In Grecia
La donna greca non aveva niente da
invidiare alle sue nipoti d'oggigiorno per quel che riguarda la cura della
persona.
Essa faceva il bagno in casa, aiutata
dalle sue schiave, a meno che non fosse un'etèra o una donna di bassa
condizione, nel qual caso, almeno in età recenti, frequentava i bagni
pubblici; si profumava con profumi costosi ed esotici e si "truccava" con
molta cura.
I cosmetici, infatti, conosciuti forse
nell'età più antica, erano usati in epoca classica anche presso le madri
di buona famiglia, che ne facevano un uso moderato, mentre le etère ne
abusavano; finchè in età ellenistica divennero l'indispensabile artificio
per la bellezza di tutte le donne, specie di quelle di città.
Il colorito pallido, conseguenza della
vita chiusa e sedentaria, la prima ruga, la pelle rilassata e "stanca"
erano inconvenienti da correggere o da nascondere in ogni modo e a
qualunque costo.
Così si ricorreva al belletto bianco
della biacca, al belletto rosso del minio, dell'ancusa o del fuco, che si
spargevano sulle labbra e sulle guance con un apposito pennello, mentre si
ombreggiavano le ciglia e le sopracciglia con un leggero velo di tintura
nera di antimonio o di nerofumo.
Se poi la tinta naturale dei capelli non
soddisfaceva o, peggio ancora, rivelava qualche filo d'argento, allora si
tingeva tutta la capigliatura in biondo oro o in nero ebano e, quando,
purtroppo, la natura spietata faceva l'ultimo oltraggio, si ricorreva
all'inganno della parrucca.
D'altronde il desiderio che esse
destavano nei loro amanti era la ragione stessa della loro importanza,
specialmente in città quali Atene e Corinto.
Generalmente erano belle, e si servivano
soprattutto della loro bellezza per attirare gli uomini.
Non ignoravano nessuno dei stratagemmi
capaci di renderle ancora più seducenti, stratagemmi che le vecchie
trasmettevano alle più giovani.
Le donne della buona società non
esitavano a ricorrere a simili stratagemmi per conservare l'interesse dei
loro mariti.
I belletti, i vestiti provocanti, le
tuniche trasparenti di cui parla la Lisistrata di Aristofane sono tutte
armi che le donne adoperavano per attirare gli uomini, mariti o amanti,
quando volevano sedurli o trattenerli presso di sè.
Non c'è da dubitare sul fatto che tra la
condizione sociale della donna, eterna minorenne che passava dalla tutela
del padre a quella del marito, e la sua condizione reale ci fosse, anche
su questo piano, una certa distanza: si può notare, infatti, una realtà
quotidiana diversa dall'immagine un pò troppo incolore che una semplice
analisi della vita delle donne basata sulla loro condizione sociale e
giuridica farebbe supporre.
A Roma
Nei primi tempi i Romani non ebbero
molta cura della loro persona e le donne raccoglievano semplicemente le
chiome in un soffice nodo sulla nuca o in lunghe trecce.
Le donne della Roma repubblicana
probabilmente non usavano i belletti colorati, tanto è vero che il "Cyprus",
utilizzato da parecchi popoli barbari per colorare in rosa ed in rosso la
pelle, non viene citato da alcun autore latino prima di Celso e da questo
viene adoperato a scopo non cosmetico, ma come emolliente.
Dalla fine del III sec. a.C.
cominciarono ad emanciparsi fino a raggiungere le stranezze dell'età
imperiale dinanzi alle quali anche noi moderni rimarremmo stupiti.
Le povere schiave dovevano lavorare ore
ed ore per sistemare l'acconciatura della propria padrona, che si ergeva
sulla testa per 40 o 50 cm., in strati sovrapposti di riccioli, volute,
posticci, o che ricadeva da un nodo centrale in riccioli fittissimi,
ciascuno fissato da uno spillone.
Diffuso era poi l'uso delle tinture, ed
il colore preferito era il biondo-rosso, che si otteneva cospargendo la
chioma di sego di capra misto a cenere di faggio!
Non parliamo poi dei cosmetici e di come
le donne romane fossero capaci di impiastricciarsi il viso!
Le labbra erano tinte di rosso con
polvere di ocra; il volto e le braccia erano imbiancati con gesso e
biacca, le ciglia ed il contorno degli occhi erano anneriti con fuliggine,
ed i denti lucidati con polvere di corno!
Svariatissime erano le creme di
bellezza, conservate in cofanetti od in cilindri.
Alcune, a base di miele, di cera di api,
di latte cagliato, di olio ed altri unguenti sono assai simili a quelle
dei giorni nostri; altre, invece, erano miscugli così schifosi che solo il
proverbiale coraggio femminile per conservare, o creare la bellezza,
poteva tollerare.
Inoltre le romane si depilavano
accuratamente; si cospargevano di escrementi secchi di uccelli per
depurare la pelle da macchie o foruncoli, e, come fondotinta, oltre alla
biacca, quando si volevano nascondere inconvenienti maggiori, niente era
più indicato di un abbondante strato di creta!
Curavano, quindi, molto la pulizia della
cute, soprattutto di quella del viso.
Per detergere la pelle e liberarne i
pori dalle impurità, Dioscoride adoperava estratti di "galle", escrescenze
sferoidali delle foglie che hanno subìto la puntura di certi insetti.
Molto diffuso in questo campo fu l'"Hellenium",
una pianta i cui estratti erano ritenuti efficacissimi nella cura della
pelle.
La differenza tra la cosmesi orientale
(Egizi, Micenei, Siri) e quella romana è che quest'ultima, nonostante
quanto detto sopra, era più rudimentale e spesso nociva alla salute,
mentre l'altra, avendo come base essenze vegetali, poteva veramente
raggiungere buoni risultati terapeutici.
APPENDICE: La farmacia
cosmetica romana
I medici romani conoscevano bene
pressochè tutte le malattie della pelle ed avevano una medicina ed una
farmacia dermatologiche. Essi eseguivano perfettamente la terapia di
parecchie di queste malattie; anche le malattie cutanee venivano prese in
degna considerazione. Così le verruche erano curate anche applicando alla
loro superficie sostanze caustiche o corrosive, come i fichi acerbi cotti
nell'acqua o la feccia del vino. Sugli esantemi prodotti dal sudore, sulle
scottature dovute a prolungata esposizione ai raggi solari, sulle lesioni
cutanee prodotte dal freddo, sulle pustole dei bambini, si applicavano le
lenticchie, prima bollite, poi impastate con il miele. Contro la
vitiligine vi erano molte preparazioni: quella composta da Imeneo era a
base di foglie secche di fico. Circa l'acne Celso avverte: <<E' quasi
puerile impegnarsi nella cura dell'acne, delle lentiggini e delle efelidi,
ma è senz'altro impossibile privare le donne della cura nell'ornarsi>>.
Contro l'acne giovanile si adoperava una pomata composta in parti uguali
da resina e da allume, con l'aggiunta di una piccola quantità di miele.
Per le lentiggini occorreva applicare una pasta a base di galbano e di "nitrum"
triturati assieme nell'aceto. Abbiamo anche la descrizione della prima
maschera di bellezza che la storia ricordi.
La sua composizione, elaborata da un
medico di nome Trifone, era a base di argilla azzurra, di mandorle amare,
di farina d'orzo e di molti altri vegetali più rari polverizzati. Il tutto
veniva amalgamato mediante il miele e l'impasto si applicava alla sera, in
uno strato sottile ed uniforme; al mattino seguente si detergeva il viso.
Vi erano anche detergenti speciali per i
denti: i migliori erano a base di corallo finemente macinato stemperato
nell'acqua solo qualche istante prima di adoperarli.
...e ancora, ai vv. 695/705...
<<Conduci a casa tua una moglie, quando
avrai l'età giusta,
non molto al di sotto dei trent'anni,
nè molto al di sopra; questo è il tempo
opportuno per le nozze;
e la donna abbia raggiunto la pubertà da
quattro anni, e si mariti nel quinto.
Sposa una vergine, perchè tu possa
insegnarle onesti costumi;
sposa soprattutto quella che abita
vicino a casa tua,
dopo esserti guardato bene intorno, per
non sposarti, ludibrio ai vicini.
Difatti nessuna cosa può l'uomo
acquistare migliore
di una sposa onesta, come non c'è niente
di più triste d'una moglie cattiva,
piena d'ingordigia, la quale brucia
senza bisogno di torcia il povero marito,
per quanto gagliardo, e lo vota ad una
crudele vecchiaia.>>
(trad. A. Colonna)
Aristofane (sec. V/IV a.C.)
Povere donne!
<<Calonica:
Ciao, Lisistrata. Come sei stravolta: via quella faccia,
creatura mia! A ponte fino le sopracciglia: no!
Lisistrata:
Dentro mi brucia, Calonica: mi avveleno
per noi altre donne, gli uomini ci credono delinquenti nate...
Calonica:
Hanno ragione, perdio!
Lisistrata:
L'appuntamento era qui, dovevamo
decidere un affare importante: loro se la dormono, non viene nessuna.
Calonica:
Verranno, cara: uscire di casa, è
un'impresa per le donne. Noi altre, chi deve sbattersi per il marito, chi
svegliare lo schiavo, chi mettere a letto il bambino, chi lavarlo, dargli
la pappa...>>
(Lisistrata, vv. 3/15; trad.
Marzullo)
Un attestato di superiorità
<<Prassagora:
Sono fatte meglio di noi, ve lo posso
dimostrare. Primo: bagnano la lana nell'acqua calda come gli antichi,
nessuna esclusa. [...] Loro però sedute in cucina, come una volta. Portano
roba sulla testa, come una volta. Fanno le Tesmoforie, come una volta.
Infornano torte, come una volta. Consumano i mariti, come una volta.
Tengono amanti in casa, come una volta. Si fanno manicaretti di nascosto,
come una volta. Gli piace il vino forte, come una volta. [...] Amici,
affidiamo a loro la Città, senza troppe chiacchiere.>>
(Ecclesiazuse, vv. 879/888; trad.
Marzullo)
Screzi
<<1^ vecchia:
Perchè gli uomini non arrivano? E'
passato il momento! E io qua impalata, con la faccia incipriata, vestita a
festa: senza niente. Canticchio fra me una lagna: faccio la scema per
acchiapparne uno, quando passa.
Ragazza:
Ah, ti sei affacciata prima di me,
mummia! Credevi di attirare la gente con le canzoni! Se fai così, canto
pure io.>>
(Ecclesiazuse, vv. 908/915; trad.
Marzullo)
Eubulo (in Ateneo, XIII,
557 f)
Che spettacolo!!!
<<Per Zeus, non sono impiastricciate di
biacca nè come voi hanno le guance spalmate di succo di more. E, qualora
usciate d'estate, due rivoli d'inchiostro scorrono dai vostri occhi e il
sudore grondante dalle guance traccia sulla gola un solco vermiglio, i
capelli trascinati sul viso sembrano canuti, sono intrisi di biacca.>>
(Venditrici di corone, fr. 98 K.;
trad. Renna)
Lisia (sec. V/IV a.C.)
La prova del tradimento
<< ...mi misi a dormire di gusto, come
fa chi torna dal lavoro in campagna. Sul far del giorno tornò lei e aprì
la porta [le camere delle donne si trovavano su
un altro piano]. Siccome le chiedevo come mai durante la notte avevano
cigolato le porte, mi rispose che si era spento il lume che stava accanto
al bambino, e allora lo aveva fatto riaccendere dai vicini. Io rimasi
zitto, pensando che le cose stessero davvero così. Eppure, giudici, avevo
avuto l'impressione che avesse il viso truccato, sebbene fosse trascorso
meno di un mese dalla morte di suo fratello [il lutto stretto era di
trenta giorni].>>
(Per l'uccisione di Eratostene,
pr. 14; trad. Medda)
Senofonte (sec. V/IV a.C.)
Meglio al naturale!
<< Allora Iscomaco disse: - Una volta,
Socrate, la vidi che si era spalmata con molta crema, per sembrare più
bianca di quanto non fosse, e di molto belletto, per sembrare più rosea
della realtà, e che indossava scarpe alte per sembrare più alta del
naturale. [...] "Credi pure, moglie - Iscomaco riferì di averle detto -
che io non preferisco il colore della biacca e della cipria rosa al tuo,
ma, come gli dei hanno fatto sì che per i cavalli la cosa più piacevole
fossero i cavalli, per i buoi i buoi, e per le pecore, le pecore, così
anche gli esseri umani ritengono che la cosa più piacevole sia il corpo
umano senza trucco. Questi trucchi potrebbero ingannare in qualche modo
gli estranei, ma, per chi sta sempre insieme, è necessario che la cosa
venga alla luce, se cercano di ingannarsi a vicenda: o sono scoperti
quando si alzano dal letto e prima che si siano truccati, o sono
sbugiardati dal sudore, o denunciati dalle lacrime, oppure la verità viene
rivelata quando fanno il bagno.>>
(Economico, 10, 2; 7-8; trad.
AA.VV.)
Il desiderio di piacere
<<E l'aspetto di una padrona quando lo
si paragona con quello di un'ancella, dato che lei è più semplice e
decorosamente vestita, risulta molto attraente, soprattutto quando si
aggiunge il desiderio di piacere, invece dell'essere costrette ad
accontentare l'uomo. Invece quelle che stanno sempre sedute dandosi delle
arie si espongono ad essere giudicate artificiose e ingannatrici.>>
(Economico, 10, 12-13; trad. AA.VV.)
Eschine (sec. IV a.C.)
Una severa punizione voluta da Solone per
le adultere
<<Solone, il più illustre dei
legislatori, ha trattato, con l'austerità propria dei suoi tempi,
dell'onesto comportamento delle donne. E così egli vieta ogni forma di
abbellimento esteriore in una donna che sia stata sorpresa in flagrante
adulterio, le ordina di astenersi dal partecipare a funzioni pubbliche, a
che, frequentando donne oneste, non abbia a corromperne il comportamento.
Se, a discapito di questa difesa, ella continui a prender parte a dette
cerimonie o si ostini ad agghirlandarsi, egli ordina al primo in cui si
imbatterà di strapparle i vestiti, di far scomparire ogni traccia di
abbellimento e di darle dei "ceffoni", evitando, tuttavia, di causarne la
morte o di "stroppiarla". Quel legislatore in tal modo colpisce con una
pena vergognosa questo tipo di donne e prepara loro un modo di vivere per
nulla sopportabile.>>
(Contro Timarco, pr. 183; trad.
Martin)
Plauto (metà sec. III
a.C./fine sec. II a.C.)
Ipocrisie o... confidenze?
<<Baciucchiella:
Dammi subito lo specchio e la cassetta
coi monili, Barcaccia; voglio acconciarmi per quando arriverà Fiordamore,
l'amore mio.
Barcaccia:
Lo specchio serve alla donna che non si
fida di sè e della sua età: ma che bisogno hai di specchio tu, che sei lo
specchio più bello per lo specchio? [...]
Baciucchiella:
I capelli - guarda! - stanno bene a
posto?
Barcaccia:
Se sei a posto tu, puoi star sicura che
lo sono anche i capelli. [...]
Baciucchiella:
Dammi il belletto.
Barcaccia:
E che ne hai bisogno?
Baciucchiella:
Ma mi debbo spalmare le guance.
Barcaccia:
E che vorresti imbiancare l'avorio con
l'inchiostro? [...]
Baciucchiella:
Ma su, ora dammi il rossetto.
Barcaccia:
Non te lo do, sei già bella abbastanza.
Vuoi impiastricciare quel capolavoro di faccia ridipingendolo? La tua non
è l'età da ricorrere alle tinture e alle creme, alla cipria e a qualsiasi
altro impiastro.
Baciucchiella:
Ora reggimi lo specchio. [...]
Baciucchiella:
E non credi che debba passarmi sopra un
pò di pomata?
Barcaccia:
Ma neanche per idea!
Baciucchiella:
E perchè?
Barcaccia:
Perchè la donna odora bene quando non ha
odore addosso. Non vedi le vecchiacce, che si ungono e credono di
rimettersi a nuovo, slabbrate e sdentate come sono, che le magagne credono
di ricoprirsele col belletto, quando l'unguento e il sudore hanno fatto
tutta una poltiglia allora fanno lo stesso odore di quando il cuoco fa un
ragù alla cacciatora! Non riesci a capire di che cavolo odorino, sai solo
che è una puzza.
(Mostellaria, vv. 248/279 scelti;
trad. Paratore)
Properzio (sec. I a.C.)
Amore non ama artifici
<<A che giova, vita mia, recare adorne
le chiome
e muovere le pieghe sottili di una veste
coa?
Perchè ti cospargi i crini di mirra
orontea
e ti vendi per doni forestieri
e sprechi la grazia naturale con
ornamenti comprati,
non consentendo alle tue membra di
splendere dei pregi propri?
Prestami ascolto, non c'è bisogno di
alcun abbellimento per la tua figura:
Amore nudo non ama artifici esteriori.>>
(I, 2; 1-8; trad. Sbordone)
Ovidio (metà sec. I
a.C./inizio sec. I d.C.)
I cosmetici per il viso: ricette
<<Priva della pellicola e delle reste
l'orzo
che i coloni di Libia su navi ci hanno
inviato.
Un'uguale quantità di lenticchie sia
amalgamata con dieci uova,
ma l'orzo mondato raggiunga il peso di
due libbre [gr. 657,36].
Quando questa poltiglia esposta ai soffi
del vento si sarà essiccata
falla macinare con la ruvida mola da
un'asina lenta.
E quelle prime corna che cadranno ad un
cervo longevo
tritura assieme ad essa (mettine la
sesta parte di una libbra [cioè gr. 54,78]),
e quando poi tutti gli ingredienti si
saranno mescolati
alla polvere farinosa
subito vaglia il tutto con un setaccio
molto fitto.
Aggiungi dodici bulbi di narciso senza
tunica
che la mano decisa dovrà pestare sul
liscio marmo
e, poi, pesta insieme un sestante
[gr. 54,78] di questa sostanza
gommosa col seme etrusco
[la spelta];
a questo punto si aggiunga nove volte
tanto di miele.
Ogni donna che tratterà il volto con
tale cosmetico
risplenderà più liscia dello specchio
suo.
E tu non esitare, poi, a torrefare i
giallastri lupini
e contemporaneamente tosta i semi di
guado selvatico.
I due componenti, con ugual dosaggio,
pesino sei libbre [kg. 1,972]
e fà macinare entrambi da mola di pietra
scura.
Non ti manchi la biacca nè la spuma del
salnitro rosso
nè il giaggiolo che viene dalla terra d'Illiria.
Fà impastare il tutto da braccia
vigorose di giovani,
ma il peso giusto di questa poltiglia
dovrà essere un'oncia [gr. 27,39].
Dovrai aggiungere poi la sostanza medica
che si prende dal nido dei
queruli uccelli
[i gabbiani]:
toglie le macchie dal viso: la chiamano
alcionèa.
Se mi chiedi quale peso ritenga giusto
per essa,
bene: quella di un'oncia divisa in due
parti [gr. 13,69].
Perchè tutta la sostanza si rapprenda e
possa essere facilmente
spalmata sulla pelle
aggiungi miele dell'Attica tratto da
favi biondi.>>
(Medicamina faciei, vv. 51-82;
trad. Galli)
Le malizie per conquistare un uomo
<<Già compilai per voi, donne, un
libretto [il "Medicamina faciei"]
ricco d'ogni consiglio alla bellezza;
è un piccolo libretto, ma prezioso.
Rivolgetevi a lui che vi ristori
dallo sfacelo delle vostre forme:
sempre per voi è pronta l'arte mia.
Ma che l'amante non vi colga mai
con i vasetti delle vostre creme!
L'arte che vi fa belle sia segreta.
Chi non vi schiferebbe nel vedervi
la feccia
[del
vino] sparsa sopra tutto il viso,
quando vi scorre e sgocciola pesante?
E che fetore
l'esipo
[sudiciume attaccato alla lana di pecora non lavata, usato anche contro il
mal di testa e l'epilessia] emana, sozza
spremitura
del vello immondo d'un caprone, fetida
anche se vien da Atene. E non vi approvo
quando applicate in pubblico misture
di midollo di cerva, o vi sfregate
davanti a tutti i denti. Queste cure
fan belle, ma son brutte a vedersi.>>
(Ars amatoria, III, vv. 205-217;
trad. Barelli)
Marziale (sec. I d.C.)
Un severo consiglio a Massimina
<<Ridi, fanciulla, se sei saggia, ridi>>
disse - credo - il poeta di Sulmona
[Ovidio]
ma non lo disse a tutte le fanciulle.
Poniamo pure ch'egli l'abbia detto
a tutte le fanciulle,
non lo disse per te:
tu non sei più fanciulla, o Massimina,
e non hai che tre denti,
che ci mostrano il nero della pece
o quel del bosso.
Ora, se credi a me ed allo specchio,
il riso devi tu temere [...]
quanto Fabulla imbellettata
teme i rovesci della pioggia,
quanto Sabella, bianca di cerussa,
teme i raggi del sole. [...]
(Epigr., II, 41; trad. Carbonetto)
Petronio (sec. I d.C.)
Una bellezza perfetta
<<Qualunque cosa io dicessi, sarebbe
troppo poco col confronto. I capelli, rialzati sulla fronte piccola e
pura, le scendevan per le spalle, naturalmente ondulati; i sopraccigli,
quasi congiunti sugli occhi, le si piegavano in arco fin sulla linea del
volto; le pupille brillavan più chiare di stelle in notte senza la luna;
il naso era un pochino ricurvo, e la bocca adorabile, come Prassitele
immaginò che l'avesse Diana. Il mento, il collo, la mano, il candore del
piede che traspariva fra i sottili legaccioli d'oro, oscuravano il marmo
di Paro. Allora, per la prima volta, ebbi a disprezzar Dori, che pur amavo
da un pezzo.>>
(Satyricon, 126; trad. Cesareo/Terzaghi)
Plutarco (sec. I/II d.C.)
Un espediente
<<La cosa più incredibile di tutto fu
che riuscì a nascondere la gravidanza, pur facendo il bagno con le sue
compagne. Infatti, il prodotto con cui le donne si spalmano i capelli e li
rendono dorati o rossi contiene un unguento che rilassa le carni e fa
ingrassare, così da produrre una sorta di dilatazione e gonfiore; Empona
usò questo unguento con abbondanza su tutte le altre parti del corpo e
nascose la grossezza del ventre.>>
(Sull'amore, 25; trad. Gigliozzi)
Luciano (sec. II d.C.)
Una laboriosa preparazione
<<...esse [sono fornite] di bacinelle
d'argento, brocche, specchi e, come in una farmacia, di una moltitudine di
boccette, e vasetti pieni zeppi di porcheria, nei quali sono tenute pronte
sostanze capaci di ripulire i denti o studiate per annerire le palpebre.
Il più del tempo è consumato dalla pettinatura dei capelli: alcune,
mediante preparati capaci di fare che le loro trecce mandino al sole di
mezzogiorno riflessi rosseggianti, le tingono, come colorassero delle
lane, con fiori fulvi, condannando la propria natura; quante invece si
accontentano della chioma nera consumano in questa la ricchezza dei mariti
esalando dai loro capelli i profumi, si può dire, di tutta l'Arabia, ne
avvolgono a forza in riccioli su strumenti di ferro scaldati a fiamma
lenta la naturale crespatura, e la capigliatura, quand'è minuziosamente
curata e fatta scendere fino ai sopraccigli, lascia in mezzo poco spazio
alla fronte, mentre i ricci posteriori ondeggiano pomposamente fin sul
dorso. Dopo di ciò ci sono i calzari a più colori, che stringono i piedi
entrando nella carne e la veste dal tessuto velato, che è veste in
apparenza, perchè sembrino non essere nude. [...] Quando poi l'intero
corpo è stato stregato dalla bellezza ingannevole di una falsa avvenenza,
arrossano le guance svergognate con belletti che vi spalmano sopra,
affinchè il colore purpureo tinga la loro pelle bianchissima e grassa.
Ebbene, qual è la loro vita dopo tanta preparazione?
(Amor., 39-41; trad. AA.VV.)
Giovenale (sec. II d.C.)
Si truccano i pervertiti...
<<A poco a poco ti accoglieranno tra
loro quelli che in casa portan nastri attorno alla fronte, gran collane al
collo e placano la dea Bona
[dea della castità]
con pancetta di tenero porco e grandi crateri di vino. Ma con rito
perverso, ogni donna è respinta lontano, non può entrare: soltanto ai
maschi s'apre l'altare della dea. - Via di qui, o profane! - si grida, -
nessuna flautista può far gemere qui il suo flauto!
Orge come queste le celebravano un tempo
i Bapti [seguaci del culto orgiastico della dea
Cotitto], al lume segreto d'una torcia, capaci di
disgustare persino la cecropia Cotitto. Eccone uno che con ago ricurvo
s'allunga le sopracciglia tingendole con fuliggine inumidita e battendo le
palpebre si dipinge gli occhi levati al cielo. E un altro che beve da un
priapo di vetro, con le chiome rigonfie sotto una reticella d'oro, vestito
d'azzurri quadretti o di raso giallino: solo in nome di Giunone giura il
suo servo. E quell'altro ancora che tiene in mano uno specchio, [...]>>
(Satire, II, 83-99; trad. Barelli)
Svetonio (sec. I/II d.C.)
...ma anche gli imperatori!
<<[Ottone] aveva delle civetterie quasi
femminili giacchè si faceva depilare e, avendo i capelli radi, portava una
parrucca così ben fatta e perfettamente sistemata che nessuno se ne
accorgeva; inoltre si radeva tutti i giorni e poi si applicava sul viso la
mollica di pane bagnata, abitudine che aveva preso fin da quando gli era
spuntata la prima barba, allo scopo di non averne mai.>>
(Ottone, 12; trad. Noseda)
Tertulliano (sec. I/II
d.C.)
Cambiano i tempi!
<<Puoi vedere - cosa che Cecina Severo
[Tacito, in Ann. II 33, ne segnala la severità
con il "sesso debole"] bollò severamente davanti
al senato - matrone che se ne vanno in pubblico senza stola. Ma basti dire
che per decreto dell'àugure Lentulo colei che così si spogliava della sua
dignità veniva punita come per adulterio, poichè alcune avevano a bella
posta smesso di indossare, come impedimento all'esercizio della seduzione,
proprio quelle vesti che sono indizio e difesa della dignità. Ma ora
facendo da ruffiane a se stesse, per essere avvicinate più agevolmente,
hanno rinunziato alla stola e alla camicia, alla benda e alla cuffia, e
perfino alle stesse lettighe e alle portantine, dalle quali anche in
pubblico erano protette come nel segreto della casa. Ma uno spegne i
propri lumi, un altro accende quelli che non sono suoi. Guarda le bagasce,
merce di pubblici mestieri, e le stesse tribadi, e se preferisci
distogliere gli occhi da tali esseri vergognosi che han fatto scempio in
pubblico della castità, guarda almeno di traverso, e a questo punto vedrai
le matrone.>>
(De pallio, IV, 9; trad. Costanza)
Vergognatevi!
<<Vi piantate sulla testa non so qual
macchina di capelli, ora costruita a modo di parrucca, in cui la testa
rimane imprigionata, come in un fodero o in un coperchio, ora ridotta
tutta indietro a pesare sul vostro collo. [...] Via da una fronte libera
l'umiliante servitù di siffatte acconciature! Invano vi affaticate di
mostrarvi adorne, invano mettete in opera tanti industriosi parrucchieri:
Dio prescrive che voi siate velate, perchè vuole, io credo, che la testa
di alcune di voi non sia veduta da nessuno. Ed oh! se avverrà che, nel
giorno del trionfo dei Cristiani, io, miserabile, alzi, anche sotto i
vostri piedi, la fronte, vedrò allora se voi risorgerete con tutta la
biacca e il rossetto e lo zafferano, e con tutta codesta ambiziosa
acconciatura del capo; vedrò allora se così dipinte gli angeli vi
solleveranno sulle nubi, nell'aria, per muovere incontro a Cristo!>>
(De cultu femin.,VII; trad.
Moricca)
Girolamo (metà sec. IV/inizio
sec. V)
Consigli
<<Anche l'abbigliamento e l'abito le
indichino a chi è stata promessa. Non ti permettere di forarle le
orecchie, di imbellettare di biacca e rossetto un volto consacrato a
Cristo, di appesantirle il collo con perle ed oro, di gravarle il capo con
gemme, di tingerle i capelli di rosso dandole così un anticipo del fuoco
della geenna. [...] Pretestata, donna di famiglia nobilissima, per ordine
di suo marito Imezio, zio della vergine Eustochio, cambiò l'abbigliamento
e la veste di essa, e le acconciò, disponendoli ad onde, i capelli
trascurati, con l'aspirazione di vincere il proponimento della vergine e
il desiderio della madre. Ed ecco che la notte stessa vede in sogno un
angelo dall'aspetto terribile che le si fa incontro e la minaccia di
castighi: "Tu hai osato anteporre a Cristo l'ordine di tuo marito? Tu hai
osato toccare con mani sacrileghe il capo di una vergine di Dio? Queste
mani già ora ti diverranno secche, perchè, con tale tormento, ti renda
conto di cosa hai fatto e tra cinque mesi sarai condotta all'inferno. Se
poi persevererai nel misfatto, sarai privata, al tempo stesso, del marito
e dei figli." Tutto si adempì nell'ordine ed una morte rapida suggellò il
pentimento tardivo della sventurata. Così Cristo si vendica di chi viola
il suo tempio, così difende le sue gemme ed i suoi gioielli più preziosi.
(Epist. 107, Ad Laetam, 5; trad.
Palla)
APPENDICE
Dalle iscrizioni funerarie alcuni esempi di fedeltà e...
di tradimenti, di vita "vissuta" nell'agiatezza e nella povertà.
Avignone, Francia
AGLI DEI MANI
A CUPIZIA FIORENTINA SPOSA PIA E CASTA
GENNARO PRIMITIVO
Il marito dedica questo sepolcro come ha
potuto, da povero
(CIL XII 1036)
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QUI E' DEPOSTO GIUNIO FAUSTO UN POVERO PICCINO DI DUE
ANNI
Alla madre mia empia e scellerata gli Dei Superi e
Inferi facciano scontare il fio per avermi...
(CIL XII 1036)
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Roma
Fui la sua prima moglie e, finchè vissi, piacqui al
marito e gli fui cara.
Tra le sue braccia resi l'ultimo respiro, fu lui
piangendo a chiudermi gli occhi morenti.
E' un elogio sufficiente, per una donna, dopo la morte.
(CIL VI 6593)
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Haidra, Tunisia
La vita è bene, la vita è male? La morte non è nè l'una
nè l'altra cosa.
Rifletti, se hai giudizio, quale delle due ti convenga
di più.
Ma, poichè esistono i Mani, ti sia lieve la terra.
TITTIA LUCILLA VISSE 14 ANNI E 5 MESI. DEL QUALE TEMPO
18 MESI, FINO AL GIORNO DELLA SUA MORTE, CON IL MARITO. ALLA SPOSA
INNOCENTE E PIA FABIO ESUPERANZIO POSE.
(CIL VIII 11665)
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Ain Kebira, Mauretania
SACRO AGLI DEI MANI
DI RUSTICEIA MATRONA. VISSE 25 ANNI.
Causa della mia morte fu il parto e l'empio fato. Ma tu
cessa di piangere, mio diletto compagno, e custodisci l'amore per il
figlio nostro. Poichè il mio spirito è ormai tra gli astri del cielo.
...ALLA MOGLIE MERITEVOLE POSE.
(CIL VIII 20288)
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Salona, Spalato
SELIA CHIA LIBERTA DI MARCO.
Qui son io, Chia; per volere del fato, la mia bellezza è
dissolta in cenere. L'ìnvida morte tutti eguaglia...
(CLE 1949)
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Pisa
AGLI DEI MANI
di Scribonia Hedone, con la quale vissi diciotto anni
senza mai un litigio, per desiderio della quale giurai che dopo di lei non
avrei preso un'altra moglie.
(ILS 8461)
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Roma
Ti chiamavi Tortora e tale fosti veramente, fino alla
morte il marito non ebbe altro amore.
(Diehl 2142)
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Vercelli
A Filomeno ed Eutichia, che andarono insieme sani a
dormire e furono trovati esanimi l'uno nelle braccia dell'altro.
(ILS 8476,
trad. Mazzolani)
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