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    Giovanni Commare
    LA DISTRAZIONE
    (1998-1999)

                                                    IMMAGINI
                  (per un processo d'identificazione)




   1. (del tu)
 

   Infante biondo liscio tutto tondo
   involto in uno scialle d'Arlecchino
   in braccio a giovane donna, Anita;
   lei morbida di belle forme bruna
   in un gruppo di donne schierate
   lungo la via che dal poggio scende
   come una linea di fanti a valle
   verso l'orizzonte tra i cipressi 
   del cimitero e il mare.
 
 

   2. (del tu)
 

   Sulla spiaggia ch'è una vampa di sole
   lungo la linea di gelo del mare
   il naso le spalle le braccia bruciate
   troppo chiare le gambe gelate
   in braccio alla donna bagnata
   salata sudata ardita, Nastasia;
   mentre l'atomica scatena l'ordalia
   appoggiato al suo seno nudo e pieno
   quasi in croce pietà chiedendo
   e lei sorridente con la dolce voce.
 
 

   3. (del tu)
 

   E con tuo padre (quasi dimenticavi),
   nella terra dei corsari e dei sudori
   a tracciare sulle zolle rinnovate
   (era gennaio, sempre di domenica)
   le linee dei nuovi filari
   e il sesto dell'ulivo e quello della vite
   a ordinare  uno spazio certo nel futuro;
   le nubi forte correnti sulle schiene
   tuo padre e tu nell'arido grigio 
   quando con le gru volano i pensieri
   e il vento si fa leggero 
   leggero il tempo.
 
 

   4. (del tu)
 

   Non il maggiore ma il più incredibile,
   ma già di bianco striati i capelli
   sotto il banco si misura il sesso
   nell'ora di storia romana
   col compagno vicino e ne corona
   di glicine il glande a gloria imperiale;
   intorno al grande ulivo dei corsari
   si celebra il nuovo saturnale
   non sguaiate le aste sguainate
   tra le vitalbe che si fanno letto
   le facce rosse le voci in falsetto
   disperse nel vento che freme
   la donna a invocare nell'albero
   la cui scorza irrorano di seme.
 
 

5. (dell’io)
 

Non è l’angelo azzurro tra le rocce
del romito che sospende la spada
sul collo di Abele
mentre difendi la porta dei pini
nella più gloriosa partita
stremato sulla terra rossa
ma la festa è memorabile
per la gioia dei compagni fedeli intorno
a esaltare la maglia rossogrigia
a esultare e cantare fin sotto
lo spicchio della luna nascente
nell’ebbrezza del calicanto
che ci accompagna alla primavera;
ed ecco la notte profumata e lieta
dell’affetto fedele che nasce dalla lotta
quando non ferito dal rancore
danzavi intorno ai fuochi delle sarde
in attesa del nuovo mattino
seguendo le tracce della vita eventuale
dove lei non t’aspettava.
 
 

   6. (del tu)
 

   La sera incerta e stanca nella vigna
   dove imbroccasti la meretrice bianca,
   vergine virtuosa dopo due settimane
   di vacanza al mare con la figlia,
   dove entrasti in un quadretto famigliare
   tutto femminile, e lei lunga e leggera
   persino delicata la rosa senza peli,
   quasi dimentica nella trasparenza
   di vita, ti fu confidente e finta innamorata;
   così su quel broccato rosso di bordello
   ci desti dentro con la foga arcana
   di chi non vuol morire per dire,
   a te perduto senza più pensieri
   a lei crocifissa nella zana,
   che quello che bruciava era il tuo ieri
   il ragazzo che eri.
 
 

   7. (del tu)
 

   Dicono Anchise ma era tuo padre,
   che moriva nella verde automobile
   lenta sotto il sole immobile
   gli occhi alla terribile luce del giugno
   che guardavano e più non vedevano
   che la mano da te allontanava;
   dicono Enea e tu eri il figlio
   disamato dagli uomini e lo tenevi
   in braccio ed eri tu padre
   che stringeva nella morte il non più figlio.
 

   8. (dell'io)

   Da dove vieni? e dove vai? ancòra torni 
   sacrifici chiedendo sanguinari?
   perché ti ostini a provarmi ancòra?
   da dove ti viene  questa voglia di sangue
   che mai si placa?  mi svegli
   toccandomi la mente, con le mani
   fredde, risuonando degli asini i ragli;
   e Abramo raduna i servi del regno
   in un nuovo silenzio; non cedo
   al tuo ricatto; ti dico no; nel vano
   perdermi e dissiparmi vivo,
   la giovane vita coltivo, a tuo scorno,
   senza ritorno e nel viaggio m'incanto; 
   non è per vanto, ma ai tuoi sussurri piango
   e mi godo la vita, nei suoi occhi azzurri.
 
 

   9. (dell'io)
 

   Dalla parte di Ettore,
                      la parte che ti sei scelto
   Da recitare al mondo,
                      ancora inconsapevole del torto
   Ma fatto esperto dalla storia
                      dei padri che sotto Troia
   O in Africa combatterono
                      per scelta non loro
   Ligi sempre al dovere,
                      seppur restii a morire
   Per l'onore dei re, 
                      però fedeli alle case
   Alle loro povere cose
                      alle povere vite
   Annichilite fra la dura zappa
                      e il fucile e tutta
   La retorica dei vati;

                      Dai campi di battaglia
   Dei corvi e dei corsari 
                      hanno imparato, tutti, quanto vale
   Una giacca senza le stellette,
                      dunque nella storia stanno ad agio,
   Senza recriminare ai torti
                      degli dei e degli eroi
   Dalla parte di Ettore, sempre,
                      perché solo i deboli
   Hanno falsi alibi,
                      sono tutti veri
   Gli alibi dei forti.
 
 

   10. (del tu)
 

   Trasuda umori il tuo vaso, Elena,
   come un sogno che agisce dentro le viscere
   dall'Oriente spirando essenze primordiali 
   fra le labbra ruminanti e i riccioli
   come un sonno agitato dallo scirocco;
   e il fiore del cardo si anima
   nel tuo vaso stillante, Elena,
   che ti libri in un cielo di vampe
   con i rotoli di Rabbì Chananya;
   e le lettere si fanno memoria
   quando all'alba ti svegli e scrivi
   nel palmo della mano col tuo sangue,
   con le spine ardenti del cardo,
   come la parola si fa carne e vive
   come Cristo s'incarna e langue,
   toccandoti là dove il giovane corpo
   canta.
 
 

   11. (dell'io)
 

   Chiara primavera del mio primo canto
   nel deserto della nuova gioventù, amore,
   l'altra parte di me, la mia debolezza,
   nella tua conca si è riconosciuta
   come acqua piovana nella schiuma di mare;

   se amare è godere, non ti ha ferito
   la spina del cardo nel palmo della mano
   dove ho bagnato la bocca, stanca e arida,
   tu la mia forza, la mia insicurezza ardita,
   tu vela alla mia sete di vento;

   con te ho saputo che la vera metafisica
   è solo l'evidenza dell'evento,
   il resto è gorgo di discorsi lisi
   trastullo degli dei del disamore;

   ora che non ci sei si fa troppo vera
   la bellezza di quella troppo bella verità,
   così, diviso da me, mi cerco e sento
   nostalgia, del me che hai portato via.
 

 12. (dell'io)

   Nella memoria no, ancora non fuggire, 
   grassona come sei lontano non andresti
   meglio ti fermi e il ricordo mi presti
   cosi dirò il mio ciao al te che eri;
   bada che gli occhi  ci puoi guadagnare 
   il corpo della tua gioventù all'imbrunire
   quando dalla finestra ti vedevo passare
   e ti correvo dietro in bicicletta
   senza dirti aspetta; 
                        non ti voltavi tu
   che le gambe solo ti lasciavi guardare
   lievi come quelle delle gru 
   sotto il vestito grigio di sartina;
   poi gli occhi neri mi offristi sul portone 
   la bocca che diceva qualche nota
   di una musica che ricorda il mare
   ora ch'è notte e te ne vuoi andare;
   aspetta, ti prego, che di nuovo ci raggiunga 
   l'alba.
 
 

   13. (dell'io)

   Per te le più alte parole
                      quelle tenute in serbo una vita
                             nei miasmi sotto costa sono muffite;
   Per te ch'eri padre ideale
                      il bello naturale cui tornare
                             esaurite le voglie d'esperire;
   Per te perire sarebbe stata gioia,
                      la meta agognata quando il gelo
                             del mondo penetrava le ossa;
   Per te, per velleitaria riscossa,
                      per lontananze mi misi,
                             per piccoli mari, per dolci arenili;
   Per te ritorno non c'è,
                      pure tenendo il lasco sotto costa
                             pure avventurandosi da re;
   Per te ch'eri madre ideale
                      sempre amai la terra che ti teme
                             e nell'aria confuso persi me;
   Per te sono partito, per godere
                      il distacco e poi tornare, ad affidarti 
                             lo scacco della mente e il corpo.
 
 

   14. (del tu)
 

   La sorella che ti precedette morendo,
   prima che tu nascessi, e già il conto
   non torna quando la cerchi nel ricordo
   della madre che la disse bella, e tu
   ne senti la mancanza, ma pure un debito
   di riconoscenza, perché ti apri il varco
   verso l'assenza, e tu ci devi credere
   ch'è vero ciò che si può narrare,
   perché ciò ch'è narrato è vero.
 
 

   15. (dell'io)

   Del silenzio signore che m'inducono a temere,
   a te nulla ho da dire se non il silenzio
   del vivere cui la parola dà nome,
   la gioia delle spiagge solitarie e dei mari
   grigi su cui come lucciole s'accendevano
   sciami d'ioni d'idrogeno e plutonio,
   la pelle bruciata come scorza d'ulivo,
   l'incendio del pensiero nel pensarti;
   sono tornato a te ad affidarti,
   senza parola, senza più pensiero, 
   quello che avanza dissolvendo il corpo,
   perché so che inconsapevole ne farai 
   ciò che tu sai; e tutto il resto sia
   solo un ricordo.
 



 

                   L'ALTRO E OLTRE
 

   " visto in fotografia    non è poi cosi brutto,
   ha una sua armonia    (che contraddice il tutto)
   segue distinto un ordine    suo per anarchia
   contro dell'insieme    l'ordine cui appartiene;

   chi sa che partenogenesi,    soddisfacente  istinti 
   cromosomici balbettii    d'indistinti iddii
   che reclamano un posto,    la loro posizione
   nella storia dell'evoluzione    della specie sapiens,
   salto di qualità    verso un'oscura umanità;

   né di qua né di là io,    assediato da due ordini
   ai richiami del senso sordi,    l'uno e l'altro
   corpo non pensato,     innamorato non eletto 
   ma dato nell'assenza    di senso del conflitto
   che per convenzione è detto    vita e morte;

   chi è io chi è altro    tiriamolo a sorte, 
   sai che in fondo io    è un gran conservatore
   si riconosce in ciò che esiste,    nella continuità, 
   altro è l'impostore,    la cosa nuova che cova
   ciò che nega l'impotente    pretesa di unità;

   ma non è niente, è uno    che gioca a rimpiattino
   con quella bieca voglia    di dissoluzione, 
   un capriccioso che di rado    ride ... un sapientino
   che chiama in lizza    te, vecchio ragazzo, 
   in questa generale    genetica precarietà;

   e tu non declinare    le generalità,
   chiedi al corpo tuo ordinario    un bel respiro 
   di parole azzurrine    d'orizzonte marino,
   chiedi a io di tenersi    lucida la mente 
   mentre cala il sonno    del ghiro sulla brulla 
   frontiera del citoplasma,    e la risacca si placa;

   lo sguardo assassino, vedi,    è piuttosto un bambino
   forse frutto d'amore    di platano o brughiera,
   ancòra una preghiera,    a te di essere chiedi 
   di te stesso  abitatore    insino al confine 
   del limpido nulla, e sempre    curioso del mattino. "
 
 

   (in La clessidra, anno VII, n.1, Edizioni Joker, Novi Ligure (AL), aprile 2001;   in Fogli d'album de LA FORTEZZA, n.1, Edizioni Polistampa, Firenze,  ottobre 2001)

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