La pianura campana
<<La
pianura intorno a Capua>>, ci dice lo Schick nella sua traduzione
delle "Storie" polibiane (III, 91, 2-7),
<<è la più rinomata d’Italia per la sua fertilità, la sua
bellezza, i comodi porti di cui dispone, ai quali approdano quanti vengono
in Italia da quasi ogni altra parte del mondo. In essa si trovano pure le
più belle e famose città della penisola. Sono situate sulla costa le
città di Sinuessa , Cuma, Dicearchia , quindi Napoli, ultima Nocera. Nell’entroterra
sono situate Cales e Teano verso nord, Daunia e Nola verso oriente e
mezzogiorno. Proprio al centro della pianura si trovava la città di Capua,
che era allora la più fiorente di tutte. E’ comprensibile come si sia
formata la leggenda che i mitografi narrano riguardo a questa pianura,
chiamata Flegrea come altre pianure famose: che gli dei, cioè, se la
siano particolarmente contesa a causa della sua bellezza e
fertilità.>>
E, dopo
circa due secoli, ecco come ce la descrive Plinio :
<<Crebros
enim imbres percolat atque transmittit, nec dilui aut madere voluit
propter facilitatem culturae, eadem acceptum umorem nullis fontibus reddit,
sed temperate concoquens intra se vice suci continet. Seritur toto anno,
panico semel, bis farre. Et tamen vere segetes, quae interquievere,
fundunt rosam odoratiorem sativa. Adeo terra non cessat parere, unde volgo
dictum, plus apud Campanos unguenti quam apud ceteros olei fieri. Quantum
autem universas terras campus antecedit, tantum ipsum pars eius, quae
Leboriae vocantur, quem Phlegraeum Graeci appellant. Finiuntur Leboriae
via ab utroque latere consulari, quae a Puteolis et quae a Cumis Capuam
ducit.>>
<<Infatti
essa [la pianura] filtra le piogge frequenti e le lascia passare, né è
solita diluirsi od inzupparsi, per cui permette una coltivazione feconda;
essa non rende a nessuna fonte l’umidità che riceve, ma, assimilandola
in giusta quantità, la conserva al suo interno come un succo. Si semina
durante l’intero anno, una volta a panico, due a farro. E tuttavia quei
campi che nel frattempo hanno riposato danno in primavera una rosa che ha
più profumo di quelle coltivate. A tal punto la terra non cessa di
generare, e per questo comunemente si dice che si produce più profumo in
Campania che olio nelle altre regioni. Di quanto poi questa campagna è
superiore a tutte le altre, di tanto è superiore ad essa quella parte
detta Leborie , che i Greci chiamano Campi Flegrei. Le Leborie sono
delimitate da entrambi i lati da vie consolari che portano a Capua, l’una
da Pozzuoli e l’altra da Cuma.>> [tr. AA.VV.]
La Campania
Campania,
regione dell'Italia meridionale, largamente aperta sul mar Tirreno e
compresa tra il Lazio a nord, il Molise e la Puglia a est e la Basilicata
a sud; 13.595 km²; 5.668.895 ab. (cens. 1991) (417 per km²). È divisa
in cinque province: Napoli, Avellino, Benevento, Caserta, Salerno; 549
comuni. Capol. Napoli.
Geografia
fisica
Le coste
della Campania, che si estendono per 430 km tra la foce del Garigliano e
la baia di Sapri (golfo di Policastro), presentano tre grandi falcature
costituenti i golfi di Gaeta, di Napoli e di Salerno; lunghe spiagge si
aprono in fondo a queste insenature, mentre i promontori che le
racchiudono sono rocciosi; quasi tutta rocciosa è pure la costa fra i
golfi di Salerno e di Policastro. Alcune isole costiere presentano gli
stessi caratteri dei promontori cui si ricollegano: così Capri è
calcarea come la vicina Penisola Sorrentina, Ischia è vulcanica come gli
antistanti Campi Flegrei. Per quanto riguarda il suolo, oltre il 40% è
occupato da monti, una frazione quasi eguale è data da territori
collinari, mentre solo il 20% risulta costituito da pianure. Alcuni
rilievi della zona nordoccidentale fanno ancora parte dell'Antiappennino
vulcanico (Vesuvio, 1.277 m, Campi Flegrei, vulcano di Roccamonfina),
mentre i rilievi della parte più interna fanno parte dell'Appennino
Campano; regioni interamente montuose sono l' Irpinia, nella zona interna,
e il Cilento, a sud del golfo di Salerno. Le maggiori pianure si trovano
in corrispondenza della bassa valle del Volturno, tra Caserta e Pomigliano
d'Arco, tra Sarno e il mare e nella piana del Sele.
I corsi
d'acqua, che scorrono per lunghi tratti profondamente incassati fra i vari
gruppi montuosi, sono alimentati da abbondanti sorgenti, anche di origine
carsica (il Sele, per es.); i maggiori fiumi sono il Volturno col suo
affluente Calore e il Sele con gli affluenti Calore Lucano e Tanagro; in
Campania hanno poi la loro sorgente alcuni fiumi che si gettano
nell'Adriatico, come l'Ofanto. Complessivamente, oltre metà della
superficie della Campania rientra nei bacini del Volturno e del Sele.
Il clima
della Campania è molto mite: si registrano medie di 17ºC sulle coste e
valori più bassi nelle zone interne elevate: a Benevento (135 m), 14ºC,
a Montevergine (1.270 m), 8ºC. Le precipitazioni annue possono
raggiungere i 2.000 mm sui rilievi, mentre oscillano fra gli 800 e i 1.000
mm lungo le coste. La vegetazione presenta varie fasce altimetriche:
macchia fino a 400 m, querce e castagni fino a 1.000 m, faggi (altrove
pini o abeti) fino a 1.600 m e infine pascoli.
Storia
La
Campania fu primitivamente abitata dagli Ausoni (Aurunci) e dagli Opici,
poi, verso l'VIII sec. a.C., le coste furono colonizzate dai Greci, che
fondarono Cuma, e, nel VI sec., le zone interne furono occupate dagli
Etruschi, che costituirono una lega di dodici città con a capo Capua.
Abbattuto il dominio etrusco per opera soprattutto di Cuma (524 e 474
a.C.), nella seconda metà del V sec. a.C. iniziò l'invasione, dalle
montagne verso il mare, dei Sanniti. Capua (440 circa) e Cuma (425 circa)
furono conquistate e gli invasori imposero il loro linguaggio alla
popolazione indigena, mescolandosi in parte con essa. Da siffatta fusione
derivò la nuova popolazione della pianura campana, quella degli Osci, con
una fisionomia ben distinta da quella dei Sanniti, tanto che, quando
costoro in una seconda ondata mossero dalle loro montagne per invadere la
Campania, Capua si rivolse per aiuti a Roma (343 a.C.). Da qui l'origine
delle tre guerre sannitiche (343-290 a.C.), il cui esito fu l'occupazione
di tutta la regione sia interna sia costiera da parte dei Romani, che vi
fondarono parecchie colonie (Cales, Suessa, Literno, Pozzuoli, ecc.) e
l'introdussero nell'ambito della loro egemonia. Tranne la grave defezione
di Capua e di alcune città minori, che si allearono ad Annibale nella
seconda guerra punica, e la partecipazione, sia pure limitata, alla
rivolta dei soci italici, la Campania accolse l'ordine nuovo creato da
Roma e, avutane la cittadinanza, subì un profondo processo di
romanizzazione, conservando però caratteri greci in alcuni centri, come
Napoli e Pompei. Per le sue bellezze naturali, per la mitezza del clima e
la fertilità del suolo fu considerata come la regione della penisola più
ricca di beni della fortuna (Campania felix): le sue coste offrivano posti
incantevoli per la villeggiatura dei ricchi signori; il suolo forniva
grano e miglio di rendimento maggiore che nel Lazio e produceva inoltre in
abbondanza olio, frutta, legumi, vini prelibati come il falerno, e rose
che servivano per la preparazione dei famosi profumi di Capua. Dopo aver
fatto parte con il Lazio, nella divisione augustea, della prima regione
d'Italia, la Campania divenne sotto Diocleziano una provincia a sé,
mantenendo la sua unità anche sotto gli Ostrogoti e i Bizantini.
Sottoposta da Giustiniano all'autorità civile di un giudice e militare di
un duca, coll'occupazione longobarda di Benevento (570 circa) vide
spezzata la propria unità territoriale: costituitosi il ducato, poi
principato indipendente (758), di Benevento, questo comprese dapprima
Capua e Salerno, che nell'840 divennero esse pure sedi di principati
longobardi del tutto autonomi. All'Impero rimasero, praticamente solo di
nome, Napoli e la regione costiera centrale; più a sud, Amalfi,
arricchitasi coi traffici marittimi svolti da un'assai numerosa flotta,
riuscì nei secc. IX-XI a ordinarsi in fiorente ducato indipendente sia
dai Bizantini sia dai Longobardi. Nel 1030 i Normanni ebbero in feudo dal
duca di Napoli la contea di Aversa, loro primo possesso nell'Italia
meridionale che, nei cent'anni seguenti, finì per cadere interamente
sotto il dominio normanno: dopo la definitiva conquista di Napoli nel
1139, la Campania, nei secc. XII e XIII, fu dunque compresa nel regno di
Sicilia e soggetta alla monarchia normanno-sveva; venuta poi in possesso
degli Angioini e degli Aragonesi, ne subì il vessatorio dominio sino
all'inizio del XVI sec. Subentrati a questi gli Spagnoli (1503-1707) e poi
gli Austriaci (dal 1707 [possesso ratificato a Rastatt, 1714] sino al
1734), la storia della Campania, con l'avvento al trono di Napoli di Carlo
VII di Borbone (1734), s'identifica con quella del nuovo regno di Napoli e
Sicilia, e poi della Repubblica Partenopea e del regno delle Due Sicilie.
Il periodo seguente l'annessione (1860) all'Italia fu turbato da gravi
problemi economici e politici, ai quali in particolare si aggiungeva
quello del risanamento demografico e urbanistico di Napoli, dove nel 1884
dilagò una grave epidemia di colera. Nella seconda guerra mondiale gli
Alleati effettuarono, dopo quello in Calabria, un sanguinoso sbarco a
Salerno (9 settembre 1943) e, presa Napoli quando ormai la città era
stata evacuata dai Tedeschi, fecero dei porti della Campania, sino al
termine della guerra, le loro maggiori basi logistiche in Italia. La
Campania ebbe comunque molto a soffrire dal conflitto, soprattutto nella
sua parte settentrionale, dove le vicende belliche diedero luogo a una
serie di aspri combattimenti fra Alleati e Tedeschi, che si protrassero
fino all'inizio del 1944.
Arte
Dell'antica
civiltà artistica della Campania restano testimonianze numerose e di
interesse archeologico unico, grazie anche e soprattutto all'eruzione del
Vesuvio del 79 d.C., che seppellì, permettendone quindi la conservazione
in stato di buona integrità, i grandi centri di Ercolano e di Pompei. Il
susseguirsi e il confluire degli influssi stilistici nel territorio
campano riflettono naturalmente l'avvicendarsi delle dominazioni e delle
colonizzazioni, dall'etrusca alla greca e infine alla romana. Oltre che
dai centri citati, i resti monumentali più cospicui dell'arte classica in
Campania sono rappresentati dal grandioso complesso templare di Paestum;
ma numerose sono le testimonianze ovunque (Napoli, Capua, Cuma, Stabia,
Baia, ecc. per le quali si veda alle singole voci). Di grande interesse
infine è la produzione pittorica, che nella ceramica presenta una
categoria vascolare propria classificata come dei vasi campani e nella
pittura parietale ha lasciato i preziosi complessi di Ercolano e,
soprattutto, di Pompei. Fra le testimonianze superstiti dell'arte in
Campania nei primi secoli dell'era cristiana, si trovano i mosaici della
basilica di San Felice a Cimitile e della cappella di Santa Matrona a San
Prisco, che variamente riflettono le tradizioni ellenistiche locali, e
quelli, più nobili, del battistero napoletano di San Giovanni in Fonte.
Nel periodo altomedievale, documento insigne d'arte sono i dipinti murali
decoranti il piccolo oratorio dell'abate Epifanio (IX sec.) a San Vincenzo
al Volturno nel Molise, opera di un singolare artista che elaborò, su un
essenziale substrato romano, suggestioni carolinge e reminiscenze
bizantine. Pure quasi tutta la grande pittura campana dei secc. XI-XIII si
ispirò al ciclo della grotta di Calvi, più povero spiritualmente ma più
ricco di colore: l'arte fu favorita dalla prosperità dei municipi,
dall'unità politica della regione, dalla ricostituzione dell'ordine
benedettino. Desiderio, abate di Montecassino, fece costruire la nuova
basilica (distrutta nel 1944); egli chiamò a Cassino artisti lombardi e
amalfitani, radunò colonne e capitelli antichi scolpiti, cercò preziosi
smalti bizantini, fondò una scuola di miniatori e calligrafi.
Contemporaneamente, a Salerno, maestranze laiche accoglievano moduli
decorativi siculo-musulmani: dall'equilibrarsi delle diverse tendenze
nacque la grande architettura campana dei secc. XII e XIII. Nonostante la
presenza di arcate di tipo bizantino e di archeggiature acute e
intrecciate di derivazione musulmana, Sant'Angelo in Formis presso Capua e
le cattedrali di Capua, Salerno, Caserta Vecchia si ispirarono al modello
cassinese e alla classica armonia dei suoi colonnati. Nel XIII sec. i
motivi di decorazione siculo-musulmani finirono per prevalere, ripresi con
la loro policromia nelle armoniche proporzioni e negli intrecci di absidi,
cupole, chiostri, mentre i marmorari operanti nell'interno delle chiese
imitavano esempi classici, come negli amboni di Salerno, di Sessa e di
Caserta Vecchia. Più sensibile a influssi bizantini, la pittura di
quest'epoca trovò le sue affermazioni più significative sulle pareti
della chiesa di Sant'Angelo in Formis (XI sec.) e in alcuni codici miniati
benedettini dei secc. XI-XII. Nei primi decenni del Trecento, chiamati
dagli Angioini, furono attivi a Napoli Pietro Cavallini e Simone Martini,
i cui esempi influenzarono la pittura di tutto il secolo: si ricorda il
bellissimo ciclo cavalliniano in Santa Maria Donna Regina.
Nel
nuovo clima di fervore artistico creatosi nel XV sec. alla corte di
Alfonso d'Aragona, fu ricostruito il Castel Nuovo con il classicheggiante
arco di trionfo, si formarono importanti collezioni di dipinti e di
arazzi, fiorì l'attività dei miniatori nella Biblioteca reale, si
intensificarono i traffici artistici con la Spagna e con le Fiandre:
esponente di questo singolare momento dell'arte campana fu il pittore
Colantonio. Nel XVI sec., piuttosto povero, emerge la personalità di
Pedro Roviale di Estremadura, che decorò estrosamente, con gusto
manieristico, la cappella della Pietà nella Sommaria. Il XVII sec., nel
quale dominò la personalità del Caravaggio, coincise con la grande
fioritura della pittura napoletana: Battistello Caracciolo, Massimo
Stanzione, Bernardo Cavallino, Mattia Preti, Luca Giordano, Salvator Rosa
furono i massimi rappresentanti della spiritualità e della cultura
locale. Notevoli sono anche i creatori di nature morte: Porpora, Ruoppolo,
Recco. Nel Settecento furono attivi Francesco Solimena, Corrado Giaquinto,
delicato colorista, e Andrea Belvedere, con il quale si chiuse la grande
tradizione della natura morta napoletana. Intanto fioriva la manifattura
di porcellane di Capodimonte, fondata nel 1743 da Carlo III di Borbone,
famosa per i suoi bianchi quasi puri e la fantasia delle decorazioni, e il
Vanvitelli costruiva con spirito nuovo la monumentale reggia di Caserta.
Nel XIX sec. ebbero accenti originali la pittura, con la «scuola di
Posillipo», tesa a rendere gli aspetti lirici del paesaggio e gli usi e i
costumi della gente, e la scultura, con Vincenzo Gemito.
Literno e
Cuma
<<Le
città sul mare dopo Sinuessa cominciano con Literno, dov’è la tomba
del primo Scipione, soprannominato l’Africano. Egli trascorse infatti
lì l’ultimo periodo della sua vita, dopo aver abbandonato gli affari
pubblici per l’avversione che nutriva nei confronti di alcuni. Presso la
città scorre il fiume omonimo . Così allo stesso modo anche il Volturno
è omonimo alla città che sta ad esso vicina: quest’ultimo fiume
attraversa Venafro e passa in mezzo alla Campania.
Dopo
queste città viene Cuma , fondazione assai antica dei Calcidesi e dei
Cumani: è la più antica di tutte le colonie di Sicilia e d’Italia.
Ippocle di Cuma e Megastene di Calcide, che erano a capo della spedizione
coloniale, si erano messi d’accordo fra loro che la città fosse colonia
dei Calcidesi, ma portasse il nome di Cuma: per questo anche ora è
chiamata Cuma pur avendola, come sembra, colonizzata i Calcidesi. La
città dunque all’inizio era prospera e così la pianura chiamata
Flegrea, dove viene localizzata la leggenda dei Giganti non per altra
ragione se non per il fatto che questa terra, per la sua fertilità, era
atta a suscitare contese. Più tardi i Campani , resisi padroni della
città, esercitarono ogni tipo di violenza sugli abitanti e infatti
andarono perfino a vivere con le loro donne. Tuttavia restano ancora
tracce dell’ordinamento dato dai Greci sia per quanto riguarda le
cerimonie sacre sia le norme legislative. Alcuni dicono che Cuma prenda il
nome da kumata : infatti la spiaggia vicina è scogliosa ed esposta
ai venti. Ci sono nei pressi anche ottimi luoghi per la pesca di pesce
grosso. Nel golfo medesimo c'è anche un bosco di piccoli alberi, che si
estende per molti stadi, senza acqua e sabbioso: è conosciuto sotto il
nome di Silva Gallinaria. Là i capi della flotta di Sesto Pompeo
riunirono gli equipaggi di pirati al tempo in cui egli sollevò la Sicilia
contro Roma.>> [tr. da Strabone A. M. BIRASCHI]
<<
Sic fatur lacrimans classique immittit habenas
et tandem
Euboicis Cumarum adlabitur oris.
Obvertunt
pelago proras; tum dente tenaci
ancora
fundabat navis et litora curvae
praetexunt
puppes. Iuvenum manus emicat ardens 5
litus in
Hesperium: quaerit pars semina flammae
abstrusa
in venis silicis, pars densa ferarum
tecta
rapit silvas inventaque flumina monstrat.
At pius
Aeneas arces, quibus altus Apollo
praesidet,
horrendaeque procul secreta Sibyllae, 10
antrum
immane, petit, magnam cui mentem animumque
Delius
inspirat vates aperitque futura.
Iam
subeunt Triviae lucos atque aurea tecta. […] 42
Excisum
Euboicae latus ingens rupis in antrum,
quo lati
ducunt aditus centum, ostia centum,
unde
ruunt totidem voces, responsa Sibyllae.>>
<<Così
dice piangendo e dà le briglie / a la flotta, ed alfin tocca l’euboiche
/ spiagge di Cuma. Voltano le prore / a l’alto mar, poi l’ancora col
dente / tenace assicurava al fondo i legni; / le curve poppe fanno siepe a
riva. / Balzano ardenti i giovani sul lido / esperio: e chi sprizzar fa la
scintilla / ascosa entro la selce, e chi percorre, / folte dimore de le
fiere, i boschi / e i corsi addita de’ trovati fiumi. / Ma il pio Enea
le vette, cui presiede / l’alto Apollo, ricerca ed il riposto / asilo,
immensa grotta, de l’augusta / Sibilla, a la qual dona il Delio vate /
larghezza e fiamma d’ispirata mente / e le apre l’avvenir. Quelli già
sono / sotto il bosco di Trivia e a l’aureo tetto. […] / E’ l’ampio
fianco de l’euboica rupe / cavato in antro, e cento larghe entrate / v’adducon,
cento porte, escono a cento, / de la Sibilla oracoli, le voci.>> [tr.
da Virgilio G. ALBINI]
Cuma
Cuma, in
lat. Cumae. Città della Campania, su un'altura isolata del
litorale tirrenico. Fondata probabilmente dai Calcidesi d'Eubea nell'VIII
sec. a.C. in una località fertile già abitata fin dall'età del ferro,
acquistò presto una notevole prosperità e un'estesa egemonia lungo le
coste della Campania. Nella sua espansione, culminata con la fondazione di
parecchie città (Napoli, Abella, Zancle, ecc.), si scontrò con gli
Italici, ma soprattutto con gli Etruschi, sui quali riportò due grandi
vittorie, l'una nel 524 a opera di Aristodemo, l'altra nel 474 con il
valido aiuto di Gerone di Siracusa, riuscendo a conservare la propria
indipendenza. Mezzo secolo dopo essa cadde però sotto la dominazione dei
Sanniti e si trasformò gradatamente in una città osca; passò, quindi,
sotto il controllo romano come civitas sine suffragio (338 a.C.).
Fedele a Roma durante la seconda guerra punica e quella sociale ed entrata
sempre più nell'ambito della cultura latina, Cuma ricevette il pieno
diritto di cittadinanza forse prima degli altri soci italici. Ma la sua
importanza diminuì, nonostante la deduzione di una colonia militare,
contemporaneamente al crescente sviluppo di Napoli, di Baia e di Pozzuoli.
Il cristianesimo vi si affermò molto precocemente; nel 560 d.C. fu
l'ultima roccaforte dei Goti assediati da Narsete e nel 1216 fu distrutta
dai Napoletani.
I resti
della città antica sono costituiti, sull'acropoli, dalle fondazioni del
tempio di Apollo e da un altro tempio di dimensioni di poco superiori. Con
il tempio di Apollo era collegato un lungo corridoio sotterraneo
rettilineo a sezione trapezoidale, di epoca arcaica, il cui piano fu
abbassato in età ellenistica. In esso, tuttora conservato, si vuole
riconoscere l'antro della Sibilla di Cuma, assai famosa nell'antichità e
ricordata anche da Virgilio nell'Eneide. Sono visibili pure alcuni tratti
delle mura che cingevano l'acropoli. L'abitato è poco noto, perché gli
scavi ne hanno esplorato solo in parte la zona. Le necropoli vanno dai
secc. VIII-VII a.C. fino all'età romana; sono di particolare interesse
due tombe a camera dipinte, l'una del III e l'altra del IV sec. a.C. - Nei
pressi si trova il piccolo centro moderno di Cuma.
Miseno e
Baia
<<
Talis in Euboico Baiarum litore quondam 710
saxea
pila cadit, magnis quam molibus ante
constructam
ponto iaciunt; sic illa ruinam
prona
trahit penitusque vadis inlisa recumbit:
miscent
se maria et nigrae attolluntur harenae;
tum
sonitu Prochyta alta tremuit durumque cubile 715
Inarime
Iovis imperiis inposta Typhoeo.>>
<<Tale
di Baia su l’euboico lido / cade talor pilone di macigno, / che su gran
massi preparato avanti / gettano in mare; così giù rovina / e percosso
ristà ne l’imo fondo: / s’agitan l’acque e bruna si solleva / la
sabbia; al tonfo Procida alta trema / e ne trema Ischia per voler di Giove
/ imposta a Tifoèo duro giaciglio.>> [tr. da Virgilio G. ALBINI]
<<Vicino
a Cuma si trova il promontorio Miseno e, in mezzo, la palude Acherusia,
una specie di espansione acquitrinosa del mare . Chi doppia Capo Miseno
trova, subito sotto il promontorio, un porto ; poi la costa si incurva in
un golfo profondo, nel quale c’è la città di Baia e le sue acque
termali, adatte per chi ama l’agiatezza e per la cura di alcune
malattie.>> [tr. da Strabone AA.VV.]
L’Averno
<<Talibus
ex adyto dictis Cumaea Sibylla
horrendas
canit ambages antroque remugit
obscuris
vera involvens: ea frena furenti 100
concutit
et stimulos sub pectore vertit Apollo.
Ut primum
cessit furor et rabida ora quierunt,
incipit
Aeneas heros: "Non ulla laborum,
o virgo,
nova mi facies inopinave surgit:
omnia
praecepi atque animo mecum ante peregi. 105
Unum oro:
quando hic inferni ianua regis
Dicitur
et tenebrosa palus Acheronte refuso,
ire ad
conspectum cari genitoris et ora
contingat,
doceas iter et sacra ostia pandas."
<<Con
tali detti la cumèa Sibilla / da l’antro sacro fiere ambagi intuona / e
rugge, d’ombre ravvolgendo il vero: / così scote le briglie a la
fremente / e con gli sproni entro la punge Apollo. / Quando allentò il
furore e la schiumosa / bocca fu cheta, prende a dir l’eroe: /
"Nuova, o vergine, a me né inaspettata / faccia non è di mali
alcuna: tutti / li pregustai, li consumai nel cuore. / Prego sol: poi che
qui dicon la porta / del rege inferno e la palude buia / cui riversa
Acheronte, a me sia dato / a la presenza andar del padre mio, / la via m’insegna,
il sacro adito m’apri.>> [tr. da Virgilio G. ALBINI]
<<…il
golfo Averno che forma una penisola della terra compresa fra Cuma e l’Averno
stesso fino a Capo Miseno; infatti, attraverso la galleria sotterranea,
non resta che un istmo di pochi stadi fra l’Averno da una parte e Cuma
stessa ed il mare contiguo dall’altra . Raccontavano i nostri
predecessori che nell’Averno fossero localizzate le storie favolose
relative alla Nekyia omerica; lì inoltre ci sarebbe stato anche un
oracolo dei morti presso il quale venne Odisseo. Il golfo Averno è
profondo e di facile accesso, ha le dimensioni e le caratteristiche di un
porto ma non si usa a questo scopo perché c’è davanti il golfo
Lucrino, poco profondo e molto esteso. L’Averno è chiuso tutt’intorno
da ripide alture che dominano da ogni parte, ad eccezione dell’entrata
del golfo. Ora, grazie all’opera dell’uomo, sono state messe a
coltura, ma un tempo erano coperte da una foresta di grandi alberi,
selvaggia, impenetrabile e tale da rendere ombroso il golfo, favorendo
così la superstizione. Gli abitanti del luogo favoleggiavano che anche
gli uccelli che vi passano sopra in volo cadono nell’acqua , colpiti
dalle esalazioni che si levano da questo luogo, come avviene alle Porte
degli Inferi . E ritenevano appunto che questo luogo fosse una Porta agli
Inferi e vi localizzavano le leggende dei Cimmeri ; entravano qui
navigando quelli che avevano offerto sacrifici e fatto suppliche agli dei
infernali e c’erano sacerdoti che davano indicazioni in proposito e che
avevano appunto questa incombenza sul luogo.>> [tr. da Strabone AA.VV.]
Lucrino,
Pozzuoli e la Solfatara
<<Il
golfo Lucrino si estende fino a Baia, separato dal mare aperto da un
terrapieno della lunghezza di 8 stadi e della larghezza pari a quella di
un carro: dicono sia stato costruito da Eracle, quando spingeva i buoi di
Gerione . Ma poiché durante le tempeste le acque inondavano la sua
superficie sicchè era difficoltoso attraversarlo a piedi, Agrippa lo
costruì più alto. Il golfo permette l’ingresso solo ad imbarcazioni
leggere; è inutilizzabile come ancoraggio, ma offre, abbondantissima, la
pesca delle ostriche . […] Vengono poi i promontori intorno a Dicearchia
e la città stessa . Dicearchia era in origine porto dei Cumani costruito
su un’altura, ma i Romani, al tempo della spedizione di Annibale, vi si
insediarono e cambiarono il nome in quello di Puteoli, per l’abbondanza
di pozzi; alcuni invece fanno derivare questo nome dal cattivo odore delle
acque , dal momento che tutto il luogo fino a Baia e Cuma è pieno di
esalazioni di zolfo, di fuoco e di acqua. La città è diventata un
grandissimo emporio, dal momento che ha ancoraggi artificiali grazie alle
qualità naturali della sab- bia : infatti essa è costituita nella
proporzione ideale di calce ed acquista una forte compattezza e solidità.
Così, mescolando l’insieme di sabbia e calce con pietre, gettano moli
che avanzano verso il mare e così trasformano in golfi le spiagge aperte
di modo che le più grandi navi mercantili possano con sicurezza entrare
in porto. Subito sopra la città si estende l’agorà di Efesto ,
una pianura circondata tutt’intorno da alture infiammate, che hanno in
molti punti sbocchi per l’espirazione a guisa di camini che mandano un
odore piuttosto fetido; la pianura è piena di esalazioni di
zolfo.>> [tr. da Strabone AA.VV.]
<<…admiscetur
creta, quae transit in corpus coloremque et teneritatem adfert. Invenitur
haec inter Puteolos et Neapolim in colle Leucogeo appellato, extatque divi
Augusti decretum, quo annua ducena milia Neapolitanis pro eo numerari
iussit e fisco suo, coloniam deducens Capuam, adiecitque causam adferendi,
quoniam negassent Campani alicam confici sine eo metallo posse. In eodem
reperitur et sulpur, emicantque fontes Araxi oculorum claritati et
volnerum medicinae dentiumque firmitati.>>
<<…si
mescola [alle aliche] della creta, che vi s incorpora e le rende candide e
tenere. Questa creta si trova fra Pozzuoli e Napoli, nel colle detto
Leucogeo , e ci è pervenuto un decreto del divino Augusto nel quale egli
comandava di pagare per esso ai Napoletani 200.000 sesterzi all’anno,
prelevandoli dalla sua cassa privata, quando dedusse una colonia a Capua:
ed aggiunse quale ragione di questo contributo il fatto che i Campani
avevano detto che senza quel minerale non era possibile trattare l’alica.
Nella stessa zona si trova anche lo zolfo, e ne sgorgano le sorgenti dell’Araxus
, utili per rendere limpida la vista, curare le ferite e rinforzare i
denti.>> [tr. da Plinio il Vecchio AA.VV.]
<<Est
locus exciso penitus demersus hiatu
Parthenopen
inter mgnaeque Dicarchidos arva,
Cocyti
perfusus aqua; nam spiritus, extra
qui furit
effusus, funesto spargitur aestu. 70
Non haec
autumno tellus viret aut alit herbas
caespite
laetus ager, non verno persona cantu
mollia
discordi strepitu virgulta locuntur,
sed chaos
et nigro squalentia pumice saxa
gaudent
ferali circum tumulata cupressu . 75
<<C’è
un luogo quasi sommerso in un profondo abisso,
fra
Napoli ed i territori della grande Pozzuoli.
Lo bagna
l’onda di Cocito; infatti il vapore che ne esala
violento,
è impregnato d’una funerea umidità .
Questa
terra mai verdeggia d’autunno, né i suoi campi mai
nutrono
liete erbe fra le zolle; di primavera i delicati virgulti
non
echeggiano mai di teneri canti che risuonino in diversa armonia,
ma il
caos e le rocce rivestite di nero squallore
trovano
nota di gioia solo nello svettare, tutt’intorno, di ferali
cipressi.>>
[tr. da
Virgilio A. MARZULLO]
Pozzuoli
Pozzuòli,
comune della Campania (prov. Napoli), a 39 m d'alt., sul golfo omonimo,
nel cuore dei Campi Flegrei; 43,21 km²; 69.861 ab. ( Pozzuolesi o
Puteolani). Sede vescovile. Sviluppatasi attorno all'abitato antico,
situato su un piccolo promontorio tufaceo protendentesi nel mare al centro
del golfo di Pozzuoli, la città è attivo centro commerciale e agricolo
(vini dei Campi Flegrei, piselli, pere, uva, cachi, mele), peschereccio
(con importante mercato del pesce), industriale (siderurgia,
metalmeccanica ed elettromeccanica, tessile, della gomma, costruzioni
navali, materiali per l'edilizia, pastifici, fabbriche di acque gassate,
acetificio, ecc.) e turistico. Stazione balneare (Lido Augusto e Lido
Lucrino) e idrotermale (acque cloruro-solfato-sodiche miste). Porto
mercantile e porto passeggeri (servizi marittimi per le isole di Ischia e
Procida). Dal 1962 è sede dell'Accademia aeronautica. - Nel territorio è
la celebre solfatara, cavità craterica di un vulcano in fase di
quiescenza (fase detta appunto: di solfatara), in cui si rilevano numerosi
fenomeni vulcanici secondari: fumarole, mofete, vulcanetti di fango caldo,
e sorgenti idrominerali ipertermali. Nel territorio comunale si trovano
pure i laghi d'Averno e di Lucrino, e le cosiddette "stufe" di
Nerone. Nei primi mesi del 1970 la zona di Pozzuoli è stata interessata
da un fenomeno di bradisismo negativo, che ha provocato un innalzamento di
1 metro e mezzo del terreno sul livello del mare. Sono state avvertite
anche leggere scosse telluriche. Tra la metà del 1982 e la fine del 1984,
il comune è stato interessato da un'altra serie di movimenti bradisismici,
accompagnati da forti scosse telluriche; ciò ha condotto allo sgombero
del centro storico e alla decisione di costruire il nuovo insediamento di
Monterucello, a pochi km di distanza. Agli inizi del 1985, tuttavia, la
velocità di sollevamento del terreno, che aveva portato il suolo da 3,15
m s.l.m. a 4,80 m, ha subito bruscamente un'inversione di tendenza (1 mm
al giorno).
Storia
Fondata
con il nome di Dicearchia (gr. Dikaiárcheia), intorno al 527 a.C., da
fuorusciti di Samo, assunse più tardi, in età imprecisata, quello di
Puteoli. Probabilmente passata sotto l'autorità di Roma a partire dal 338
a.C., al tempo della seconda guerra punica era un porto importante sia
militarmente sia commercialmente. Eretta quindi a colonia romana nel 194
a.C., nel II sec. si sviluppò ulteriormente, divenendo uno dei principali
scali di tutto il Mediterraneo e il centro di smistamento di tutte le
merci provenienti o dirette a Roma.
Con
Augusto divenne il porto di partenza della regolare flotta addetta al
trasporto delle granaglie dell'Egitto e da Domiziano fu collegata alla Via
Appia con la Via Domiziana. Assai prospera, nonostante la concorrenza di
Ostia, per tutta l'età imperiale, fu devastata da Alarico (410 d.C.) e da
Genserico (455) e infine distrutta da Totila (545). Verso la fine della
repubblica e nei primi secoli dell'Impero fu un apprezzato luogo di
villeggiatura.
Archeologia
A causa
dei bradisismi del litorale risulta sommersa tutta la zona portuale, con
la lunga fila dei magazzini e le fondamenta del molo; l'antico mercato (Macellum),
detto tempio di Serapide, costituisce uno tra i più singolari documenti
dell'alterno alzarsi e abbassarsi del terreno: presenta le tracce di una
corte quadrata con portici, una profonda abside a tre nicchie e una tholos
centrale su podio con sedici colonne marmoree, databile a età flavia con
successivi rimaneggiamenti. Sull'acropoli, nella zona ora occupata dal
duomo, sono state identificate le fondamenta e l'iscrizione di un tempio
di età augustea, costruito da un ricco cittadino di Pozzuoli, Lucio
Calpurnio, su un preesistente edificio cultuale dedicato ad Apollo.
Scarsi i
resti delle terme, dello stadio e di altri importanti edifici ricordati
dalle fonti letterarie. Un imponente anfiteatro tra i più grandi d'Italia
(149´116 m) in sostituzione di un'arena più antica, databile all'ultima
età repubblicana, fu costruito a spese pubbliche sotto Vespasiano; ne
restano grandiose rovine nelle arcate del portico inferiore e nella vasta
rete dei sotterranei, perfettamente identificati nella struttura e nella
funzione. Di particolare interesse le numerose apparecchiature idrauliche
(acquedotti e cisterne) atte a provvedere l'approvvigionamento della
città. Sono state esplorate le necropoli, con i sepolcri dalla tipica
forma a colombario; il nucleo più imponente è stato identificato lungo
la Via Campana, ove sono stati trovati mausolei a due piani, con basamento
cubico, tamburo e fastosa decorazione circolare a lesene e a colonne.
Relativamente
numerose le opere d'arte rinvenute, tra cui una statua di Virio Audenzio
Emiliano (IV sec. d.C.) e un gruppo di sculture imperiali. Particolarmente
attivo l'artigianato locale, noto per la produzione di vasellame fittile,
largamente diffuso, e dei vetri incisi, nonché per l'industria dei colori
e della porpora.
LE STRADE DI
POZZUOLI
La via Domitiana
si staccava dall’Appia all’altezza di Sinuessa (l’odierna
Mondragone) e scendeva lungo il mare, superando con un ponte altissimo,
presso la foce, il corso del Volturno e, passando per Liternum e Cumae,
giungeva a Puteoli. A questi lavori, per aprire un varco più
comodo fra Cumae e Puteoli, risale il taglio del Monte
Grillo e la costruzione dell’Arco Felice, alto più di 20 metri.
Da
Napoli, invece, verso Pozzuoli, partiva la via Puteolana. Dunque la
via Domiziana, collegata con l’Appia, metteva in comunicazione diretta
Roma con Pozzuoli e Napoli, sicchè Stazio (Silvae, IV, 3, 112 ssg.)
poteva affermare che "chi lascia il Tevere alle prime luci dell’alba,
alle prime ombre della sera potrà navigare sul Lucrino" ("…qui
primo Tiberim relinquit ortu, / primo vespere naviget Lucrinum").
NAPOLI
Dopo
Dicearchia c’è Neapolis, città dei Cumani; (più tardi ricevette anche
una colonia calcidese ed alcuni coloni da Pitecusa e da Atene, e per
questo fu chiamata Neapolis). Viene indicata sul posto la tomba di una
delle Sirene, Partenope, e vi si tiene un agone ginnico, secondo un antico
oracolo. Gli abitanti, divisisi poi in due fazioni rivali, accolsero come
coloni alcuni dei Campani e furono obbligati a trattare da amici i nemici,
poiché erano diventati nemici dei propri amici. I nomi dei demarchi sono
indicativi in proposito, essendo i primi greci, quelli successivi campani
misti a greci. Numerosissime tracce del modo di vivere greco si sono
mantenute là, così come i ginnasi, le efebie, le fratrie ed i nomi
greci, sebbene la popolazione sia romana. Ai giorni nostri hanno luogo
ogni cinque anni, in questa città, dei giochi sacri comprendenti gare di
musica e di ginnastica, che durano più giorni e che sono degni di
rivaleggiare con le feste più celebri della Grecia. C’è anche una
galleria sotterranea , scavata nella montagna fra Dicearchia e Neapolis,
eseguita come quella di Cuma, e vi è stata aperta una strada, per un
tragitto di molti stadi, larga abbastanza da permettere a due carri che
vanno in direzioni opposte di passare insieme; inoltre, grazie a delle
aperture che sono state tagliate in più parti, la luce del giorno si
espande dalla superficie della montagna molto in profondità. Anche
Neapolis possiede getti di acque calde e stabilimenti balneari non
inferiori a quelli di Baia, ma meno frequentati; là infatti, accanto a
Baia, è sorta un’altra città che sta alla pari con Dicearchia, dal
momento che, uno dopo l’altro, sono stati costruiti molti palazzi. A
Neapolis diffondono il modo di vivere greco quelli che da Roma si ritirano
qui per trovare tranquillità […] [tr. da Strabone AA.VV.]
<<C.
PLINIUS CANINIO RUFO SUO S.
Modo
nuntiatus est Silius Italicus in Neapolitano suo inedia finisse vitam.
Causa mortis valetudo. […] novissimo ita suadentibus annis ab urbe
secessit seque in Campania tenuit ac ne adventu quidem novi principis inde
commotus est. […] plures isdem in locis villas possidebat adamatisque
novis priores neglegebat. Multum ubique librorum, multum statuarum, multum
imaginum, quas non habebat modo, verum etiam venerabatur, Vergili ante
omnes, cuius natalem religiosius quam suum celebrabat, Neapoli maxime, ubi
monimentum eius adire ut templum solebat […]>>
<<Caro
Caninio Rufo,
è
giunta or ora la notizia che Silio Italico si è lasciato morire di fame
nella sua dimora presso Napoli. Causa della morte la malattia. […]
Recentemente gli anni l’avevano consigliato ad abbandonare Roma e si
ritirò in Campania, e non si lasciò smuovere di là neppure dall’arrivo
del nuovo Imperatore . […] Possedeva nella stessa regione parecchie
ville ed innamoratosi delle nuove, negligeva le vecchie. Gran copia di
libri ovunque, molte statue, molti ritratti, che non soltanto possedeva,
ma venerava; soprattutto quello di Virgilio , il cui giorno natale
celebrava con devozione maggiore del proprio, particolarmente a Napoli,
ove soleva accostarsi alla tomba di Virgilio come si fosse trattato di un
tempio […]>> [tr. da Plinio il Giovane L. RUSCA]
<<Heu
tibi nota fides totque explorata per usus,
qua
veteres Latias Graias heroidas aequas? 45
Isset per
Iliacas (quid enim deterret amantes?)
Penelope
gavisa domos si passus Ulixes.
Non adeo
Vesuvinus apex et flammea diri
montis
hiems trepidas exhausit civibus urbes:
stant
populisque vigent. Hic auspice condita Phoebo 50
tecta,
Dicarchei portusque et litora mundi
hospita:
at hic magnae tractus imitantia Romae
quae
Capys advectis implevit moenia Teucris.
Nostra
quoque et propriis tenuis nec rara colonis
Parthenope,
cui mite solum trans aequora vectae 55
Ipse
Dionaea monstravit Apollo columba.
Has ego
te sedes (nam nec mihi barbara Thrace
nec Lybye
natale solum) transferre laboro,
quas et
mollis hiems et frigida temperat aestas,
quas
imbelle fretum torpentibus adluit undis. 60
Pax
secura locis et desidis otia vitae
Et
numquam turbata quies somnique peracti.
Nulla
foro rabies aut strictae in iurgia leges:
morum
iura viris solum et sine fascibus aequum. […]
Di patrii
, quos auguriis super aequora magnis 45
Litus ad
Ausonium devexit Abantia classis,
tu,
ductor populi longe migrantis, Apollo,
cuius
adhuc volucrem laeva cervice sedentem
respiciens
blande felix Eumelus adorat,
tuque,
Actaea Ceres, cursu cui semper anhelo 50
votivam
taciti quassamus lampada mystae,
et vos,
Tyndaridae, quos non horrenda Lycurgi
Tatgeta
umbrosaeque magis coluere Therapnae,
hos cum
plebe sua, patrii, servate, penates.
Sint, qui
fessam aevo crebrisque laboribus urbem 55
voce
opibusque iuvent viridique in nomine servent. […]>>
<<Dov’è
la tua famosa / fedeltà che non cadde a tante prove / e per le quali
eguagli le eroine / del Lazio e della Grecia? Ma Penelope, / se Ulisse
acconsentiva, oh certo andata / sarebbe ad Ilio con immensa gioia. / Che
cosa mai può sbigottire amore? / La cima del Vesuvio e la tempesta /
infuocata del monte non han fatto / le trepide città prive di uomini: /
ancora in piedi vivono di gente. / Ivi il tempio di Apollo ammirerai / ed
il porto di Pozzuoli e le sue rive / ospitali e le mura che di Teucri /
esuli Capi fece colme, e sono / simili a quelle della grande Roma. / Piena
di cittadini e di coloni / è la cara Partenope, che giunta / dal mare
vide il mite suolo splendere / a lei da Febo stesso rivelato / col volo di
colomba sacra a Venere. / A queste sedi (e patria non mi fu / né la
barbara Tracia né la Libia) / desidero condurti: dove sempre / dolce è l’inverno
e mai arsa l’estate, / terra che lambe d’onde lente il mare. / Ivi
sicura pace regna e l’ozio / di una vita felice; ivi la quiete / di
lunghi sonni non è mai turbata: / ivi non ira, non discordia come / nel
Foro o leggi come spade nude; / ma il diritto è un costume e non si vede
/ mai armata di fasci la giustizia. […]>> [tr. E. CETRANGOLO]
<<O
Dei della patria, voi che la flotta degli Abanti trasferì oltre il mare
con magnifici auspici fino al litorale ausonio, e tu, o Apollo, suprema
guida del popolo emigrato di lontano, del quale il beato Eumelo ancora
venera la colomba, volgendosi a guardarla teneramente mentre essa poggia
sulla sua spalla sinistra, e tu, o Cerere attica, in onore della quale
noi, taciti iniziati, agitiamo sempre la torcia votiva con una corsa
anelante, e voi, o Dioscuri, che l’orrendo Taigeto di Licurgo e l’ombrosa
Terapne mai maggiormente celebrarono, proteggete con tutti i suoi membri
questa famiglia di cui siete penati paterni. Siano essi tra coloro che,
con l’eloquenza e le proprie possibilità, rechino giovamento alla
città sopraffatta dai molti anni e dalle assidue traversie, e la lascino
prosperare nel nome ch’è indice di giovinezza. […]>> [tr. F.
SBORDONE]
Napoli
Napoli,
città e porto della Campania, capol. di prov. e di regione, sul golfo di
Napoli, a 10 m d'alt.; 117,27 kmq; 1.067.365 ab. [ Napoletani o
Partenopei] (cens.1991). Sede arcivescovile. Università. Aeroporto
internazionale (Capodichino). Napoli è, dopo Roma e Milano, la terza
città d'Italia per il numero degli abitanti e la più importante città
del Mezzogiorno. Favorita da clima mite e costante (la temperatura media
annua è di 17:C), si estende ad anfiteatro sul pendio di colline
digradanti lungo il litorale del golfo omonimo, tra i Campi Flegrei e il
Vesuvio, in uno scenario di bellezza incomparabile, cantato da
innumerevoli poeti e scrittori (Virgilio, Petrarca, Boccaccio, Tasso,
Milton, Shelley, Cervantes, Goethe, Byron, ecc.). Fino al XIII sec.
l'estensione della città rimase assai limitata; le diverse dominazioni
subite in seguito corrispondono ad altrettante tappe del suo sviluppo
urbanistico. All'epoca della conquista angioina (1266) la città contava
40.000 ab.; la sua nuova funzione di capitale ne aumentò l'importanza,
con conseguente incremento demografico e urbanistico. All'inizio del XVI
sec., i suoi abitanti erano 110.000. Alfonso d'Aragona e i suoi successori
ampliarono la superficie del territorio urbano erigendo nuove mura; in
seguito, il dominio spagnolo modificò il carattere della città, poichè
il vicerè don Pedro de Toledo attirò a Napoli le grandi famiglie nobili,
e numerosi palazzi vennero costruiti verso ovest, tra le mura e la collina
di Sant'Elmo (ove poi si sviluppò il Vomero), in posizione elevata e
salubre; fu aperta l'ampia strada detta via Toledo (oggi via Roma) e si
svilupparono i cosiddetti quartieri spagnoli. Nel 1656, Napoli era la più
popolosa città dell'Europa occidentale, con 360.000 ab., ma in quell'anno
un'epidemia di peste li ridusse a circa la metà, e occorse un secolo
intero perchè la popolazione napoletana ritornasse numerosa com'era prima
della pestilenza. Divenuta, con Carlo di Borbone, nuovamente capitale di
regno, Napoli conobbe un nuovo sviluppo. Alla fine del XVIII sec., la
città cominciò ad assumere l'attuale aspetto urbanistico ed edilizio, e
le colline di Sant'Elmo e di Capodimonte si coprirono di nuovi palazzi e
quartieri; ai primi del XIX sec., gli abitanti erano 441.000. Tale
sviluppo proseguì, senza obbedire a un piano prestabilito, fino a che, in
seguito a una terribile epidemia di colera (1884), le autorità furono
indotte a intraprendere grandi lavori di risanamento; fu sventrata la
parte bassa della città antica e furono aperte nuove ampie arterie
(rettifilo di corso Umberto I). Diversamente da altre grandi città
italiane, Napoli, che aveva perduto il rango di capitale, non risentì in
misura notevole le conseguenze dell'unità italiana: continuò a
svilupparsi in relazione all'attività economica propria e i suoi
sobborghi raggiunsero Pozzuoli a ovest e Portici a est, mentre altri,
nuovi, sorgevano lungo le strade di Capua e di Caserta, a nord. Nel 1931
la città contava 840.000 ab.; 866.000 nel 1936. Le distruzioni belliche
(durante la seconda guerra mondiale, circa 100.000 vani d'abitazione e il
65% degli impianti industriali andarono distrutti), le demolizioni di
alcuni quartieri (rione Carità, ecc.), la costruzione di moderne zone
urbane (a ovest, i quartieri amministrativi e turistici; a est, quelli
commerciali), lo sfollamento dei "bassi", l'intenso processo di
industrializzazione, prima, e di terziarizzazione del complesso urbano,
poi, hanno apportato considerevoli modifiche all'aspetto della città.
Questa ha visto dapprima crescere il numero dei suoi abitanti (intorno a
un milione, nell'immediato dopoguerra) fino a raggiungere la soglia di
1.200.000 e a superarla di diverse decine di migliaia di unità all'inizio
degli anni Settanta. Da allora il numero ha incominciato lentamente ma
costantemente a diminuire.
Il
carattere particolare di Napoli sta anche nel vivo contrasto che si rileva
nella città stessa, dove, dietro i grandi palazzi dalle ricche facciate
prospicienti le maggiori arterie, innumerevoli abitazioni sovrappopolate,
più o meno misere, si addensano in isolotti separati da viuzze
strettissime (Spaccanapoli): è qui che scorre la quotidiana, tipica vita
napoletana, in un'atmosfera rumorosa e vivacissima. Lungo il mare, invece,
sul quale si affacciano gli alberghi di lusso, un immenso viale (via
Caracciolo) offre un magnifico panorama sul golfo e sul Vesuvio. Castel
dell'Ovo, antica fortezza normanna, domina l'incantevole porto di Santa
Lucia, in cui si addensano i pescherecci. I sobborghi sulla riva del mare
terminano a ovest, dopo la pittoresca Mergellina, a Posillipo, quartiere
residenziale, le cui ricche ville si scaglionano a gradinata sui pendii
dei Campi Flegrei, al di sopra di Marechiaro, la piccola località di
pescatori immortalata dalla poesia. Quattro funicolari collegano i vecchi
quartieri della pianura a quelli più moderni, sulla collina (Vomero,
Posillipo Alto).
L'agglomerato
di Napoli svolge un'importante attività economica, in gran parte
dipendente dal porto. Completamente distrutto durante la seconda guerra
mondiale, è stato ricostruito e dotato di moderne attrezzature (darsene,
bacini di carenaggio, silos, ecc.). Per il traffico passeggeri, che
acquistò grande importanza all'inizio del XX sec., all'epoca della
massiccia emigrazione degli Italiani verso il Nuovo Mondo, oggi il porto
di Napoli è il primo d'Italia, con oltre 4 milioni di passeggeri
imbarcati e sbarcati in un anno. Oltre al traffico, prevalentemente
turistico, con le isole dell'arcipelago napoletano (la città è collegata
anche da servizi di aliscafi ed elicotteri con Capri, Ischia e Sorrento),
è intenso anche quello regolare con le isole Eolie, Messina, Palermo,
Cagliari. L'attività del porto mercantile (uno dei primi d'Italia) non ha
cessato di aumentare, grazie a vari fattori: l'importanza del suo
retroterra che, sebbene poco esteso, richiede grandi quantità di beni di
consumo (cereali, carbone, coloniali); il carico dei prodotti agricoli
d'esportazione (ortaggi, legumi e frutta, agrumi; prodotti caseari:
mozzarelle, provole e provoloni, ecc.) e soprattutto l'esistenza nel
capoluogo e nei comuni limitrofi di importanti industrie di trasformazione
di materie prime pesanti (raffinerie di petrolio, cementifici) e di
costruzioni ferroviarie, automobilistiche e aeronautiche (stabilimenti
Alfa Romeo e Aeritalia di Pomigliano d'Arco). Per quanto riguarda più
strettamente il capoluogo, si è registrato un progressivo fenomeno di
deindustrializzazione, con la chiusura di numerose iniziative minori e la
ricollocazione di altre fuori del centro urbano o addirittura in
tutt'altra località. Ancora rilevanti, a Napoli città, sono le industrie
metalmeccaniche e dei mezzi di trasporto, seguite dai rami del vestiario,
del tessile e dell'abbigliamento (in costante diminuzione), da quelle
cartarie e poligrafiche, delle pelli, del cuoio e delle calzature, dai
settori alimentare, della ceramica e del legno, nonchè da una miriade di
iniziative minime o piccole di ogni genere appartenenti a un "secondo
circuito" sommerso, o "nero", il cui peso reale risulta
difficilmente valutabile.
La
contemporanea sensibile avanzata delle iniziative del settore terziario ha
compensato solo in parte la perdita di posti di lavoro nell'industria -
sicchè la disoccupazione è aumentata - senza peraltro portare a una
reale soluzione dei gravi problemi infrastrutturali (primi fra tutti
quello della mobilità delle merci e dei lavoratori pendolari e quello
della fornitura di dotazioni civili soddisfacenti e adeguate al ruolo di
terza città d'Italia) che sono fra le concause del declino industriale e
demografico della metropoli partenopea.
Con poco
meno di 2 milioni di passeggeri transitati nel 1989, l'aeroporto di
Capodichino pone Napoli al terzo posto in Italia dopo gli scali passeggeri
di Roma e di Milano.
Napoli
è inoltre importante nodo stradale, autostradale e ferroviario e ha
un'intensa attività commerciale. Sviluppata è l'industria
turistico-alberghiera. La città di Napoli vanta nobili tradizioni
culturali: oltre all'antichissima università (1224), importanza notevole
hanno l'Istituto universitario navale, l'Istituto orientale universitario,
l'Istituto italiano di studi storici, l'Istituto di fisica nucleare, il
Centro internazionale di studi archeologici Amedeo Maiuri, l'Accademia
pontaniana, l'osservatorio astronomico (Capodimonte), l'osservatorio
vesuviano, l'orto botanico, la stazione zoologica con l'acquario, oltre
alle biblioteche (Nazionale, Farnese, Gioacchina) e ai musei.
Tra le
manifestazioni annuali notevoli: la festa di San Gennaro, con processioni
(primo sabato di maggio); la festa di Piedigrotta (settembre), la Fiera
internazionale della casa, arredamento, abbigliamento, edilizia, alla
Mostra d'oltremare (giugno-luglio), il Luglio musicale a Capodimonte e
l'Autunno musicale al Teatrino di corte di Palazzo Reale.
Napoli
è patria di innumerevoli artisti (Bernini, Salvator Rosa, Luca Giordano,
Vanvitelli, G. Gigante, V. Gemito, ecc.), musicisti (D. Scarlatti, R.
Leoncavallo, E. A. Mario), poeti e scrittori (Stazio, I. Sannazzaro, G. B.
Marino, G. B. Basile, G. B. Vico, G. Filangieri, P. Colletta, S. di
Giacomo, G. Marotta), patrioti e uomini politici (F. Caracciolo, C.
Poerio, L. Settembrini, C. Pisacane, V. Imbriani, A. Diaz, A. Labriola, E.
De Nicola) e uomini di teatro (E. Scarpetta, E. Caruso, Totr, i De
Filippo, ecc.). Nei pressi della città si trovano le città romane di
Pompei ed Ercolano, il Vesuvio, la Penisola Sorrentina, il monte Faito
verso SE; Capri a sud; verso ovest, i Campi Flegrei, Pozzuoli, con la
solfatara, Agnano (terme; ippodromo nazionale), Camaldoli e le isole di
Ischia e Procida. - La provincia di Napoli è per estensione una delle
più piccole province italiane, ma è la più densamente popolata: 1.171
kmq; 3.016.026 ab. distribuiti in 92 comuni, con una densità di 2.576 ab.
per kmq.
Il
comune di Napoli addensa sul 10% del territorio provinciale il 40% della
popolazione. Gli altri 90 comuni avevano nel 1951 una popolazione di
1.071.000 ab. Il denso reticolo di città minori e borghi, che si
raccoglie entro un raggio di 25-30 km dal capoluogo, costituiva già
allora un'area metropolitana atipica, con poche attività industriali e
una base economica in cui prevalevano piuttosto l'agricoltura intensiva,
la pesca, il turismo. La popolazione dell'hinterland di Napoli è
aumentata in misura non fortissima ma continua nei decenni successivi:
1.238.000 ab. nel 1961, 1.483.000 dieci anni dopo, 1.759.000 nel 1981 e
1.935.000 ab. all'inizio del 1990. L'intera provincia costituisce uno
spazio fortemente urbanizzato. I comuni più popolosi sono quelli costieri
del golfo di Napoli: Pozzuoli, Portici (78.000 ab.), Ercolano, Torre del
Greco (105.000 ab.), Torre Annunziata e Castellammare di Stabia; Sorrento
e le isole di Capri e Ischia sono i centri storici del turismo partenopeo.
Nella pianura a nord di Napoli si sono sviluppati sobborghi residenziali e
industriali: Casoria, Giugliano in Campania, Afragola, Acerra e Pomigliano
d'Arco dove hanno sede i grossi complessi industriali dell'Alfa Romeo,
FIAT e dell'Aeritalia. I centri ai piedi del Vesuvio, meno popolosi, sono
collegati ad anello dalla strada e dalla ferrovia circumvesuviana. Pompei
è già ai confini con la provincia di Salerno. A est la pianura di Nola
conserva caratteristiche in parte agricole.
L'agricoltura
ha carattere intensivo; la viticoltura (Epomeo, Campi Flegrei, Vesuvio)
dà vini pregiati: capri bianco, lacrima Christi, falerno, gragnano,
vesuvio e i vini d'Ischia; oltre alla vite, si coltivano ortaggi, frutta,
canapa, agrumi, olivi. Notevoli le estensioni boschive (castagneti).
Attiva h la pesca a Procida, Pozzuoli, Torre del Greco, ecc. L'industria
è varia: oltre alle industrie del capoluogo, attive sono le industrie
navali, tessili, e soprattutto alimentari (ortaggi, pomodori e frutta
conservati; paste alimentari).
Alle
già affermate industrie siderurgiche e chimiche (Napoli, Torre
Annunziata), ai cantieri navali (Napoli, Castellammare di Stabia), alle
manifatture di tabacco, agli stabilimenti farmaceutici (Napoli), meccanici
(Pozzuoli), alimentari (paste, conserve, gelati), aeronautici (Fusaro),
tessili (Capodichino), si sono aggiunti i grandi impianti a partecipazione
statale di Pomigliano d'Arco. Tuttavia il processo di industrializzazione
da solo non è bastato a risolvere tutti gli antichi problemi locali: la
disoccupazione mantiene valori elevatissimi, le dotazioni civili sono in
larga parte insufficienti e anche sulla provincia si esercita, non meno
che sul capoluogo, il peso opprimente della malavita organizzata, sicchè
quella di Napoli è l'unica fra le quattro grandi province metropolitane
italiane che ancora presenta evidenti aspetti di sottosviluppo.
Fra le
attività del terziario, oltre a quelle che fanno capo ai servizi
pubblici, intensa è ovunque l'attività commerciale e sviluppatissimo è
il turismo (Sorrento, Capri, Ischia, Pompei). Frequentate sono le stazioni
termali dell'isola d'Ischia, di Agnano e Pozzuoli. Centri principali:
Torre del Greco, Portici, Casoria, Pozzuoli, Castellammare di Stabia, San
Giorgio a Cremano, Ercolano, Torre Annunziata, Afragola, Giugliano in
Campania.
Storia
L'antica
Neapolis ("Città Nuova") fu fondata da un gruppo di
coloni cumani stabilitisi a Parthenspe (Partenope), già insediamento
fenicio e poi, nel VII sec. a.C., rodiese. Divenuta ben presto la città
più importante della Campania, intorno alla metà del V sec. accolse
molto probabilmente dei coloni attici e, verso il 420, i rifugiati di Cuma,
conquistata dai Sanniti, nel sobborgo di Palepoli (Palaiopolis,
"Città Vecchia"). Assediata nel 327 dal console Publilio
Filone, si arrese l'anno successivo, divenendo alleata di Roma, alla quale
rimase fedele sia durante la spedizione di Pirro sia nel corso della
guerra annibalica. Nonostante la concorrenza del porto di Puteoli
(Pozzuoli) e la distruzione subita nell'82 a.C. da parte dei partigiani di
Silla, nell'ultimo secolo della repubblica e durante l'Impero fu assai
florida economicamente e famosa, oltre che per le sue bellezze naturali,
anche come centro culturale d'impronta greca (Virgilio vi studiò presso
la scuola di Sirone, stabilendosi più tardi nella villa forse ereditata
dal maestro, e vi fu sepolto). Eretta a municipio nel 90 a.C. e a colonia
sotto Claudio, conservò tuttavia fino al Basso Impero la lingua e le
istituzioni greche. Nel 476 vi fu imprigionato Romolo Augustolo, ultimo
imperatore d'Occidente.
Gli
Ostrogoti sottomisero Napoli senza difficoltà (493), ma la città venne
gravemente danneggiata dalla riconquista bizantina, che si realizzò
faticosamente tra il 536 e il 553. Napoli si risollevò sotto
l'amministrazione bizantina (rappresentata da giudici e duchi) e sotto il
patrocinio dei vescovi, e tanto crebbe in potenza, da respingere tutti i
tentativi di conquista dei Longobardi (581, 592, 599) e da imporsi agli
stessi Bizantini come una base indispensabile per la conservazione dei
loro domini in Italia. In cambio di questa collaborazione, Bisanzio
concesse ai Napoletani un'ampia autonomia, fondata essenzialmente sul
diritto di eleggere il proprio supremo magistrato, il duca. Per questa
via, il vincolo di dipendenza di Napoli dall'imperatore si allentò sempre
più e si ruppe di fatto sotto il duca-vescovo Stefano II (763). Capitale
per quasi quattro secoli (763-1139) di un ducato che si estendeva molto al
di là delle sue mura, Napoli riuscì a salvare la sua libertà e a
sviluppare le sue attività economiche e culturali con una politica ora di
forza ora di accortezza, che ebbe momenti epici nella lotta, assidua e
vittoriosa, contro i musulmani (secc. IX e X) e tortuose vicende nei
complicati e instabili rapporti con le altre forze prementi sul
Mezzogiorno: il papato, il Sacro romano impero, Bisanzio e i principati
locali derivati dal disfacimento del ducato longobardo beneventano. Ma le
esigenze contingenti di tale politica indussero il duca Sergio IV di
Napoli a favorire il primo insediamento ad Aversa (1030) di quei Normanni
che, nel giro di un secolo, sottomisero e unificarono nel regno di Sicilia
tutta l'Italia meridionale, Napoli compresa (1139). La conquista fu
compiuta da Ruggero II, primo re di Sicilia, a prezzo di una lunga lotta,
che nella sua ultima fase impegnò tutto il popolo nella difesa
dell'indipendenza della città. Sotto i re normanni Ruggero II
(1130-1154), Guglielmo I il Malo (1154-1166) e Guglielmo II il Buono
(1166-1189), in mezzo secolo, Napoli si adattò non senza resistenze e
sommosse (anche a sfondo sociale: nobili contro popolani) alla parte non
più di capitale (la capitale del regno era Palermo), ma di capoluogo di
una provincia che conservava il nome di principato di Capua. Ruggero II le
garantì l'autonomia amministrativa (con una forte accentuazione
aristocratica), Guglielmo I ne consolidò le difese (Castel Capuano,
inizio di castel dell'Ovo), Guglielmo II temperò in senso popolare
l'amministrazione. Quest'atto conciliò definitivamente i Napoletani coi
Normanni così che quando, morto Guglielmo II (1189), Enrico VI di Svevia
intraprese la conquista del regno di Sicilia, Napoli si schierò col suo
rivale Tancredi di Lecce cugino di Guglielmo II, che la colmò di
privilegi e di favori, e ne ebbe in cambio leale e generoso aiuto nella
guerra contro lo Svevo, al quale la città si arrese soltanto dopo
un'eroica resistenza (1194). Punita da Enrico VI con la demolizione delle
mura e la revoca di ogni autonomia, la città sopportò di malanimo il
regime dispotico e fiscale di Federico II, peraltro temperato da alcune
illuminate iniziative (fondazione dell'università, 1224, limitazione dei
privilegi nobiliari, incremento dei traffici, ricostruzione delle difese,
ecc.). Dopo la morte di Federico II (1250), partecipò attivamente alla
lotta antisveva promossa dai papi e, pur avendo per qualche tempo
(1254-1266) accettato il dominio di Manfredi, dopo Benevento si sottomise
a Carlo d'Angiò (1266), che proprio a Napoli fece decapitare Corradino,
ultimo rampollo della casa sveva (1268). Sotto la dinastia angioina
(1266-1442) Napoli riacquistò dignità di capitale dopo che la Sicilia,
con la rivolta dei Vespri (1282), passò agli Aragonesi; crebbe il suo
peso politico, crebbero la popolazione, l'area cittadina (arricchita di
nuovi quartieri e monumenti, quali la reggia di Castel Nuovo), le
attività economiche e culturali, favorite, queste, anche dal mecenatismo
dei re, soprattutto di Roberto il Saggio; anche l'amministrazione
cittadina, affidata ai cosiddetti Seggi o Sedili, svolse un'azione
abbastanza efficace. Ma si inasprivano intanto gli squilibri, i contrasti
sociali e il fiscalismo; per di più, dalla morte di Roberto (1343), si
scatenarono quelle lotte dinastiche, che sboccarono nell'affermazione di
Alfonso V (I) il Magnanimo, re d'Aragona e di Sicilia, che conquistò
Napoli dopo un lungo assedio (1441-1442), stroncando le ultime vane
speranze e resistenze degli epigoni della casa d'Angiò. I re aragonesi,
nonostante le loro benemerenze soprattutto nel campo culturale e la loro
magnificenza incontrarono difficoltà nel conquistarsi il favore popolare,
tra l'altro per aver condotto a Napoli un gran numero di Catalani, a
occupare posizioni-chiave nella politica e nell'economia, dove gi`
operavano largamente altri forestieri, di origine francese, toscana,
veneziana. Alfonso V (I) e Ferdinando I (Ferrante) non riuscirono ad
arrestare le crescenti correnti avverse che, dopo l'ammonitrice congiura
dei Baroni (1485-1486), si manifestarono nell'accoglienza trionfale a
Carlo VIII di Francia (1495) e successivamente nelle lotte
franco-spagnole, che si conclusero nel maggio 1503 con l'ingresso di
Consalvo di Cordova, il quale prese possesso di Napoli in nome di
Ferdinando II (III) il Cattolico. Durante il regime dei vicerè spagnoli
(1503-1707), Napoli mantenne una formale autonomia, ebbe una rigogliosa
ripresa urbanistica, prese, soprattutto ai tempi dell'imperatore Carlo V,
respiro di metropoli di importanza e fama internazionali; ma pagò tutto
questo a caro prezzo; tanto più caro quanto più il predominio della
Spagna, dopo l'apogeo, venne declinando nel XVII sec. In un ambiente di
stridenti contrasti culturali ed economico-sociali e sotto il peso di un
fiscalismo sempre più pesante, scoppiò la rivolta popolare legata al
nome di Masaniello (1647), seguita da un infelice esperimento repubblicano
e da un tentativo di occupazione francese e conclusa col ritorno allo statu
quo (1648), con l'aggravante di un tenace strascico di rancori, e di
sussulti politici e sociali, caratterizzati da costanti conflitti tra
nobili e popolani e da mutevoli atteggiamenti degli uni e degli altri nei
confronti dei dominatori spagnoli. Il passaggio dalla dominazione spagnola
all'austriaca, durata dal 1707 al 1734, non modificò la formula del
regime vicereale, nè le condizioni generali della popolazione; suscitò
anzi qualche rimpianto del passato, tanto che l'avvento di Carlo III (VII)
di Borbone (1734-1759), figlio del re di Spagna Filippo V, vincitore degli
Austriaci e istauratore della nuova dinastia, fu accolto dai Napoletani
con largo favore, come inizio della restaurazione della città nel rango
di capitale di un regno indipendente e sovrano. I Borboni non delusero le
aspettative dei loro nuovi sudditi: Carlo e il suo successore Ferdinando
IV diedero un notevole impulso alla vita della città sotto ogni aspetto:
politico-amministrativo, monumentale, soprattutto culturale (G. B. Vico e
gli illuministi Genovesi, Galiani, Pagano, Filangieri, ecc.) e
intrapresero alcune riforme d'ispirazione illuministica. La Rivoluzione
francese e le conseguenti guerre coinvolsero Napoli, dove si susseguirono
l'effimera Repubblica Partenopea (1799), espressione della volontà di
un'esigua minoranza "giacobina" senza radici nella popolazione,
e l'occupazione francese, che portò al trono prima Giuseppe Bonaparte,
poi Gioacchino Murat. Nel periodo francese (1806-1815), la citt` ebbe
nuova amministrazione (i decurioni, per altro già introdotti da
Ferdinando IV nel 1800) e nuovo incremento urbanistico e culturale; ma
ciò non bastò a far dimenticare, soprattutto al popolo minuto e al
clero, la vecchia dinastia riparata a Palermo. Perciò la restaurazione
dei Borboni, ora in veste di re delle Due Sicilie (Ferdinando IV, ora I,
Francesco I, Ferdinando II, Francesco II, dal 1815 al 1860), fu accolta
con soddisfazione dalla maggioranza della popolazione. La città di
Napoli, nonostante lo spirito retrivo e l'inerzia dei re, continuò a
progredire: a Napoli fu costruito il primo battello a vapore (Ferdinando
I, 1818), inaugurata la prima ferrovia (la Napoli-Portici, 1839), adottate
le prime comunicazioni telegrafiche d'Italia; nel 1848 la marina
napoletana era la terza d'Europa, i traffici, specialmente marittimi,
prosperavano, il costo della vita era modesto e la tassazione media tenue.
Nel campo della cultura, basterà ricordare Francesco De Sanctis, Luigi
Settembrini, Bertrando Spaventa, e molti insigni politici, tutti più o
meno attivamente partecipi al movimento risorgimentale. A questo Napoli
concorse coi moti del 1820-1821 e del 1848, entrambi tragicamente falliti;
le iniziative liberali di Francesco II (concessione della costituzione,
giugno 1860) anticiparono di pochi mesi la conquista di Garibaldi (7
settembre) e la formale annessione del regno agli Stati sabaudi
(plebisciti dell'ottobre). Da quel momento la storia di Napoli si
inserisce nella storia d'Italia: tra le benemerenze della città, duramente
provata dai bombardamenti nella seconda guerra mondiale, meritano ricordo
le quattro giornate di lotta popolare, che la liberarono dall'occupazione
tedesca (25-28 settembre 1943).
ERCOLANO,
POMPEI E IL VESUVIO
<<Subito
dopo Neapolis c’è la fortezza di Herculaneum, che occupa un promontorio
che si protende sul mare assai battuto dal Libeccio, così da rendervi
salubre l’insediamento. Gli Oschi occupavano sia Neapolis sia la vicina
Pompei presso cui scorre il fiume Sarno, poi la occuparono i Tirreni ed i
Pelasgi e, dopo questi, i Sanniti. Pure questi ultimi, però, furono poi
cacciati dal posto.
Porto di
Nola, Nuceria ed Acerrae (che ha lo stesso nome di una località vicina a
Cremona) è Pompei, presso il fiume Sarno su cui si importano e si
esportano mercanzie.
Sopra
questi luoghi si leva il monte Vesuvio, interamente occupato tutt’intorno,
salvo che alla sommità, da campi bellissimi. La sommità stessa è per
buona parte piana, ma del tutto sterile, dall’aspetto cinereo; essa
mostra delle cavità con fessure, che si aprono su rocce fuligginose in
superficie come fossero state divorate dal fuoco. Così uno potrebbe
supporre che questo luogo precedentemente bruciasse e avesse crateri di
fuoco che poi si estinsero, una volta venuta meno la materia da ardere.
Forse questo è anche motivo della fertilità della terra lì intorno […]
Il suolo è ricco infatti di sostanza grassa e di terra bruciata anch’essa
atta a produrre frutti. Pertanto, quando la terra è sovrabbondante di
grasso, è adatta a prender fuoco, come ogni sostanza solforosa e dopo che
si è inaridita e spenta, trasformata in cenere, diviene adatta alla
produzione.>> [tr. AA.VV.]
Ma
giunse il fatidico 79 d.C.: ecco la descrizione del fenomeno in una
lettera inviata all’amico Tacito da Plinio il Giovane!
<<Mio
zio [Plinio il Vecchio] si diresse alla spiaggia per vedere se era
possibile imbarcarsi, ma il mare era tempestoso ed impraticabile. Allora
si distese su una coperta, chiese dell’acqua e bevve due volte. Intanto
le fiamme si avvicinavano e si sentiva un forte odore di zolfo che mise in
fuga tutti gli altri. Egli si riscosse e, nello stesso momento in cui due
servi lo aiutavano a levarsi in piedi, morì: io credo che il vapore che
andava sempre più aumentando gli impedì di respirare e gli serrò lo
stomaco […] Cominciava a piovere cenere, ma non ancora fitta. Vidi
dietro le mie spalle una densa foschia che, spargendosi per terra come un
torrente, ci incalzava. Pensai: è meglio che cambiamo strada prima di
essere travolti dalla folla che ci viene dietro. Improvvisamente si fece
notte, ma non una notte nuvolosa e senza luna: era come quando ci si trova
in un luogo chiuso senza lume. Si sentivano i gemiti delle donne, le urla
dei bambini, le grida dei mariti: chi cercava a gran voce il padre, chi il
figlio, chi il consorte; alcuni lamentavano il proprio destino, altri
quello dei propri cari; c’era chi invocava la morte, chi pregava gli
dei, ma molti dicevano che gli dei non c’erano più e che quella era l’ultima
notte del mondo. Né mancavano quelli che con paure immaginarie
aumentavano il pericolo. Alcuni dicevano mentendo che venivano da Miseno e
che era tutta una rovina, completamente incendiata. Fece un po’ di
chiaro, ma non sembrava giorno, sembrava piuttosto la luce del fuoco che
si avvicinava. Ma poi il fuoco si fermò più lontano e noi ripiombammo
nell’oscurità e nella nuvola di cenere. Ogni tanto ci alzavamo per
scuotercela di dosso, altrimenti ne saremmo stati coperti. Finalmente
quella foschia si attenuò e svanì come fumo o nebbia. Finalmente si fece
giorno ed apparve anche il sole, scolorito come se ci fosse l’eclisse.
Tutto appariva mutato e coperto da un monte di cenere, come se fosse
nevicato. Le scosse di terremoto continuavano e molti, fuori di senno,
ridevano della propria disgrazia e dell’altrui.>>
POMPEI
Pompèi,
comune della Campania (prov. Napoli), a 12 m d'alt. alle falde meridionali
del Vesuvio, a 25 km da Napoli; 12,41 km²; 22.934 ab. ( Pompeiani). Sede
vescovile (prelatura). Centro religioso e turistico, Pompei vive
essenzialmente dell'apporto dei pellegrini e dei turisti, richiamati dal
santuario, meta di foltissimi pellegrinaggi (in particolare in maggio e
ottobre), dal fascino dell'antica città dissepolta e dalla fonte
idrotermale (acqua fredda bicarbonatoalcalina). Oltre all'industria
turistico-alberghiera, attive sono a Pompei l'industria tessile
(confezioni), cartaria, poligrafica, alimentare (biscotti, paste
alimentari), della fabbricazione di oggetti sacri e oggettini-ricordo, la
manifattura di tabacchi. Il territorio circostante, bonificato, produce
ortaggi, uva, frutta, tabacco. — In frazione Pompei Scavi (16 m d'alt.;
644 ab.), annuali manifestazioni artistiche e spettacoli classici, durante
la stagione estiva, nel Teatro Grande.
La
città moderna si sviluppò con il nome di Valle di Pompei (nella piana
allora paludosa e malsana, infestata dai briganti e abbandonata alle
rovine) presso l'antica città distrutta dal Vesuvio, attorno al santuario
fondato l'8 maggio 1876 dal servo di Dio avvocato Bartolo Longo, per
custodire la venerata immagine della Madonna del Rosario. Collegati al
santuario, terminato nel 1891, ampliato nel 1933-1939, sono vari istituti
assistenziali (ospizi, orfanotrofi, ecc.). Per l'osservazione scientifica
dell'attività del Vesuvio, sorgono a Pompei l'osservatorio geodinamico e
l'importante osservatorio vesuviano.
Archeologia
La
città dissepolta di Pompei costituisce uno dei centri archeologici più
famosi e suggestivi dell'antichità, offrendo un'eccezionale
documentazione della vita di un centro romano in piena fioritura al
momento della catastrofe e rimasto immutato attraverso i secoli sotto la
coltre di ceneri e lapilli della più famosa tra le eruzioni del Vesuvio,
quella del 79 d.C. La città sorgeva infatti su un terrazzamento lavico di
età remota, prospiciente la piana del Sarno, sul cui estuario è stato
identificato lo scalo marittimo della zona. È probabile però che il
porto e il litorale fossero anticamente più vicini alla città. I tre
giorni del cataclisma fecero depositare su Pompei materiali eruttivi per
uno spessore di 4 m circa, in cui appaiono riconoscibili uno strato
inferiore di lapilli e uno superiore di cenere mista ad acqua, che
provocò i crolli delle coperture e la parziale colmata degli interni.
Nuove sedimentazioni occultarono per secoli la città sepolta fino alla
primavera del 1748, quando, sotto il regno di Carlo di Borbone,
l'ingegnere Alcubierre, venuto a conoscenza dei numerosi trovamenti che si
facevano nella zona, diede inizio agli scavi, che rivelarono solo nel 1763
la vera identità del luogo. L'esplorazione archeologica, continuata
ininterrottamente per duecento anni, costituisce, per mutamenti di
finalità e di metodi, una delle più complesse imprese di
disseppellimento e di restauro che siano mai state attuate. Infatti dopo i
primi scavi disordinati, rivolti unicamente al reperimento di opere d'arte
e non curanti del valore storico e documentario di oggetti apparentemente
insignificanti (che andarono così irrimediabilmente perduti), iniziarono,
soprattutto per merito di Giuseppe Fiorelli, le ricerche sistematiche,
condotte con sempre maggiore rigore scientifico, in modo da permettere
un'opera di ricostruzione e di restauro il più possibile fedele
all'originale. Come esempio si può citare l'esatta riproduzione dei
giardini, ottenuta mediante il calco dell'impronta lasciata dalle radici e
dai tronchi delle piante nello strato di ceneri (così fu possibile
stabilire, per es., che la palestra era circondata da alti platani).
Nel 1960
erano stati riportati alla luce i tre quinti dell'area complessiva della
città. L'impianto urbanistico, diverso a seconda delle zone, presenta un
reticolato nel complesso alquanto irregolare, con insulae di forme
varie e vie talora ad andamento curvilineo, in parte pavimentate, in parte
in terra battuta, con profondi solchi per il passaggio dei carri e pietre
per l'attraversamento da un marciapiede all'altro.
I
caratteri salienti della città risalgono a epoca sannitica, allorché
Pompei fu dotata di una poderosa fortificazione con porte e torri, per un
perimetro di 3 km circa, databile a partire dal VI sec. a.C.; la cinta
primitiva in seguito fu più volte restaurata e rafforzata; in età
imperiale romana alcuni tratti ne furono abbattuti per lasciar posto ad
abitazioni, mentre le porte venivano aperte e adattate al traffico (Porta
Marina, porta Ercolano). Dopo il periodo più propriamente italico, il
tessuto urbano di Pompei ricevette orientamenti e influssi
dell'architettura ellenistica; il suo aspetto nel primo secolo dell'Impero
appariva fastoso, ricco di singolare decoro dell'ornamentazione degli
edifici pubblici e privati. Il reperimento di tale area urbana ci ha
offerto del resto la più straordinaria documentazione sulle strutture e
le tecniche usate nell'antichità; i materiali impiegati variano dalla
lava tenera alla lava trachitica, insieme con il tufo proveniente dalle
cave di Nocera; di largo uso era la calce mischiata alla pozzolana nella
tecnica dell'opera a sacco e dell'opera reticolata; il marmo appare invece
riservato a ninfei e fontane, o alla pavimentazione e ai rivestimenti
delle dimore signorili. La divisione in quartieri, tramandata dall'età
sannitica, è stata ricostruita attraverso le iscrizioni a noi pervenute;
ugualmente ci è nota la costituzione di villaggi suburbani, dovuta ai
traffici terrestri e marittimi; sono state messe in luce le tubazioni
provenienti dal cosiddetto castello delle acque in cui confluiva la massa
idrica derivata dall'acquedotto del Serino, nonché i pilastri elevatori e
i bacini delle fontane, solitamente assai semplici, posti agli incroci
delle vie.
Il
principale luogo di convegno nella città era il Foro, situato nella zona
occidentale, su un'area pianeggiante, che un tempo era stata sede del
mercato; al momento della catastrofe presentava un aspetto grandioso,
cinto da portici tutt'intorno per un perimetro di 142´38 m; su uno dei
lati minori era il Capitolium o tempio di Giove e della Triade
Capitolina; aveva un alto podio, colonne corinzie e ampio pronao; nella
cella è stato rinvenuto un torso colossale del dio, danneggiato dal
terremoto. Di fronte era la curia; sulla piazza si allineavano inoltre
l'edificio degli edili, la basilica, per l'amministrazione della
giustizia, il tempio di Apollo, il mercato coperto, il larario pubblico,
il tempio di Vespasiano, l'edificio di Eumachia (officina per la
lavorazione della lana che prendeva nome dalla proprietaria), e infine il Comitium,
per le elezioni dei magistrati; due archi trionfali, ai lati del Capitolium,
erano d'accesso alla piazza, ornata dalle statue in bronzo e in marmo
degli imperatori e dei cittadini più illustri; tali sculture erano già
in parte distrutte in seguito al terremoto dell'anno 63. La basilica, a
pianta rettangolare (55´24 m) e divisa in tre navate, delle quali quella
centrale, sopraelevata sulle laterali, consentiva l'illuminazione
dall'alto attraverso una serie di finestre, è stata datata intorno alla
metà del II sec. a.C.; presenta sul fondo un interessante esemplare di tribunal
su podio, oggi in parte ricostruito. Il tempio di Apollo risale invece a
età sannitica, rifatto sulle fondamenta di una preesistente costruzione
del VI-V sec. a.C., come appare attestato dal copioso materiale ritrovato
nella stipe votiva e attribuibile ai Greci della vicina Cuma. Il larario
pubblico, di recente edificazione al momento del disastro, presenta una
caratteristica pianta absidata, e il tempio di Vespasiano, a esso
adiacente, documenta le forme del culto imperiale in provincia.
Non meno
interessante è l'assembramento degli edifici presso il cosiddetto Foro
triangolare nella zona meridionale della città, ove sono stati
identificati la caserma dei gladiatori, il teatro, l'odeon e la palestra.
Quest'ultima, detta sannitica, per l'iscrizione osca che vi è stata
rinvenuta, relativa al nome del fondatore, era circondata da un peristilio
e custodiva una replica del Doriforo; fu più tardi sostituita da un'aerea
porticata di maggiori dimensioni.
I
teatri, assai prossimi e ugualmente orientati, furono costruiti a distanza
di un secolo l'uno dall'altro; il teatro propriamente detto appartiene al
periodo immediatamente successivo alla seconda guerra punica; in seguito
conobbe abbellimenti e ripetuti restauri fino alle ultime ricostruzioni
posteriori al terremoto del 63. L'odeon, a esso congiunto attraverso
l'area di un quadriportico coperto da un tetto a spioventi e riservato
alle audizioni musicali, costituisce invece l'esempio di un edificio di
carattere omogeneo, assai simile ai suoi modelli ellenistici. Non lontano
dal teatro sorgono due templi, l'uno dedicato a Zeus Meilichios, come
attesta un'iscrizione osca, e l'altro a Iside; quest'ultimo, databile al I
sec. a.C., è di particolare interesse in quanto singolarmente conservato
nelle strutture e negli arredi. Se il culto della dea Iside appare
particolarmente fervido negli ultimi anni di Pompei, un'altra antichissima
divinità italica risulta venerata dagli abitanti della città campana: si
tratta della cosiddetta Venere fisica, sentita come espressione della
potenza della natura; un santuario a lei elevato è stato scoperto nel
settore sudoccidentale della città, in fase di grandioso ampliamento al
momento dell'eruzione. Scarsi avanzi restano invece di un tempio greco
arcaico dedicato a Ercole nella zona sudorientale dell'abitato; il tempio,
le cui fondazioni risalgono al VI sec. a.C., fu distrutto e non più
ricostruito in seguito al terremoto del 63.
Un'interessante
documentazione di architettura termale è offerta dai grandiosi impianti
delle Terme stabiane, dalle terme del Foro e dalle Terme centrali. Le
Terme stabiane, considerate le più antiche e le più vaste, sorgevano nel
quartiere del teatro; come tutti gli edifici di questo genere presentavano
sulla strada un allineamento di tabernae; all'interno si
articolavano invece, funzionalmente disposti, i settori dei bagni maschili
e femminili, la palestra, la piscina, i portici, i rifornimenti idraulici,
i servizi igienici e di riscaldamento. Né dovevano mancare le
ornamentazioni, assai meglio conservate però nelle minori terme adiacenti
al Foro, come sono visibili nella bella sala del tepidario decorata a
stucco e pittura. Le Terme centrali, rimaste incompiute e riservate
soltanto agli uomini, presentano l'innovazione delle grandi finestre
vetrate che si affacciano sulla palestra, e rappresentano un più evoluto
grado di funzionalità.
Tra gli
edifici pubblici di Pompei merita particolare attenzione per l'antica
struttura, non mai modificata, il grandioso anfiteatro databile al I sec.
a.C., nei primi anni della colonia romana; la mancanza dei sotterranei fa
pensare che in un primo tempo l'arena fosse destinata unicamente a lotte
tra gladiatori; solo in seguito furono probabilmente introdotte cacce con
belve feroci. In età augustea presso l'anfiteatro fu allestita una
seconda palestra, detta romana, con mura e un triplice portico all'interno
e una grande piscina al centro.
Arte
La
pittura pompeiana costituisce la più ricca decorazione parietale a noi
pervenuta del mondo antico, databile dalla fine del II sec. a.C. al 79
d.C. La larga diffusione dei dipinti, la varietà dei soggetti, i diversi
procedimenti tecnici e le evoluzioni stilistiche hanno indotto gli
studiosi a classificare secondo diversi stili le opere rinvenute in
duecento anni di esplorazioni archeologiche. Manca invece qualunque
documentazione letteraria ed epigrafica, che induca a riconoscere e
individuare qualche personalità tra quelle dei vari pittori che diedero
vita, con maestranze campane, all'interessante serie decorativa. Accanto
agli affreschi e alle opere a encausto erano di particolare interesse i
quadri da cavalletto inseriti in appositi incavi della parete; decorazioni
a narrazione continua sono state rinvenute nella villa dei Misteri, con il
grande fregio a carattere religioso che corre sulle pareti di una sala,
analogamente a quello della vicina villa di Boscoreale, con una scena che
richiama il lontano splendore delle corti ellenistiche. Frequentemente i
soggetti sono ispirati a divinità ed eroi del mito greco, con particolare
predilezione per episodi del ciclo omerico; scene della vita quotidiana e
della commedia sono riservate invece ad ambienti meno centrali o a
pannelli minori. Nei ritratti a medaglione è notevole l'affermarsi della
vena realistica (ritratto di Paquio Proculo e di sua moglie); scorci di
paesaggi, forse ispirati al vero, con vedute di casali, ville, portici e
marine, si affiancano a scene nilotiche di pura fantasia o di maniera;
elementi esotici appaiono del resto anche nelle frequenti rappresentazioni
di cacce. Selvaggina, frutta e suppellettili della mensa costituiscono i
soggetti di numerose nature morte; frequenti sono le riproduzioni dei
lari, dipinti in un'edicola o in una nicchia; né mancano esempi di
pubblicità murale, richiesta da botteghe e officine.
I grandi
mosaici pompeiani, adibiti prevalentemente a ornamentazioni pavimentali,
costituiscono un altro reperto di eccezionale interesse; dai più antichi,
formati da accostamenti di ciottoli fluviali o marini, fino alle grandi
composizioni figurate di ispirazione ellenistica, Pompei ci ha restituito
non solo una testimonianza incomparabile dell'evoluzione dell'arte musiva,
ma esecuzioni tra le più significative e imponenti (casa del Fauno,
mosaico della Battaglia di Alessandro; casa del Poeta tragico, casa del
Labirinto). Tessere prevalentemente vitree appaiono usate nei non numerosi
mosaici parietali, specie in fontane e ninfei.
VESUVIO
Vesuvio,
vulcano della Campania, appartenente all'Antiappennino Campano, che si
eleva maestoso, dominando il golfo di Napoli, poco a E-SE della città;
culmina a 1.277 m. È l'unico vulcano attivo del continente europeo
(escluse le isole) e uno tra i più interessanti di tutto il mondo. Tipico
esempio di vulcano a recinto, è costituito da un cono esterno tronco
(monte Somma), con grande cinta craterica in parte demolita, entro la
quale si trova, in posizione eccentrica, un cono più piccolo (Gran Cono o
Vesuvio) ma più elevato della cinta suddetta. Il monte Somma, avanzo di
un edificio vulcanico più antico, ha un diametro craterico di 4 km circa
e raggiunge un'altezza di 1.132 m nella Punta del Nasone. Il Gran Cono o
Vesuvio propriamente detto, rilievo culminante di tutto l'apparato, di
formazione più recente e attivo, ha un cratere di 700 m di diametro. Il
bastione semicircolare del Somma e il Gran Cono sono separati da un
avvallamento lungo 5 km e largo 500 m, denominato valle del Gigante
(distinta in Atrio del Cavallo a ovest e valle dell'Inferno a est), che
rappresenta l'antica caldera dove in seguito si formò il Gran Cono. Il
Vesuvio, caratteristico vulcano poligenico e misto, ossia costituito da
lave di composizione chimica diversa (ad esempio trachiti, tefriti,
leucititi, ecc.) e formato sia da colate di lava sia da depositi
piroclastici, è pervenuto alla configurazione attuale attraverso vari
periodi successivi. All'inizio dell'era quaternaria (seconda fase eruttiva
dei Flegrei) un'eruzione di trachiti fu all'origine del primitivo monte
Somma; altri due parossismi si verificarono tra il 6000 e il 3000 circa
a.C. e tra il 3000 e l'inizio dell'era cristiana, dando luogo soprattutto
a emissioni di basalti leucitici. Successivamente, dopo un lungo periodo
di quiete, l'attività vulcanica si manifestò mediante scosse di
terremoto che precedettero, a partire dal 5 febbraio del 63 d.C.
(terremoto descritto da Seneca), la terribile eruzione verificatasi il 24
agosto del 79, durante la quale furono completamente distrutte nonché
sepolte da una spessa coltre di cenere, lapilli e lava le tre fiorenti
città di Ercolano, Pompei e Stabia. Questa eruzione, definita pliniana,
che secondo alcuni diede origine all'attuale Gran Cono del Vesuvio, fu la
prima storicamente datata e documentata in una celebre lettera a Tacito
scritta da Plinio il Giovane, che nel cataclisma perdette lo zio, Plinio
il Vecchio, vittima della propria passione di naturalista. Tra le eruzioni
successive si ricordano quelle del 202, 472, 685, 1036, 1139, e quella
violentissima del 16 dicembre 1631, che distrusse la maggior parte degli
abitati situati ai piedi del vulcano, provocando circa 18.000 vittime e
durante la quale la lava raggiunse il mare. L'attività del Vesuvio venne
nuovamente segnalata nei secc. XVII, XVIII e XIX (1822, 1855, 1858, 1861,
1872). Seguirono altre eruzioni che trasformarono completamente la sagoma
del cratere; dopo il violento parossismo del 1906, durante il quale furono
eruttati milioni di metri cubi di lava, si determinò infatti sul Gran
Cono una paurosa voragine craterica. L'ultima eruzione avvenne nel marzo
1944: furono emessi 21 milioni di m³ di lava, distrutti numerosi centri
abitati e le ceneri giunsero fino in Albania. Attualmente si hanno
manifestazioni fumaroliche intra ed extracrateriche. Sulle pendici del
versante di Napoli, a 608 m d'alt., si trova il celebre osservatorio
vesuviano (già diretto, fra gli altri, da M. Melloni, Luigi Palmieri, G.
Mercalli, A. Malladra), fondato nel 1841-1845, con annessa biblioteca
vulcanologica e piccolo museo vesuviano. Nei pressi, a 750 m d'alt., è la
stazione d'arrivo della ferrovia Vesuviana, in parte a cremagliera (attiva
fino al 1956), proveniente da Pugliano, dove s'innesta con la ferrovia
Circumvesuviana (120 km di rete a scartamento ridotto), e a 754 m si trova
la stazione inferiore della seggiovia (la vecchia funicolare fu distrutta
dall'eruzione del 1944) che porta poco al di sotto dell'orlo craterico del
Vesuvio. Una strada panoramica (13 km) permette di raggiungere la stazione
inferiore della seggiovia. - Le pendici del Vesuvio, regolari e
fertilissime, sono ricoperte di vegetazione spontanea (fichi d'India e
arbusti) e di colture redditizie: ortaggi, frutta, viti (produzione di
vino pregiato lacrima Christi). Numerosi villaggi e grandi centri abitati
sorgono intorno al vulcano ai piedi e sulle pendici sino a 200 m circa
d'alt. Portici, Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata, lungo la
costa; inoltre, Boscotrecase, Pompei, San Giuseppe Vesuviano, San Gennaro
Vesuviano, Ottaviano, Somma Vesuviana, Sant'Anastasia, San Sebastiano al
Vesuvio, ecc. Movimento turistico intenso.
LE ISOLE DEL
GOLFO
<<Davanti
a Capo Miseno c’è l’isola di Prochyta , che è un frammento
staccatosi da Pitecusa .
Pitecusa
fu colonizzata da Eretriesi e Calcidesi , ma costoro, benchè vivessero
nella prosperità grazie alla fertilità della terra ed alle sue miniere d’oro,
abbandonarono l’isola in seguito a lotte e poi anche perché cacciati da
terremoti di fuoco, di mare e di acque bollenti: l’isola va in effetti
soggetta a tali esalazioni, a causa delle quali anche quanti erano stati
inviati da Ierone , tiranno di Siracusa, lasciarono la fortezza da essi
costruita e l’isola; infine la occuparono alcuni abitanti di Neapolis
giunti fin qui. Deriva da tali fenomeni anche il mito secondo cui Tifone
giacerebbe sotto quest’isola; quando egli si agita farebbe venir su le
fiamme e le acque e talvolta anche piccole isole con getti d’acqua
bollente. […] Quanto a Pitecusa in particolare, Ti- meo dice che dagli
antichi sono raccontate molte cose straordinarie e che poco prima di lui
il colle Epopeo , nel mezzo dell’isola, scosso dai sismi abbia vomitato
fuoco e rigettato verso il largo tutta la terra fra esso ed il mare. Una
parte di terra ridotta in cenere si era prima sollevata, poi di nuovo era
piombata sull’isola come un tifone ed il mare era retrocesso per tre
stadi; in seguito, dopo essere retrocesso, si era rivolto ancora indietro
ed il suo riflusso aveva sommerso l’isola così che il fuoco in essa si
estinse: per il fragore quelli che abitavano sul continente fuggirono
dalla costa verso l’interno della Campania. Sembra che le acque termali
che si trovano là guariscano quanti soffrono di calcolosi.
L’isola
di Capri aveva anticamente due piccole città , ma poi ne rimase una sola.
I napoletani occuparono anche questa; avendo perduto in seguito ad una
guerra Pitecusa, poi la ottennero di nuovo , quando la restituì loro
Cesare Augusto, il quale fece invece di Capri sua proprietà personale e
vi costruì una residenza. Queste sono le città del litorale campano e le
isole che stanno di fronte ad esso.>> [tr. da Strabone AA.VV.]
ISCHIA
Ischia,
la maggiore delle isole partenopee, situata all'imbocco nordoccidentale
del golfo di Napoli; 46,5 km²; 46.278 ab. Lunga 10 km e larga circa 7, ha
forma quasi trapezoidale. Di natura vulcanica, geneticamente collegata
alla regione dei Campi Flegrei, culmina nel monte Epomeo (789 m), la cui
ultima eruzione risale al 1301. Le coste sono frastagliate, con pareti
alte alternate a brevi tratti di spiaggia. Anche la morfologia interna è
molto movimentata, perché la forma conica dell'Epomeo è stata alterata
dai crateri avventizi e dall'erosione, favorita dalla prevalenza dei tufi.
Numerosi terremoti colpirono l'isola in varie epoche; ben quindici se ne
ebbero nel XIX sec., tra i quali disastroso quello del 1883, che distrusse
Casamicciola e fece 2.000 vittime. Oggi si manifestano solo fenomeni di
vulcanesimo secondario: fumarole e soprattutto sorgenti termali note fin
dall'antichità (sono ricordate da Strabone, Plinio il Vecchio e Stazio).
Il clima è molto mite, con una temperatura media di 10 °C in inverno e
23 °C in estate (media annua: circa 17 °C). Le precipitazioni non
raggiungono i 1.000 mm all'anno. La popolazione, assai fitta (742 ab. per
km²), si addensa prevalentemente nella fascia costiera ed è distribuita
in sei comuni: Ischia, il principale, Barano, Casamicciola Terme, Forio,
Lacco Ameno e Serrara Fontana (prov. Napoli). Il suolo, assai fertile, fa
prosperare vigneti, che danno rinomati vini (vini dell'Epomeo); agrumeti,
frutteti, orti. Anche la pesca offre una buona risorsa, mentre nuove e
ampie possibilità sono state aperte dal forte incremento del turismo, che
si avvale della bellezza e varietà dei luoghi, dell'ottima attrezzatura
alberghiera e della possibilità di cure termali (fanghi, ecc.).
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