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La battaglia di Salamina

(Eschilo, I Persiani, vv. 353 - 514)

353 / 373

MESSAGGERO: Diede inizio ad ogni male, o padrona, uno spirito vendicatore od un cattivo demone, apparso chissà da dove.

Un Greco infatti, dell’esercito degli Ateniesi, presentatosi disse a tuo figlio questo, che, appena fosse giunta la tenebra della scura notte, i Greci non sarebbero restati, ma, balzati sui banchi delle navi, chi qua chi là in clandestina fuga avrebbero salvato la vita.

E quello, subito, appena l’ebbe udito, non accorgendosi dell’inganno del Greco, nè dell’invidia degli dei, dà il seguente ordine a tutti i navarchi: che, quando il sole avesse smesso di ardere con i raggi la terra, ed il recinto dell’aria avesse accolto la tenebra, disponessero il grosso delle navi su tre file, a bloccare le uscite e le vie marine, ed altre ne disponessero in cerchio attorno all’isola di Aiace; perchè, se i Greci avessero cercato di fuggire la cattiva sorte, trovato un qualche varco di nascosto per le navi, per tutti era stabilito d’essere privati della testa.

Tanto disse troppo fidando nel suo animo; non sapeva infatti quanto gli era preservato dagli dei.

374 / 395

E quelli non disordinatamente, ma con animo disposto all’obbedienza, prepararono il pasto, e quindi ogni marinaio legò il remo allo scalmo ben fatto.

Ma quando si spense la luce del sole, e sopraggiunse la notte, ogni uomo addetto al remo salì sulla sua nave, e così ciascun armato; e l’una schiera della lunga nave dava la voce all’altra; e navigano ciascuno com’era stato stabilito.

Per tutta la notte i capitani delle navi fecero incrociare l’armata tutta sul mare.

E la notte giunse, e l’esercito dei Greci per niente da nessuna parte, si disponeva alla furtiva uscita.

Quando poi, chiaro, il giorno si riversò su tutta la terra, fulgido a vedersi, in primo luogo forte un grido da parte dei Greci a guisa di canto risuonò, ed alto immediatamente lo ripetè l’eco tra le rupi dell’isola; e paura si impossessò dei barbari tutti, delusi nei loro intendimenti; infatti non come per fuga allora i Greci levavano il sacro peana, ma movendo alla battaglia con animo forte; la tromba con il suo suono ogni cosa infiammava intorno.

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Subito col colpo del remo risonante colpivano il mare mugghiante dietro comando, ed all’improvviso furono tutti in vista.

L’ala destra avanzava per prima bellamente, ordinatamente, poi veniva l’intera flotta, ed era dato nello stesso tempo d’udire un gran gridare: "O figli dei Greci, andate, liberate la patria, liberate i figli, le mogli, le sedi dei patrii dei, e le tombe degli avi; ora la battaglia è per la vita!".

Da parte nostra uno strepito in lingua persiana rispondeva; e non più era tempo di indugiare, ma subito nave contro nave spingeva il suo apparato bronzeo.

Diede inizio all’assalto una nave greca, che fracassa tutti gli aplustri di una nave fenicia; ma ormai chi qua chi là spingeva la nave.

412 / 434

In un primo momento in verità la marea dell’esercito persiano resistette; ma poichè una grande quantità di navi si trovò concentrata in un luogo angusto, e nessun aiuto reciproco poteva esserci, ma si colpivano tra loro stessi con cozzi dei rostri di bronzo, allora spezzarono tutto intero l’apparato remiero, mentre le navi greche accortamente in cerchio all’intorno colpivano, e gli scafi delle navi venivano capovolti, nè era dato più vedere il mare, coperto di rottami e di uomini uccisi.

Ma erano coperti di cadaveri anche le spiagge e gli scogli.

In fuga disordinatamente ogni nave fuggiva, quante invero appartenevano all’esercito barbaro.

E quelli (i Greci), come tonni od una retata di pesci, con frammenti di remi e con pezzi di rottami li colpivano, spezzavano loro la schiena; un pianto misto a gemiti si sparse per la distesa marina, finchè l’occhio della nera notte li fermò.

Le molte sventure, neppure se parlassi di seguito per dieci giorni, riuscirei ad elencarle tutte.

Ma questo sappi, che mai in un solo giorno è finita una così grande moltitudine di uomini

ATOSSA: Ahimè, un gran mare di guai si è abbattuto sui Persiani e sull’intera stirpe dei barbari.

435 / 454

M: Ma sappi che non ancora a mezzo è la sventura; tale un cumulo di sofferenze si abbattè su di essi, che anche due volte compensa con l’inclinazione i mali narrati.

A: E quale sorte può essere più odiosa di questa? Narra qual è questa sventura, che dici essersi abbattuta sull’esercito, inclinante a maggiori mali.

M: Dei Persiani quanti erano nel fiore dell’età, eletti d’animo e segnalati per nobiltà, tra i primi sempre per lealtà nei confronti del proprio padrone, sono morti turpemente, della più ingloriosa morte.

A: Ahimè, per la grave sciagura, amici!, ma di qual morte dici che sono periti?

M: Vi è un’isola dinanzi alle spiagge di Salamina, piccola, senza porti, che Pan percorre, Pan che ama le danze, nelle zone marine.

Qui (Serse) manda questi (giovani), affinchè, quando caduti dalle navi i nemici si fossero salvati sull’isola, facessero a pezzi l’esercito dei Greci divenuto docile, e salvassero viceversa gli amici dai guadi marini; mal prevedendo il futuro!

454 / 479

Quando infatti la divinità diede ai Greci la gloria della battaglia navale, subito questi, ricoperto il corpo di bronzee armi, saltarono giù dalle navi; quindi circondarono all’intorno l’intera isola, in maniera che (i Persiani) non sapevano dove volgersi.

Per lo più infatti venivano colpiti con sassi (lanciati) dalle navi, e intanto i dardi scagliati dal nervo dell’arco facevano strage; alla fine, sbarcati con un assalto simultaneo, colpiscono, fanno a pezzi le membra dei poveretti, fino a che posero termine alla vita di tutti.

Pianse Serse nel vedre l’abisso dei mali: occupava infatti un posto in buona posizione sopra tutto l’esercito, un alto colle vicino al mare tempestoso.

Lacerate le vesti, tra acuti gemiti, subito, dato l’ordine all’esercito di terra, si dà a fuga precipitosa.

Questa sventura a quella di prima ti è dato di piangere.

A: Odioso demone, quanto ingannasti i Persiani; amara vendetta dell’ìnclita Atene prese mio figlio!

Non erano bastati i morti che aveva fatto in precedenza Maratona!

Di questi mio figlio credendo di trarre vendetta, attirò su di sè così grande cumulo di mali!

Ma tu dimmi, le navi sfuggite al disastro, dove le hai lasciate? Sai dirlo con certezza?

480 / 499

M: Ma i duci delle navi superstiti in fretta seguendo il vento si danno a fuga disordinata; mentre la rimanente parte dell’esercito o nella terra dei Beoti periva, alcuni presso confortevole fonte abbattuti dalla sete, altri ansanti per la fatica, ...

Passiamo nella terra dei Focesi e nella Doride e nel golfo Maliaco, là dove lo Spercheo inonda i campi di feconde acque.

Quindi ci accolsero, privi di cibo, le pianure dell’Acaia e le città tessaliche; qui moltissimi morirono per sete e fame: c’erano ambedue queste (calamità) infatti.

Venimmo alla terra di Magnesia e nella regione dei Macedoni, al guado dell’Assio, quindi ai canneti palustri di Bolbe, e al monte Pangeo, terra degli Edoni.

Quella notte un dio scatenò una tempesta fuori stagione, per cui gela tutta intera la corrente del sacro Strimone.

Chi mai prima aveva creduto nell’esistenza degli dei, allora li supplicò con preghiere, invocando cielo e terra.

500 / 514

Quando ebbe finito di rivolgere molte preghiere agli dei, l’esercito avanza sulla strada di ghiaccio; e chi di noi si slanciò prima che i raggi del dio si diffondessero, si trova ad essere salvo.

Infatti, avvampando con il suo fulgore, il chiaro disco del sole sciolse il passaggio nel mezzo, riscaldandolo con il calore.

Cadevano gli uni sugli altri; e felice colui che subito perse la vita!

Quelli che furono superstiti e riuscirono a salvarsi, dopo aver attraversato la Tracia a stento con molta fatica, giungono salvi, non molti invero, alla terra patria; sicchè può gemere la città dei Persiani, privata della migliore gioventù del paese.

Questa è la verità; e tralascio di dire molti dei mali che un dio inviò ai Persiani.

 

Entra in scena il re sconfitto, Serse

(Eschilo, I Persiani, vv. 908 - 1077)

908 / 930

SERSE: Ahimè, infelice me che mi sono imbattuto in questa odiosa sorte del tutto imprevedibile! Con quanta crudeltà un dio si diede a calpestare la stirpe persiana! Che farò, misero? Mi si è sciolto infatti il vigore delle membra nel trovarmi di fronte a questi vecchi cittadini.

O Zeus, volesse il cielo che anche me, insieme con gli uomini che sono finiti, il destino di morte avesse voluto avvolgere.

CORO: Ahimè, o re, per lo splendido esercito, per il grande onore dell’impero persiano, per il vanto dei (nostri) uomini, che ora un demone ha falciato.

(Questa) terra piange la gioventù uccisa da Serse, che ha riempito l’Ade di Persiani; molti nobili uomini infatti, il fior fiore di (questa) terra, forti arcieri, un numero veramente considerevole di uomini, è finito.

Ahimè, ahimè per la nostra bella difesa! Il suolo d’Asia, o re di questa terra, tremendamente tremendamente è stato messo in ginocchio!

931 / 949

SERSE: Eccomi qua, ahimè, misero compassionevole, sono dunque diventato causa di rovina per la mia stirpe e per la terra patria.

CORO: Quale saluto per il tuo ritorno innalzerò innalzerò il grido lugubre, il triste gemito del Mariandino lamentatore, una nenia piena di lacrime.

SERSE: Levate un triste lamentoso lugubre grido. Infatti la divinità, ecco, si è rivolta contro di me.

CORO: Si, leverò il (grido) lamentoso, celebrando i mali sofferti dal popolo ricevuti sul mare, (i mali) di chi piange la patria e la stirpe. Griderò, griderò il mio lamento dalle molte lacrime.

950 / 973

SERSE: Ares ionico infatti ci ha privati (di ogni cosa), Ares ionico cinto di navi, che dava aiuto all’altra parte, mietendo la lugubre pianura e la funesta spiaggia.

CORO: Ahimè grida, e su ogni cosa informati. Dov’è la restante moltitudine degli amici? Dove quelli che combattevano al tuo fianco, quali Farandace, Susante, Pelagone, e poi Agabate, Psammi, Dotame, e Susiscane che lasciò Ecbatana?

SERSE: Morti li lasciai, caduti da una nave tiria sulle spiagge si Salamina, che cozzano contro l’aspro lido.

CORO: Ahimè, grida! Dov’è Farnuco? E il buon Ariomardo? Dove Sevalce signore, e Lileo illustre, e Memfi, Taribi, Masistre, Artembare e Istacme? Questo volevo sapere.

974 / 1001

SERSE: Ahimè, ahimè, dopo aver visto l’antica odiata Atene, tutti insieme in un solo colpo, ahimè, ahimè, miseri annaspano sulla terraferma.

CORO: Forse che lì lasciasti, lasciasti anche l’occhio tuo fedele in tutto, colui che passò in rassegna le migliaia e migliaia di Persiani, Alpisto, figlio di Batanoco, e ***, figlio di Sesame, figlio a sua volta di Magabate, e Parto e il grande Oibare? Oh, gli sventurati! Per questi nobili Persiani tu dici sciagure, gravi sciagure!

SERSE: Tu mi rinnovi, sì, il dolore per i forti compagni, cose atroci, atroci, odiose, tremende dicendomi. Mi grida, mi grida dal di dentro delle membra il cuore!

CORO: Ma anche altri ne perdemmo. Xante, capo d’innumerevoli Mardi, ed Ancare, (capo) degli Ari; e poi Diassi ed Arsace, duci di cavalieri, Egdadata e Litinna, e Tolmo insaziabile di battaglia, mi stupisco, mi stupisco che non seguano le tende dei carri, che non seguano dietro!

1002 / 1025

S: Sono morti quelli che erano i capi dell’esercito.

C: Sono morti, ahimè, ingloriosamente.

S: Ahi, ahi, ahimè, ahimè!

C: Ahimè, ahimè, o demoni, ci deste un’inaspettata disgrazia, chiara come splende Ate!

S: Da quale eterna sventura siamo stati percossi!

C: Siamo stati colpiti, è ben chiaro!

S: Da nuova sciagura, da nuova sciagura.

C: Essendoci imbattuti in marinai ionici, non felicemente. E’ sfortunata in battaglia la razza dei Persiani!

S: Proprio così! Così grande esercito, misero me, ho perduto!

C: Che cosa non è perito dei Persiani, cieco che sei stato?

S: Tu vedi quel che resta del mio vestito?

C: Vedo, vedo.

S: E questa faretra.

C: Cosa dici che si è salvato?

S: Questo riparo per le frecce.

C: Poco, invero, di così numerose cose.

S: Siamo rimasti privi di difensori.

C: Il popolo dei Greci non fugge la battaglia.

1026 / 1045

S: Molto bellicoso; mi è toccata una disgrazia inaspettata.

C: Tu vuoi dire il gran numero di navi volte in fuga?

S: Il peplo mi strappai per la disgrazia accadutami.

C: Ahimè, ahimè!

S: Anche più che ahimè, dunque.

C: In verità sono doppi, tripli (i nostri mali)

S: Amari, ma dolci per i nemici.

C: E la nostra forza fu infranta.

S: Sono privo di accompagnatori.

C: Per la sciagura in mare dei nostri cari.

S: Piangi, piangi la nostra sventura; e rientra nella reggia

C: Piango e mi lamento.

S: Grida dunque facendomi eco.

C: Un misero dono di miseri a miseri.

S: Grida mescolando il tuo lamento al mio

C: Ahimè, ahimè! E’ dura, sì, questa sventura; ahi, molto anche di questo mi dolgo!

1046 / 1065

S: Percuotiti, percuotiti, e piangi per me.

C: Ahi, ahi! Disgrazia, disgrazia!

S: Grida dunque facendomi eco.

C: Spetta a me prendermi cura (di ciò), o signore

S: Leva dunque il grido insieme con i lamenti.

C: Ahimè, ahimè! Nero risonante colpo si mescolerà (ai gemiti)

S: Percuoti il petto, e grida il canto misio

C: Calamità, calamità!

S: E per me devasta il bianco pelo della barba

C: Con furia, con furia, tra molti lamenti

S: Lancia un acuto grido

C: Anche questo farò.

S: Lacera il peplo sul petto con la punta delle mani

C: Calamità, calamità!

S: Strappa la chioma e commisera l’esercito

C: Con furia, con furia, tra molti lamenti.

S: Bagna di lacrime gli occhi.

C: Li bagno, si!

1066 / 1076

S: Grida dunque facendomi eco.

C: Ahimè, ahimè!

S: Gemendo torna alla reggia.

C: Ahi, ahi! [La terra di Persia è dura da percorrere.]

S: Ahimè, certo, attraverso la città.

C: Ahimè, certo, si, si.

S: Piangete lentamente avanzando.

C: Ahi, ahi! La terra di Persia è dura da percorrere.

S: Ahi, ahi! Sulle navi, ahi, ahi! Sulle triremi son morti.

C: Ti accompagnerò con lugubri lamenti.

 

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Ultimo aggiornamento: 05-05-03

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