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Sul
versante sud della penisola sorrentina l’accesso al mare verso i successivi
insediamenti poteva avvenire solo, e con difficoltà, lungo sentieri ricavati tra
le rupi calcaree scoscese. Tutta la costiera, inoltre, fino a Positano, non
offriva alcun riparo naturale alle navi essendo esposta in pieno allo scirocco e
al devastante libeccio. Neanche l’insenatura di Crapolla,
dalla quale si diparte la più antica risalita dal mare verso
Sant'Agata, risultava molto esposta e la stessa
Baia di Ieranto, molto affidabile in tutte le
condizioni del mare, con lo scirocco e il libeccio perdeva ogni possibilità di
offrire un benché minimo riparo. Da questa Baia e dalla prossima
Punta Campanella, già dalla preistoria,
doveva esistere, in base ai dati archeologici, un percorso che, passando per la
grotta delle Noglie, portava all’abitato neolitico di Termini e, in seguito,
all’insediamento arcaico nei pressi del Deserto
di Sant'Agata e di lì a Sorrento (attraverso
Priora-S. Antonio).
Il versante nord della penisola, quello sorrentino, a parte l’approdo di
Massa Lubrense, (esposto al vento di tramontana
e di grecale), quello più sicuro di Marina di Puolo
(ma lontano dagli insediamenti), e le due spiagge ai lati del promontorio su cui
si affaccia l’abitato di Vico Equense, nella parte
intermedia, sotto il terrazzo tufaceo tra Meta e
Sorrento, era pressoché insormontabile e non offriva
alcun riparo sicuro, fatta forse eccezione per
Marina Grande, comunque esposta al grecale-maestrale. Anche la spiaggia di
Alimuri, soggetta ai venti di nord/ovest, ovest e
sud/ovest (maestro, ponente e libeccio) era battuta, come oggi, da violente
mareggiate, che in alcuni periodi dell’anno ne rendevano pressoché impraticabile
l’attracco e l’ormeggio.
Si deve pertanto presumere che gli
sbocchi dei valloni abbiano assolto fin dalla preistoria la funzione di approdi
naturalmente protetti e di vie trasversali di collegamento tra il mare e la
piana sovrastante. La situazione antica agli sbocchi doveva essere simile a
quella del vallone Croce a Sant’Agnello (Il
Pizzo), dove l’acqua del mare si insinua ancora oggi, nonostante l’interro, per
molti metri verso l’interno delle pareti tufacee del golfo del ‘Pecoriello’ e
continua ad offrire un ancoraggio sicuro. All’interno dei valloni vi era posto a
sufficienza per scali di alaggio. Dal fondo valle, attraverso scale intagliate
nel tufo, all’esterno della parete o in galleria, si raggiungeva il pianoro
sovrastante prospiciente il mare, mentre risalendo verso l’interno si perveniva
agli insediamenti preistorici, sia in grotta, sia all’aperto. In quest’ultimo
caso l’insediamento si trovava nel punto in cui tra il fondo del vallone e il
pianoro il dislivello era piuttosto leggero.
Nel periodo romano vari espedienti furono escogitati per rendere più sicuri gli
approdi ai centri abitati (a Marina di Seiano ed a
Sorrento, tra l’hotel
Vittoria e l’hotel Syrene) e alle ville marittime
sparse sulla costa.
Stabiliti gli approdi e
le vie trasversali di penetrazione verso la piana passiamo a considerare quale
fosse il collegamento longitudinale tra i vari insediamenti di epoca storica.
Nella Tabula Peutingeriana (un itinerario romano del periodo imperiale, a noi
noto attraverso una copia medievale), una diramazione della Capua-Reghium,
partendo da Nuceria, giunge, attraverso
Stabia e Sorrento, fino
alla punta estrema della penisola dove sorgeva il santuario di
Athena (Minerva). Il percorso di questa
strada passa per Angri dove, sulla strada provinciale proveniente da
Nocera fu rinvenuto nel 1950 un miliario con la
titolatura imperiale di Adriano (120/121 d.C.), senza indicazione di distanze,
che testimonia un rifacimento della strada dopo circa quarant’anni
dall’eruzione. La strada proseguiva lungo la zona pedemontana, passando
certamente per il santuario di Privati, fino a Stabia
dove un altro miliario, rinvenuto nel 1879 presso la chiesa cattedrale e
relativo allo stesso rifacimento adrianeo della strada, porta l’indicazione
della distanza da Nuceria di XI miglia. Il miglio
aggiuntivo indicato dalla Tabula Peutingeriana (XII miglia), ha fatto ipotizzare
che la strada terminasse il suo corso nel luogo degli attuali cantieri navali
che “dovette essere anche in età antica il più sicuro e riparato per l’approdo e
la sosta delle navi”. Da Stabia la strada
continuava per Sorrento e il promontorio di Minerva
con un percorso che, pur se non è possibile delineare con precisione, è almeno
grosso modo ipotizzabile attraverso vari elementi (necropoli, miliario, dati
toponomastici, punti di passaggio obbligati). Essa si inerpicava sui monti e un
punto di passaggio nel territorio di Stabia è
indiziato dal ritrovamento di tombe sannitiche nei pressi del castello. Un
tratto leggibile dai tagli nella roccia sembra essere costituito dalla strada
delle sorgenti della Sperlonga, in territorio di Vico
Equense, la cui parte iniziale (Pozzano) è stata inghiottita dalla cava del
cementificio. Dalla Sperlonga a Vico Equense essa
doveva costeggiare il convento di S. Francesco. Da quel punto discendeva a
Vico Equense passando per S. Maria del Toro, nei
cui pressi si trovano altre tombe. Passava a monte dell’insediamento preromano
di Vico Equense (necropoli di villa Ciambitti,
rist. ‘Pizza a Metro’, via Cortile) e quindi, per via Cavottole doveva
ridiscendere lungo il fianco orientale del Rivo d’Arco. Lo scavalco avveniva, a
quanto sembra, sulle cisterne di Fontanelle/Fornacelle.
Un punto obbligato per discendere nella piana sorrentina era costituito dal
valico di Alberi, da dove provengono due vasi etrusco-corinzi (da una tomba
della metà del VI sec. a.C.). La strada che da Alberi porta al Ponte Vecchio
(sul vallone di Lavinola, tra Meta e
Piano di Sorrento), si chiama ancora, come
tante strade romane lastricate, Petraio o il Petrale. Da Ponte Vecchio a
Sorrento un altro punto obbligato era costituito
dalla dorsale calcarea di Sottomonte, ai cui piedi, la necropoli arcaica e
quella romano-imperiale di età giulio-claudia, ne indiziano il passaggio. Da
Sottomonte a Sorrento non sembrano esservi dubbi, e
per i rinvenimenti archeologici e per l’andamento dell’acquedotto augusteo, su
un percorso simile a quello dell’attuale strada provinciale. Su un miliario di
Massenzio, riutilizzato nel Chiostro medievale di S.
Francesco nel centro storico, che si riferisce molto probabilmente ad un
restauro della strada, è segnato il XXV miglio, che corrisponde alla distanza di
Sorrento da Nuceria, tenuto
conto del diverso andamento, molto probabilmente più breve, del percorso antico.
Pertanto il miliario doveva trovarsi a poca distanza dal luogo di riutilizzo e
forse all’ingresso della città presso la ‘Porta di
Stabia’ (piazza Tasso), attraverso la quale la strada entrava nel centro
urbano, costituendone il decumano maggiore, o all’uscita presso la
‘Porta Minervia’ (Porta Parsano Vecchio).
Da questo punto iniziava l’ultimo tratto, di sei miglia circa, che conduceva al
promontorio di Minerva, con un percorso che non doveva essere molto dissimile da
quello dell’antica strada comunale Capodimonte-Priora-Acquara-Termini. Da
Termini e precisamente dal taglio della roccia in località Cancello, sulla cala
di Mitigliano, il tratto di strada fino al
santuario di Athena, pur se franato in alcuni
punti, è perfettamente riconoscibile per i tagli nella roccia, per il selciato
antico, ancora conservato in alcuni tratti, e per alcuni muri di contenimento.
Questa unica ed importante strada di attraversamento longitudinale della
penisola deve essere stata in uso, anche se sottoforma di sentiero, fin dalla
più remota antichità. È possibile ipotizzare, comunque, che nel periodo arcaico
i contatti più importanti tra i vali scali marittimi della penisola, sorti verso
la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C. (Massa
Lubrense, Sorrento,
Piano di Sorrento,
Vico Equense), con quelli di Stabia e
Pompei, avvenissero essenzialmente via mare.
Indubbiamente la strada acquista un ruolo fondamentale con la sannitizzazione di
tutto il territorio, a partire dal IV sec. a.C. Le offerte votive del
Santuario di Athena alla Punta Campanella,
del tutto simili a quelle provenienti dalle stipi votive dei principali edifici
sacri del territorio della via Minervia, autorizzerebbero a credere che i
pellegrini dalle zone interne della Campania
meridionale giungessero al santuario sul promontorio molto probabilmente via
terra. Anche il nuovo rivestimento architettonico delle coperture dell’edificio
sacro, con antefisse a testa di Eracle e/o di Athena simili a quelle di Privati
ed a quelle del tempio dorico del Foro triangolare a Pompei,
dimostra un ormai avvenuto e completo inserimento culturale e politico della
penisola sorrentina nel contesto della
Lega Nucerina.
Probabilmente solo agli inizi dell’età imperiale la strada sarà pavimentata,
almeno fino a Sorrento. Mentre il tratto da
Sorrento al Capo
Ateneo deve aver ricevuto maggiori attenzioni (costruzioni in opera
cementizia e paramento calcareo in opera incerta, pavimentazione in grossi
blocchi di calcare, cordolo laterale della stessa pietra) solo a partire dal
periodo della permanenza di Tiberio a Capri ( 27-37 d.C.),
quando sul promontorio, di fronte al palazzo imperiale
‘villa Jovis’ di Capri, fu eretta una villa (dotata di un faro), forse in
funzione di alloggio per una guarnigione al servizio dell’imperatore, essendo il
Santuario di Athena ormai stato abbandonato
da quasi due secoli (metà del II sec. a.C.).
Per la preistoria e il periodo protostorico, e cioè anteriormente al VI sec. a.C.,
è ipotizzabile che il passaggio da Vico Equense
alla piana sorrentina avvenisse più a monte luogo il fondo valle della parte
alta del vallone di Lavinola.
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