Sofocle nacque ad Atene nel 497 a.C. da una
famiglia appartenente alla ricca borghesia mercantile.
Educato brillantemente e con larghezza di mezzi,
a diciassette anni fu prescelto, forse per la sua abilità nella
danza e nella musica, a guidare il coro dei giovani che cantò il
peana per la vittoria di Salamina nel 480.
Nel 468, trionfando su Eschilo, ebbe il suo primo
successo come drammaturgo, con una tetralogia di cui faceva parte il
Trittolemo. In seguito, durante le rappresentazioni ufficiali di
tragedie, conseguì numerose altre vittorie, tra cui quella con
l'Antigone nel 442 e quella con il Filottete, nel
'49, a ottantotto anni.
Nella sua lunga vita, che gli procurò fama e
ricchezze, ricoprì importanti cariche pubbliche, fu circondato di
simpatia e godette della stima dei contemporanei, tra cui Euripide,
Aristofane, Erodoto.
Nel 443 - 442 amministrò il tesoro della lega
attica; subito dopo ebbe la nomina a stratego, partecipando, sotto
la guida di Pericle, alla spedizione contro l'isola di Samo. Fu di
nuovo eletto stratego nel 428 - 427, durante la guerra del
Peloponneso.
Nel 417 il figlio Iofonte denunciò il padre alla
Fratria per demenza senile, geloso, si dice, dell'affetto per il
nipote illegittimo, suo omonimo. Sembra che al processo Sofocle si
sia difeso limitandosi a leggere alcuni versi dell'Edipo a Colono.
Numerosi aneddoti sono fioriti anche sulla sua
morte, avvenuta nel 406: la si attribuisce alla gioia improvvisa per
una vittoria drammatica, o ad uno sforzo della voce nel recitare una
tirata dell'Antigone, o ad un chicco d'uva andatogli di traverso.
Le tragedie superstiti di Sofocle sono sette:
Aiace, Elettra, Edipo Re, Antigone, Trachinie,
Filottete, Edipo a Colono, rappresentato postumo nel 401. Ci sono
pervenuti frammenti di due drammi satireschi: i Segugi e l'Inaco.
Datazione: 401 a.C. (postuma)
Personaggi: Protagonista: Edipo
Antagonista: Creonte
Personaggi secondari: Antigone, Teseo (aiuto del
protagonista), Polinice, Ismene
Divinità: Zeus (interviene per chiamare a sè
Edipo)
Coro: vecchi di Colono Ambientazione: boschetto
sacro delle Eumenidi a Colono, presso Atene, dove si narrava ci
fosse la tomba di Edipo. Tempo della tragedia: ultimo giorno della
vita di Edipo.
Trama: Un oracolo aveva annunciato che, nel
conflitto in corso a Tebe tra Eteocle e Polinice, avrebbe vinto la
parte che avrebbe riportato Edipo (vivo o morto). Nel frattempo
Edipo aveva viaggiato per la Grecia con la figlia Antigone (l'unica,
della sua discendenza, che aveva saputo alleviare, con la propria
giovinezza, le sue sofferenze). Ora i due giungono nel boschetto
sacro delle Eumenidi presso Colono. Tutto sembra tranquillo e sereno
ma irrompono sulla scena personaggi di disturbo. Scocca infine l'ora
del trapasso. Accompagnato da Teseo, Edipo si inoltra nel boschetto.
Si sente il rumore di un tuono, la voce di Zeus che chiama a sè
Edipo, e si vede una luce, ed Edipo che si avvia solo, senza più
bisogno di una guida, verso il luogo del suo trapasso. Ma la sua non
sarà una vera morte: nell'Ade la sua natura eroica continuerà ad
agire beneficamente proteggendo per sempre Atene da ogni nemico.
Messaggio: la sofferenza porta alla redenzione. L'uomo, per
salvarsi, deve accettare passivamente i dettami religiosi. La
conciliazione con dio è la strada della redenzione.
vv. 1- 116
EDIPO: O
Antigone, figlia del vecchio cieco, a quale aperta campagna siamo
giunti, o alla città di quali uomini? Chi nel giorno presente
accoglierà con scarsi doni l’errabondo Edipo, che chiede poco,
e che ottiene ancor meno del poco, eppure, ecco, (in quantità)
sufficiente per me? Infatti le sofferenze, e il lungo tempo che
(con me) si accompagna, e in terzo luogo la nobiltà d’animo, mi
insegnano ad adattarmi. Ma suvvia, o figlia, fammi fermare o
presso luoghi profani o presso sacri recinti di dei, e fa(mmi)
sedere su di un sedile, se (mai ne) vedi qualcuno, affinchè
possiamo apprendere dove mai ci troviamo: infatti siamo venuti
(noi) stranieri per informarci dagli abitanti del luogo e
regolarci secondo quel che avremo udito.
ANTIGONE: O
sventurato padre (mio) Edipo, le torri che difendono la città,
per quanto (si può giudicare) dallo sguardo, (si trovano)
lontano; e questo luogo (è) sacro, a quel che pare, essendo tutto
pieno di lauri, di ulivi, di viti; e con frequente batter d’ali
vi gorgheggiano dentro gli usignuoli. Piega le membra qui, su
questa rozza pietra: hai percorso infatti una via (troppo) lunga
per un vecchio.
E: Mettimi a
sedere, dunque, e fa’ la guardia al cieco.
A: A causa del
(lungo) tempo, invero, non occorre che io impari ciò.
E: Puoi dirmi
dunque dove ci troviamo?
A: Atene, si,
(la) riconosco, ma questa contrada no.
E: Infatti
proprio questo ci diceva ognuno dei viandanti.
A: Devo
informarmi dunque, dopo essere andata in qualche parte, quale
(luogo sia) questo (luogo)?
E: Si, o figlia;
se pure almeno (esso) è abitato.
A: Ma è
certamente abitato; del resto, credo che (non) ci sia bisogno di
nulla: infatti vedo qui un uomo vicino a noi...
E: (Lo vedi) che
avanza forse e che accorre a questa volta?
A: (Si,) e
precisamente, anzi, (lo vedo) qui presente; e quel che ti è utile
dire, di(llo), poichè l’uomo (è) qui.
E: O ospite,
poichè sento dire da costei che vede (e) per sè e per me, che
(tu) sei venuto (come) opportuno messaggero, per dir(ci) quello di
cui siamo incerti...
OSPITE: Per ora,
prima di domandare di più, esci da questo posto dove siedi: (tu)
occupi infatti un luogo non puro a calpestare.
E: Ma quale
(luogo) è questo? A quale degli dei è consacrato?
O: (Esso è)
intangibile e non abitabile: lo abitano, infatti, le terribili
dee, le figlie della Terra e dell’Oscurità.
E: Di quali
(dee) udendo il venerato nome, potrò (io) invocar(le)?
O: Il popolo che
abita qui dovrà chiamarle le Eumenidi che vedono tutto: ma altri
nomi altrove (sono considerati) onorevoli (per esse).
E: Deh! Che
(esse) accolgano (invero) benevole questo supplice, cosicchè (io)
non debba allontanarmi più dall’asilo di questa terra.
O: Che cosa mai
significa ciò (che dici)?
E: (E’) un
segnale del mio destino.
O: Ma (io) non
ho davvero il coraggio di cacciar(ti di qui) senza (il consenso
del)la città, prima che, almeno, (io la) informi di quel che
faccio.
E: In nome degli
dei, dunque, o ospite, non stimare indegno me, errabondo qual
sono, di ciò che ti supplico di dir(mi).
O: Indica(melo),
e non apparirai disprezzato da me almeno.
E: Qual (luogo)
mai è dunque questo in cui ci troviamo?
O: Tutto quel
che so anche io, (lo) saprai (anche tu) ascoltando(mi). Tutta
questa contrada è sacra; la protegge il venerando Poseidone; vi
(risiede) inoltre il dio portatore del fuoco, il Titano Prometeo;
il luogo, poi, che tu calpesti, è chiamato "soglia (dai
piedi) di bronzo" di questa terra, (ed è) il baluardo di
Atene; ed i villaggi vicini affermano con orgoglio che è loro
progenitore questo (nostro) cavaliere Colòno, e portano tutti il
nome di lui concordemente adottato. Tali ti sono questi luoghi, o
straniero, celebrati non a parole, ma piuttosto con la convivenza.
E: (Ci sono)
dunque degli uomini (che) abitano questi luoghi?
O: Ma certo, (e
sono) uomini che prendono il nome appunto da questo dio.
E: Li governa un
re, oppure l’autorità (è) nel popolo?
O: Queste
contrade sono governate dal re della città.
E: E chi (è)
costui (che) governa con l’autorità e con la forza?
O: Si chiama
Teseo, figlio di Egeo che (lo) precedette.
E: Non potrebbe
andare qualcuno di voi (del luogo) come messaggero a lui?
O: Dovrebbe
andare a parlar(gli) o a dispor(lo a venire) con quale scopo?
E: Affinchè
(egli), dando(mi) un piccolo aiuto, possa trarre un grande
guadagno.
O: E quale
giovamento (può venire) da un uomo che non vede?
E: Le parole che
diremo, (le) diremo tutte veggenti.
O: Sai, o
forestiero, in che modo ora non devi sbagliare? Poichè tu sei (un
uomo) nobile, (così) a vederti, a parte la (tua) sorte, resta
qui, dove appunto (mi) sei apparso, intanto che io essendo andato
dico queste cose agli abitanti di qui stesso, non (a quelli) della
città: essi infatti decideranno nei tuoi riguardi se tu debba
rimanere o andar via di nuovo.
E: O figlia, si
è allontanato dunque l’ospite?
A: Se ne è
andato, cosicchè (ti) è lecito parlare tranquillamente di tutto,
o padre, dato che io sola (ti sto) vicino.
E: O venerande
(dee) dal terribile sguardo, poichè nella sede di voi per prime
di questa terra io ora mi sono fermato, non mostratevi insensibili
verso Febo e verso di me; poichè egli, quando (mi) vaticinava
quelle molte sciagure, qui mi predisse (che avrei avuto) riposo
dopo lungo tempo, quando fossi giunto all’ultimo paese
(assegnato dal Fato alle mie peregrinazioni); dove io avessi
ricevuto ricovero e ospitalità da dee venerande, qui (egli mi
predisse) che avrei terminato l’infelice (mia) vita,
(apportando) vantaggio, con il prender dimora (nella loro terra),
a coloro che mi avessero accolto, e sventura a quelli che (mi)
mandarono (via), che mi scacciarono; e come segnali di queste cose
mi assicurava che sarebbe venuto o un terremoto o un tuono o un
fulmine di Zeus. Ora certamente io so bene che in questo (mio)
viaggio non è possibile che non mi abbia condotto a questo sacro
recinto un veritiero auspicio da parte vostra: altrimenti, non mi
sarei imbattuto mai, nel compiere il mio viaggio, in voi per
prime, (io) sobrio in (voi) astemie; e (non) mi sarei seduto (mai)
su questa sacra pietra non levigata. Orsù, o dee, concedetemi
ormai, secondo il responso di Apollo, un termine e un compimento
della vita, a meno che non (vi) sembri che ho qualche cosa in
meno, io che sono soggetto sempre alle più grandi sofferenze del
mondo. Orsù, o dolci figlie dell’antica Oscurità, orsù, o
Atene, che derivi il nome dalla grandissima Pàllade, (e che sei)
la città più onorata fra tutte! Abbiate compassione di questa
infelice ombra dell’eroe Edipo: giacchè non questo certamente
(è) il (mio) corpo d’un tempo.
A: Taci:
avanzano infatti, eccoli qui appunto, degli uomini vecchi d’età,
alla ricerca del tuo sedile.
E: Da parte mia
tacerò; tu dal canto tuo nascondi me, il piede, fuori della
strada, nel bosco, finchè io abbia appreso da costoro quali
discorsi faranno: nell’apprendere, infatti, risiede la prudenza
delle (nostre) azioni.
vv. 1505-1555
EDIPO: O
signore, sei apparso (qui da me) secondo il mio desiderio, e a te
qualcuno degli dei ha concesso una fortuna fausta per questa (tua)
venuta.
TESEO: Che
novità, dunque, c’è ancora, o figlio di Laio?
E: Il punto
culminante della mia vita; e voglio morire senza aver ingannato te
e questa città in ciò che promisi.
T: E su quale
segno della (tua) morte ti fondi?
E: Gli dei
stessi, (quali) araldi, mi danno (questo) annunzio, senza mentire
in nessuno dei segni prefissi.
T: In che modo
dici che si manifestano tali segni, o vecchio?
E: (Tali segni
sono) i tuoni che si susseguono ininterrottamente, e le folgori
che fitte lampeggiano dalla mano invitta (di Zeus).
T: (Tu) mi
persuadi: vedo, infatti, che tu predici molte e non ingannevoli
profezie; orbene, di(mmi) che cosa bisogna fare.
E: Io (ti)
svelerò, o figlio di Egeo, i vantaggi che, non afflitti da
vecchiaia, ti saranno riservati a questa città.
Subito io (ti)
condurrò, non scortato da (alcuna) guida, al luogo dove è
necessario che io muoia.
E (tu) non
indicare mai ad alcuno degli uomini questo (luogo), nè dove
(esso) è nascosto, nè in quale contrada si trova; affinchè
esso, più che molti scudi e lancia importata di (alleati) vicini,
ti dia sempre difesa.
E quel che (è)
empio a dirsi e (che) non deve essere toccato dalla parola, tu
(lo) apprenderai, quando sarai giunto là (tu) solo; poichè nè
ad alcuno di questi cittadini (io) potrei dir(lo), nè alle mie
figlie, sebbene (io le) ami.
Ma tu solo
custodisci(ne) sempre (il segreto); e quando giungerai al termine
della vita, di(llo) al solo (tuo) primogenito, e questo a sua
volta (lo) faccia conoscere al (suo) successore.
E così
governerai questa città senza (che essa subisca) devastazioni da
parte degli uomini seminati; giacchè innumerevoli città, anche
se uno (le) governa bene, facilmente trascendono a violenza.
(E fanno
questo,) perchè gli dei vedono bene, sì, ma tardi, quando uno,
disprezzando le istituzioni divine, si volge a(l commettere)
pazzie; tu (però), o figlio di Egeo, non voler sperimentare
questa empietà.
Tali precetti,
del resto, (io li) sto insegnando ad uno che (già li) conosce.
Ma andiamo ormai
al luogo, poichè mi incalza il mònito qui presente da parte del
dio; e non esitiamo più.
O figlie,
seguite(mi) colà; giacchè io mi rivelo ora a voi insospettata
guida, come (prima) voi due (eravate guida) al padre (vostro).
Avanzate, e non
mi toccate, ma lasciate che io stesso trovi la sacra tomba, in cui
(è) destino per questo uomo essere sepolto in questa terra.
Da questa parte,
così, avanzate per di qua; per di qua infatti mi conduce Ermes
accompagnatore e la dea (Persèfone, regina) degli ìnferi.
O luce priva di
splendore (per me), in un lontano giorno del passato (tu) eri mia,
ed ora, per l’ultima volta, il mio corpo ti tocca.
Infatti ormai mi
avvio a nascondere nell’Ade la (mia) vita che volge alla fine.
O carissimo fra
gli ospiti, voglia il cielo che tu, questa terra ed i tuoi sudditi
siate felici; e (voi), nella (vostra) felicità, ricordatevi di me
morto, (e siate) sempre assistiti dalla fortuna!
vv. 1586 - 1666
MESSO: (Si, e)
di questo appunto conviene meravigliarsi davvero.
In che modo,
dunque, (egli) si muoveva di qui, (lo) sai bene anche tu, credo,
che eri presente: (egli si mosse senza la) guida (di) nessuno dei
(suoi) cari, anzi facendo da guida lui a noi tutti.
Quando poi
giunse alla soglia scoscesa, radicata alla terra con bronzei
gradini, si fermò in uno dei sentieri che numerosi (di lì) si
diramano, vicino alla cava conca, dove si trovano (incisi) i patti
sempre inviolabili di Tèseo e di Piritoo; fermatosi (dunque) nel
mezzo fra questa (conca) e la rupe di Tòrico, e ad egual distanza
dal cavo pero selvatico e dalla tomba marmorea, si poneva a
sedere; quindi sciolse le squallide vesti.
E poi, avendo
chiamato ad alta voce le figlie, ordinava (loro) di portare, da
qualche parte, lavacri e libagioni di acque correnti; e quelle,
recatesi sulla collina ben in vista di Demètra che tutto ammanta
di verde, portarono in breve tempo al padre queste cose (da lui)
ordinate, e lo (purificarono) con lavacri e adornarono con vesti,
come si usa.
Quando poi
(egli) aveva la soddisfazione (propria) di chiunque ha compiuto il
suo dovere, e non rimaneva trascurato più nulla di quanto (egli)
aveva disposto, Zeus sotterraneo tuonò, e le (due) fanciulle,
come ebbero udito, rabbrividirono: e, gettatesi alle ginocchia del
padre, piangevano, e non desistevano da(l darsi) percosse al petto
e da(l mandare) altissimi lamenti.
Ed egli, come
udì l’improvviso crudele fragore, avendo cinto su di esse le
braccia, disse: "O figlie, non è più a voi in questo giorno
il padre! Infatti certamente è finito tutto per me, e non più
(voi) avrete il faticoso (compito di provvedere al) mio
sostentamento; duro (compito), (lo) so, o figlie; ma una sola
parola cancella certamente tutte queste (vostre) sofferenze. L’amore,
infatti, non vi è (uomo) dal quale (voi lo) abbiate avuto più
che da me, di cui prive trascorrerete ormai la vita in
avvenire".
In tal modo
scambievolmente abbracciandosi tutti piangevano singhiozzando.
Quando poi
giunsero al termine dei (loro) lamenti e non si levava più una
voce, vi fu il silenzio; ed (ecco che) improvvisamente la voce di
qualcuno lo chiamò con alte grida, sicchè tutti, resi sgomenti
dalla paura, si sentirono rizzare d’un tratto i capelli.
Lo chiama,
infatti, più volte (e) in vario tono, un dio: "Ehi, tu, o
tu, Edipo, che aspettiamo ad andare? Da troppo tempo ormai s’indugia
da parte tua".
Ed egli, come si
accorse che veniva chiamato da un dio, chiede che si accosti a lui
il signore del paese, Tèseo.
E poichè
(questo gli) si avvicinò, disse: "O caro, dammi il pegno
(da) antico (tempo in uso) della tua mano alle (mie) figlie; e
voi, o figlie, (date il pegno della vostra mano) a lui; e (tu, o
Tèseo,) prometti di (non) abbandonarle mai volontariamente, e di
compiere sempre, benevolmente disposto nell’animo, quanto (tu)
possa di utile per esse".
E quello, da
uomo generoso (qual è), senza manifestare (la sua) emozione,
promise con giuramento allo straniero che avrebbe fatto ciò (che
egli voleva).
E come (egli)
ebbe fatto questo (giuramento), subito Edipo, toccando con le
cieche mani le sue figlie, disse: "O figlie, bisogna che
(voi), sopportando nel cuore un nobile sacrificio, vi allontaniate
da questi luoghi, e non pretendiate di vedere quello che non (è)
lecito (vedere), nè di ascoltare (me e Tèseo) mentre parliamo.
Orsù, andatevene al più presto: soltanto il re Tèseo rimanga,
per apprendere quello che avviene".
Tutti obbedimmo
a lui che parlò così; e ci avviammo con le (due) fanciulle,
piangendo dirottamente.
E quando ci
fummo allontanati, voltatici (indietro) dopo breve tempo, vedemmo
da lontano che l’uomo (non) era più in nessun luogo, e che il
re (Tèseo), (rimasto) solo, teneva (distesa) dinanzi al capo la
mano a riparo degli occhi, come se (gli) fosse apparsa una paurosa
visione, terribile e non sopportabile a vedersi.
Poi, subito e
senza indugio, vediamo che egli adora la terra e insieme l’Olimpo
degli dei, con la stessa preghiera.
Di quale morte
poi quello sia morto, nessuno dei mortali può dir(lo), tranne (il
capo di) Tèseo.
Giacchè non lo
uccise nè un infuocato fulmine di Zeus, nè una tempesta
scatenatasi dal mare in quel momento; ma o un messaggero degli
dei, o la sede degli Inferi, sostegno della terra, squarciatasi
(per lui) beneola, senza (arrecargli) dolore.
L’uomo infatti
non si allontanava a causa di malattie, oggetto di compianto e
causa di dolore (per i superstiti), ma degno di ammirazione più
di ogni altro mortale.
E se non sembra
che io parli con senno, non cercherò di convincere coloro a cui
(io) non sembri aver senno.
Dall'"Aiace"
di Sofocle
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prologo [La pazzia di Aiace]
ATENA :
Sempre ti ho visto, o figlio di Laerte, cercar di cogliere un'opportunità
contro i nemici; ed anche ora ti scorgo presso l'accampamento marittimo di
Aiace , dove egli occupa la posizione estrema , già da tempo seguire ed
esaminare le sue orme da poco impresse, per vedere se è o no nella tenda.
E ben ti guida il sagace passo come di cagna spartana ; perché l'uomo è
da poco nella tenda , stillante il capo di sudore e le mani omicide. Né
ti è più necessario spiare dentro a questa porta, ma dire perché ti
assumesti questa cura, affinchè tu apprenda da chi sa.
ODISSEO:
O voce di Athena, fra le divinità a me carissima , come ben
riconoscibile, sebbene tu sia fuori dal mio sguardo , odo la tua parola, e
l'afferro nel mio cuore, come di tromba tirrena dall'orifizio di bronzo.
Anche ora ben comprendesti che io muovo il passo in cerca di un nemico, di
Aiace portatore di scudo: perché di lui, e di nessun altro, da tempo vado
in traccia. Invero, questa notte ha commesso contro di noi un'azione
inconcepibile, se pure è stato lui a commetterla, nulla sappiamo di
sicuro, ma erriamo nell'incertezza, e spontaneamente mi sobbarcai io a
questa fatica. Giacchè poco fa abbiamo trovato ucciso tutto il bestiame,
trucidato da mano umana insieme con i guardiani. E ognuno ne attribuisce
la colpa a lui. Anzi un testimone mi dice, riferendomi i particolari, di
averlo visto solo, con la spada intrisa di fresco sangue, procedere a
balzi per la pianura: onde io subito mi lancio sulle orme, e alcune ne
identifico, ma per altre resto stupefatto, e non so comprendere di chi
siano . Sei giunta a proposito: perché in tutte le cose, come nelle
passate così in quelle future, io mi lascio guidare dalla tua mano.
A.: Lo
so , Odisseo, e già da tempo venni sul tuo cammino, vigile custode alla
tua caccia
O.: Ora
dunque, amata sovrana, volgo il mio sforzo in direzione opportuna?
A.: Si,
perché di questo tuo uomo queste sono le imprese
O.: E a
che scopo egli spinse così la mano insana?
A.:
D'ira gravato per le armi di Achille
O.: E
perché piomba con tale impeto sul bestiame?
A.:
Credendo di bagnare la mano nel vostro sangue
O.:
Davvero era questo il proposito contro gli Argivi?
A.: E
l'avrebbe attuato, se io me ne fossi disinteressata
O.: Con
quali atti di audacia e violenza d'animo?
A.: Di
notte contro voi con inganno si lancia da solo
O.: E ci
fu davvero addosso e pervenne alla mèta?
A.: Già
si trovava alle porte dei due generali
O.: E
come trattenne la mano avida di sangue?
A.: Sono
io che, gettandogli negli occhi false visioni, lo privo della funesta
gioia e lo distolgo verso il bestiame, verso i depositi del gregge,
custodito dai mandriani, ancora confuso ed indiviso . Colà avventatosi
egli faceva strage delle cornute bestie, spezzando il filo delle reni
tutt'intorno; e credeva di uccidere con la sua propria mano ora i due
Atridi, avendoli in suo potere, ora l'uno o l'altro dei condottieri,
piombando loro addosso. E l'uomo che infuriava nel morbo di follia io
incitai, lanciai in funesti lacci. Poi, quando cessò da tale strage,
avvinti in ceppi i buoi ancora vivi e tutte le pecore, se li trascina
nella tenda, ritenendoli uomini e non preda cornuta, ed ora legatili
insieme lì dentro li ingiuria e li tormenta. E ti mostrerò chiaramente
questo suo male, affinchè tu possa affermare a tutti gli Argivi di averlo
visto.
Abbi
coraggio e resta , non considerare costui una calamità per te! Perché
io, deviando la luce dei suoi occhi, impedirò che egli veda il tuo volto.
Olà, te che leghi con i ceppi le mani dei prigionieri io invito ad
avvicinarti, te Aiace chiamo: vieni davanti alla tua dimora
O.: Che
fai, Atena? Non chiamarlo fuori!
A.: Non
te ne resterai in silenzio senza mostrare viltà?
O.: No,
in nome degli dei, ma basta solo che egli rimanga dentro!
A.:
Perché non avvenga che cosa? Costui prima non era un uomo?
O.:
Nemico, certo, a me, come oggi ancora
A.:
Forse che il riso più dolce non è ridere in faccia ai nemici?
O.: A me
pur basta che egli resti nella sua tenda
A.: Temi
di vederti di fronte un uomo impazzito?
O.:
Certo, per timore non lo eviterei, se fosse in senno
A.: Ma
neppure ora avverrà che egli ti veda, sebbene tu gli sia molto vicino
O.:
Come, se pur con i suoi propri occhi egli vede?
A.:
Offuscherò gli occhi, anche se restano veggenti
O.:
Tanto può avvenire quando un dio disponga
A.: Ora
dunque sta' fermo in silenzio e rimani come ti trovi
O.:
Rimarrò, ma vorrei trovarmi fuori!
A.: Olà,
Aiace, ti chiamo per la seconda volta. Perché ti curi così poco della
tua alleata?
AIACE :
Salve, Atena, salve, figlia di Zeus! Come ben mi assistesti: ed io ti
incoronerò con spoglie di puro oro in ringraziamento di questa caccia
ATENA:
Bene dicesti: ma spiegami questo: immergesti bene la spada nell'esercito
argivo?
AI.: Mi
è lecito il vanto, e non nego ciò
AT.: E
anche negli Atridi vibrasti la mano?
AI.: In
tal maniera che, lo so bene, non potranno mai più disonorare Aiace
AT.:
Dunque sono morti, come intendo le tue parole
AI.: Ora
che sono morti, vengano pure a rubarmi le mie armi!
AT.:
Bene! E che ne è del figlio di Laerte? Quale destino ha avuto da te? O è
riuscito a sfuggirti?
AI.: Mi
chiedesti dunque la scaltra volpe come si trova?
AT.: Si,
dico Odisseo, il tuo avversario
AI.:
Graditissimo prigioniero, o mia regina, egli siede lì dentro; perché
voglio che non muoia ancora
AT.:
Prima che tu faccia che cosa o qual maggior vantaggio tu ottenga?
AI.:
Prima che egli, legato ad una colonna del mio proprio letto…
AT.:
Via, quale male farai all'infelice?
AI.: …finalmente
muoia, il dorso imporporato dalla sferza
AT.: No,
via, non torturare così l'infelice!
AI.: Io
desidero, Atena, compiacerti in qualunque altra cosa, ma egli pagherà
questa pena, non un'altra
AT.:
Dunque, poiché è tuo piacere farlo, affrettati, non astenerti da nulla
di quanto mediti
AI.:
Muovo appunto all'opera; e desidero da te che sempre come tale alleata tu
mi assista
ATENA:
Vedi, Odisseo, la potenza degli dei quanto è grande? Chi poteva esser
trovato più accorto di quest'uomo o più valente nell'agire al momento
opportuno?
ODISSEO:
Non ne conosco nessuno; tuttavia ho pietà di lui infelice, sebbene sia
nemico, perché è aggiogato ad orribile sciagura; e considero il suo
destino al pari del mio: vedo, invero, che noi, quanti viviamo, null'altro
siamo se non fantasmi o vana ombra
A.: Tali
cose dunque vedendo tu non dire mai alcuna parola arrogante contro gli dei
e non assumere alcun orgoglio, se più di un altro sei potente per forza o
per immensità di ricchezza. Giacchè un giorno abbassa e poi rialza tutte
le cose umane; gli dei amano i saggi ed odiano i protervi .
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