di discorsi lisi
trastullo degli dei del disamore;
ora che non ci sei si fa troppo vera
la bellezza di quella troppo bella verità,
così, diviso da me, mi cerco e sento
nostalgia, del me che hai portato via.
12. (dell'io)
Nella memoria no, ancora non fuggire,
grassona come sei lontano non andresti
meglio ti fermi e il ricordo mi presti
cosi dirò il mio ciao al te che eri;
bada che gli occhi ci puoi guadagnare
il corpo della tua gioventù all'imbrunire
quando dalla finestra ti vedevo passare
e ti correvo dietro in bicicletta
senza dirti aspetta;
non ti voltavi tu
che le gambe solo ti lasciavi guardare
lievi come quelle delle gru
sotto il vestito grigio di sartina;
poi gli occhi neri mi offristi sul portone
la bocca che diceva qualche nota
di una musica che ricorda il mare
ora ch'è notte e te ne vuoi andare;
aspetta, ti prego, che di nuovo ci raggiunga
l'alba.
13. (dell'io)
Per te le più alte parole
quelle tenute in serbo una vita
nei miasmi sotto costa sono muffite;
Per te ch'eri padre ideale
il bello naturale cui tornare
esaurite le voglie d'esperire;
Per te perire sarebbe stata gioia,
la meta agognata quando il gelo
del mondo penetrava le ossa;
Per te, per velleitaria riscossa,
per lontananze mi misi,
per piccoli mari, per dolci arenili;
Per te ritorno non c'è,
pure tenendo il lasco sotto costa
pure avventurandosi da re;
Per te ch'eri madre ideale
sempre amai la terra che ti teme
e nell'aria confuso persi me;
Per te sono partito, per godere
il distacco e poi tornare, ad affidarti
lo scacco della mente e il corpo.
14. (del tu)
La sorella che ti precedette morendo,
prima che tu nascessi, e già il conto
non torna quando la cerchi nel ricordo
della madre che la disse bella, e tu
ne senti la mancanza, ma pure un debito
di riconoscenza, perché ti apri il varco
verso l'assenza, e tu ci devi credere
ch'è vero ciò che si può narrare,
perché ciò ch'è narrato è
vero.
15. (dell'io)
Del silenzio signore che m'inducono a temere,
a te nulla ho da dire se non il silenzio
del vivere cui la parola dà nome,
la gioia delle spiagge solitarie e dei mari
grigi su cui come lucciole s'accendevano
sciami d'ioni d'idrogeno e plutonio,
la pelle bruciata come scorza d'ulivo,
l'incendio del pensiero nel pensarti;
sono tornato a te ad affidarti,
senza parola, senza più pensiero,
quello che avanza dissolvendo il corpo,
perché so che inconsapevole ne farai
ciò che tu sai; e tutto il resto sia
solo un ricordo.
L'ALTRO E OLTRE
" visto in fotografia non è
poi cosi brutto,
ha una sua armonia (che contraddice
il tutto)
segue distinto un ordine suo per
anarchia
contro dell'insieme l'ordine cui
appartiene;
chi sa che partenogenesi, soddisfacente
istinti
cromosomici balbettii d'indistinti
iddii
che reclamano un posto, la loro posizione
nella storia dell'evoluzione della
specie sapiens,
salto di qualità verso un'oscura
umanità;
né di qua né di là io,
assediato da due ordini
ai richiami del senso sordi, l'uno
e l'altro
corpo non pensato, innamorato
non eletto
ma dato nell'assenza di senso del
conflitto
che per convenzione è detto
vita e morte;
chi è io chi è altro
tiriamolo a sorte,
sai che in fondo io è un gran
conservatore
si riconosce in ciò che esiste,
nella continuità,
altro è l'impostore, la cosa
nuova che cova
ciò che nega l'impotente pretesa
di unità;
ma non è niente, è uno
che gioca a rimpiattino
con quella bieca voglia di dissoluzione,
un capriccioso che di rado ride ...
un sapientino
che chiama in lizza te, vecchio ragazzo,
in questa generale genetica precarietà;
e tu non declinare le generalità,
chiedi al corpo tuo ordinario un
bel respiro
di parole azzurrine d'orizzonte marino,
chiedi a io di tenersi lucida la
mente
mentre cala il sonno del ghiro sulla
brulla
frontiera del citoplasma, e la risacca
si placa;
lo sguardo assassino, vedi, è
piuttosto un bambino
forse frutto d'amore di platano o
brughiera,
ancòra una preghiera, a te
di essere chiedi
di te stesso abitatore insino
al confine
del limpido nulla, e sempre curioso
del mattino. "
(in La clessidra, anno VII, n.1, Edizioni
Joker, Novi Ligure (AL), aprile 2001; in Fogli d'album
de LA FORTEZZA, n.1, Edizioni Polistampa, Firenze, ottobre
2001)
indice homepage
|