Buccella Gino Cardelli Torquato Caretti Fedele Carli Giuseppe DeCarli  fratelli
De Gaspari Ercole Ferrari Luigi Franchini Enrico Franzoni Antonino Giulietti Giuseppe
Grifeo Federico Griffini Saverio GrossoCampana A. Lavezzeri Roberto Maifreni Guido
Mancini Giuseppe Merli Severino Negri Pietro E. Pagliari Giacomo Pallavicini di Priola  E.
Pallotti Giacomo Pantanali Emilio Paolini Giuseppe Pecorari Ottone Pergolesi Raffaele
Prato Leopoldo Rismondo Francesco Riva di  Villasanta A. Rolando Francesco Rossi Francesco
Scirè Sebasiano Il capitano nero Vayra Giuseppe Vitali Michele Ori fuori Corpo

QUETTO - figlio di Bolingia e di Siliando

schiavo nero

1826-1883

da Michele Lessona - Volere è potere –  Ho cominciato colla vita di un principe di Sicilia e finisco con un nero d'Africa: due uomini degni di stare vicini, perchè la virtù sopprime le distanze e adegua ogni disuguaglianza.

MICHELE AMATORE

Bersagliere nero dei Savoia

… Io dirò qui qualche parola intorno al capitano Michele Amatore, che ebbe vicenda più che singolare. Cominciò a diventar popolare in Torino e nelle varie guarnigioni dell'antico Stato Sardo da una ventina d'anni a questa parte un giovane bersagliere, nero come l'ebano, di belle forme, svelto, piacevole favellatore, guardato con occhio curioso dalla gente, e chiamato senz'altro il bersagliere moro. …. cosi iniziava il racconto di Michele Lessona, (20/9/1823 – 20/7/1894 docente, insegnante di zoologia e divulgatore scientifico letterario)
La storia in effetti comincia lontano dal Piemonte nell’alto Egitto o Nubia (Sudan) come si suol dire.  Il governo mussulmano egiziano non ha mai fatto segreto del commercio degli schiavi, che alimentava dai paesi interni dell’Africa Nera. Inglesi, Francesi e gli stessi Americani lo avevano già ridotto o stavano per dichiararlo illegale.  Sotto le mentite spoglie di ribellioni le guarnigioni di Kartum compivano incursioni riportando gli schiavi più belli, giovani e robusti da vendere al mercato.  Il ricavato andava ad integrare la paga del soldato che era sempre misera.  I giallab (mercanti di schiavi) compravano tutto, e partivano per il Cairo dove la cosa non veniva tenuta pubblicamente nascosta innestando critiche da parte dei governi colonialisti che utilizzavano ora anche questa protesta (erano i giornali a riportare le vicende) per giustificare gli interventi in Africa.  In questa maniera il capitano Michele Amatore è venuto bambino a Kartum: egli è nato nel 1826, e si ricorda mirabilmente del nativo villaggio.  “Mio padre si chiamava Bolingia, mia madre Siliando, il mio nome era Quetto”: Era nel 1832 quando la solita incursione punta sul suo villaggio.  Fucili contro lance, e migliaia contro centinaia di nativi. I soldati egiziani entrarono nel villaggio, e fu una vera carneficina: uccisero i vecchi, e non lasciarono che un mucchio di rovine. «I superstiti, donne e fanciulli la più gran parte, furono legati e tenuti sotto custodia fino al giorno seguente.  La marcia verso Kartum si risolse in una ulteriore carneficina, per la mancanza di cibo. Dice Michele Amatore “Sebbene in quei giorni di sventura io non avessi più di sei o sette anni, pur troppo mi ricordo dei mali trattamenti che ci hanno fatto soffrire i soldati egiziani nel doloroso tragitto. Il bastone di quella gente esecrata non risparmiava nessuno: tutti, grandi e piccoli, erano barbaramente percossi; e quelli che pel patimento e lo scarso cibo perdevano le forze, spietatamente venivano uccisi. Il cibo era un po' di pane ed acqua, e questa sovente ci mancava, per cui strada facendo buon numero di schiavi perirono e furono lasciati insepolti”. Quetto viene diviso dalla famiglia di cui era responsabile come primogenito e come capo villaggio dopo la morte del padre. Ma nulla poteva fare e di loro non saprà più nulla.  I pochi giunti al Cairo ora potevano sperare almeno in un trattamento più umano e per Quetto la fortuna fu grande perché a prenderlo in casa fu il dottor Luigi Castagnone, allora protomedico del vicerè d'Egitto. L’Egitto allora era pieno di Italiani  impiegati nelle più varie attività ma sempre di altissimo profilo. Il ragazzo venne educato e trattato umanamente e solo la paura di portarlo lontano dalla sua terra impedì al Castagnone di trarlo seco in Piemonte al primo viaggio. Toccò al Dr.  Maurizio Bussa, di Felizzano  il compito di fargli conoscere la loro patria piemontese.  Al suo nuovo paese Michele si fece cristiano e qualche volta tornò anche in Egitto da libero. Aveva 22 anni quando scoppiò la guerra e corse ad arruolarsi.  Così Lessona “…  la sua faccia nera serviva di punto di rannodamento ai coraggiosi compagni, e di terrore al nemico: parecchie volte dopo un combattimento i suoi capi corsero ad abbracciarlo. In pace era un modello di disciplina e di operosità, amor dei capi e dei compagni. Quando entrò soldato non sapeva leggere; pigliava di soppiatto la chiave della scuola del reggimento per andarsi ad esercitare sulla lavagna nelle ore del riposo. Imparò a leggere ed a scrivere con ottima calligrafia; imparò l'aritmetica, la geometria, il francese. “ Il 7 agosto 1848 viene infatti arruolato come volontario nei bersaglieri. Partecipa alla campagna del 1849 con il grado di sergente e in quella del 1859 come sottotenente. Dopo S. Martino gli viene riconosciuta dai francesi la decorazione al merito. Il 5 maggio 1861 è già tenente prima al secondo e poi al terzo reggimento. Nel 1866 nella terza guerra di indipendenza è capitano. Partecipa nel Sud d'Italia alle azioni contro il brigantaggio, poi agli interventi a favore delle popolazioni colpite dal colera (medaglia di bronzo). Conclude la carriera in anticipo all'8° reggimento nel 1880. Il suo servizio non era più possibile a causa di una sciabolata  al volto (all'occhio sinistro visibile anche nella foto) che gli aveva procurato la cecità. Si ritira con la moglie, da cui non aveva avuto figli, a  Rosignano, dove muore il 7 giugno 1883.

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