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LE TRADIZIONI RELIGIOSE

 

a Suno
a Fontaneto

 

 

... a Suno

La vita religiosa era strettamente connessa con la vita del contadino.
Il giorno di S.Giovanni si celebrava la festa del ringraziamento per il buon raccolto e venivano benedetti gli aratri e i trattori che aiutavano l’uomo nei lavori dei campi. 
La prima processione dell’anno si svolgeva il pomeriggio del 6 gennaio.
Il lunedì, martedì e mercoledì prima dell’Ascensione venivano celebrate le Rogazioni: tre processioni con vari percorsi di campagna, molto seguite per il loro carattere propiziatorio. Si svolgevano al mattino presto.
Vi erano varie stazioni in corrispondenza di una chiesetta, di una cappella o di una semplice croce di legno (fino al 1950 si potevano osservare le croci disseminate in aperta campagna).
La fermata alle stazioni era dedicata alle preghiere, mentre tra una stazione e l’altra si cantava citando i Santi e chiedendone l’intercessione per un buon raccolto.Non mancavano però allusioni alla decima, che si doveva pagare ai benefici parrocchiali come affitto dei terreni concessi.
Anche il lunedì di Pentecoste si teneva una processione con percorso in campagna.
Il 5 agosto si festeggiava alla chiesetta dedicata alla Madonna della Neve. Sul luogo veniva allestito un tendone per ripararsi dalla calura estiva e si offrivano le prime pere della stagione, con grande partecipazione e devozione popolare. 
Il 7 agosto, in occasione della festa di San Gaetano, le mucche venivano schierate per la benedizione lungo la via adiacente alla Meja fino alla chiesa, ove veniva celebrata la messa sull’altare destro, che era dedicato appunto al Santo. 
Una chiesetta periferica, quella di San Carlo a Mottoscarone, era visitata il 4 novembre e, per l’occasione, gli agricoltori offrivano prodotti della loro campagna.
Altre processioni o cerimonie erano celebrate in momenti particolari. 
L’otto luglio 1897, ad esempio, il parroco don Borlandelli inviò una lettera al sindaco del paese per avvisarlo che:
Domani 9, di buon ora mattutina, si terrà da questo popolo, religiosa processione dalla Parrocchiale alla chiesa di Santa Maria a compiere il triduo di preghiere onde ottenere da Dio il benefizio della pioggia…
La campagna era al centro delle attenzioni nelle preghiere che tutte le sere si facevano nelle stalle, ove era abitudine ritrovarsi, o nelle case. La Masera, capostipite femminile nelle famiglie numerose, imponeva la recita del Rosario e, prima di dare la buona notte, chiedeva a Dio di essere esaudita. Si pregava ad esempio per scongiurare un rovinoso temporale, quando la mucca stava male, quando le cavallette mangiavano l’uva, o le cavolaie le foglie delle verze. Se le preghiere non bastavano, si andava da don Agapito per una benedizione particolare, portando in dono un salame, un po’ di burro, oppure del vino.

... a Fontaneto

La civiltà contadina viveva in modo molto forte il legame con la religione, sia per le tradizioni che si tramandavano da padre in figlio e che scandivano i tempi della vita sociale e del riposo, sia perché il rapporto con Dio era sentito come un aiuto a cui ricorrere in caso di difficoltà, una protezione valida per ogni persona, per le famiglie e per il lavoro da cui dipendeva molto spesso la sopravvivenza stessa. 
In genere la gente del paese preferiva rivolgersi ad un Santo, alla Madonna o al Crocefisso, figure più vicine alla vita materiale e quindi considerati più in grado di comprenderne i bisogni. Così Lungo le stradine che costeggiavano campi di Fontaneto e lungo i sentieri che portavano in collina sorsero delle cappelle e dei piloni votivi, di cui ancora oggi rimangono tracce, come per la cappella nei pressi della località di S. Ambrogio o delle edicole ancora oggi venerate simili a quelle che si incontrano lungo la strada provinciale verso Cureggio. Esse testimoniano una fede semplice molto legata, come dicevamo, alle necessità della vita agricola. Dal Santo protettore s'invocavano buoni auspici per i raccolti e per gli animali, lo si pregava per ottenere condizioni atmosferiche favorevoli in un tempo in cui il benessere della famiglia poteva essere seriamente compromesso dalla siccità, dalla grandine o da frequenti piene dei torrenti Agogna e Sizzone.

Devozioni legate alla civiltà contadina

A Fontaneto, in caso di siccità ci si recava in gruppo a pregare presso l’antica cappella di San Provino, collocata a nord del paese e se la richiesta rimaneva inevasa, si andava tutti a piedi in processione fino alla chiesa più lontana del paese, quella della frazione Croce.
Ogni anno, nel giorno dei Santi Fabiano e Sebastiano tutti gli animali da lavoro, dai cavalli, agli asini, ai buoi che trainavano carri e aratro, venivano portati davanti alle chiese per essere benedetti. Per la festa di S. Antonio si benediceva anche il pane infilato su bastoni decorati ed intagliati.
All’inizio di marzo si celebravano le Rogazioni. Le processioni duravano tre giorni: il lunedì si passava da S. Provino fino ai Gerbidi, poi ai Camuccioni attraverso il sentiero ai piedi della collina e infine a Sant'Antonio; il martedì si giungeva alla Cacciana e poi alla cappella sulla strada per Mulino Marco. In questo modo si benedicevano i campi chiedendo a Dio di tenere lontani parassiti e malattie.
La devozione popolare si esprimeva anche attraverso l’usanza di conferire “poteri” religiosi ad oggetti d'uso comune. Durante il temporale, ad esempio, si bruciava un ramo d’ulivo sotto la pioggia e, se non terminava o minacciava grandine, si suonavano le campane. Il giorno di Natale si cucinava il risotto ed era usanza farlo mangiare dalle galline per assicurarsi uova in abbondanza. 

Le tradizioni pasquali

Il Sabato Santo, al momento del Gloria, quando suonavano le campane per ricordare la Risurrezione di Cristo, tutta l’acqua diventava benedetta e occorreva bagnarsi gli occhi, utilizzando anche quella dei ruscelli o dei buchi della vigna, nel caso in cui ci si trovava in campagna, questo serviva ad evitare le malattie e il rischio di cecità. Le uova deposte dalle galline, il Venerdì Santo, erano fatte bere agli uomini per preservarli da possibili cadute quando salivano sugli alberi a potare i rami o raccogliere la frutta. 
Al Giovedì Santo verso sera si celebrava una messa per ricordare l’arresto e l’agonia di Cristo. Dopo la messa in segno di lutto si legavano le campane e tutti i ragazzi si mettevano a suonare la taraple, rozze sonagliere di legno.

La festa di Ghemme

Una santa a cui si ricorreva spesso era la Beata Panacea di Ghemme. Il giorno della sua festa a Maggio era atteso come un evento, si andava a Ghemme a piedi e, al ritorno, si portavano a casa le "beatine": i biscotti a forma di bambolina benedetti. Quando si ammalava qualcuno in modo serio, si ricorreva a questa santa con preghiere e novene, andando a piedi fino alla sua chiesa e chiedendo al parroco di aprire la cassa, cioè di togliere gli scuri che impediscono la visione della fanciulla. Questa tradizione valeva anche quando si emigrava: esistono testimonianze come quella di Luigi Prandina emigrato in America del Sud all’inizio del Novecento. Egli scriveva a casa di far aprire la cassa della Beata, poiché sua figlia era ammalata e i medici disperavano di salvarla.
Ancora negli anni Cinquanta la festa di Ghemme era una festa molto sentita soprattutto per i giovani che avevano l’occasione per divertirsi sulle giostre e i baracconi.

La domenica

La pratica religiosa accompagnava la vita contadina, scandita dal tempo del duro lavoro in campagna e dal riposo domenicale. La gran parte della popolazione partecipava alla messa delle sette. Molto frequentata dalle donne sposate era quella festiva, partecipata dai ragazzi quella delle nove, in prevalenza dagli uomini e dai benestanti quella delle undici, la “Masa Granda”. Nel pomeriggio donne e ragazze andavano al vespro, occasione spesso provvidenziale per i primi ammiccamenti tra ragazzi e ragazze che potevano così incontrarsi all’insaputa dei genitori. Un passatempo abbastanza diffuso consisteva nel ritrovarsi nei cortili, dove chi sapeva suonare la fisarmonica o la chitarra intratteneva i vicini, si cantava e si raccontavano storie, commentando gli avvenimenti del paese.
Tre volte l'anno si svolgevano le processioni per le strade del paese, la gente illuminava di sera le finestre con candele e lumi colorati di cera ed esponeva ai balconi le lenzuola più belle così chi partecipava alla processione poteva anche valutare la ricchezza dei corredi delle spose. Al Venerdì Santo la processione era accompagnata dal suono cupo del taraplon, un grosso pezzo di legno con un martello posto in cima al campanile. Le giovani da marito portavano a spalla la statua della Madonna Addolorata mentre gli uomini in cerca di moglie portavano S. Giovanni e il Cristo morto.

La festa patronale

La festa che coinvolgeva tutto il paese e che si celebra ancor oggi era la festa patronale. Fontaneto, come ognuno dei paesi limitrofi annovera un santo patrono: Sant’Alessandro, un martire del III sec. d.C., le cui reliquie giunsero a Fontaneto nel 1839, provenienti dalle Catacombe di S. Ippolito a Roma. Donate all’arciprete don Martino Jelmoni dalla contessa Caterina Lucini Passalacqua, vedova del conte Ugo Visconti comproprietario del Castello, le spogli del santo furono rivestite con una statua di cera e deposte in un’urna dorata. Nel 1850 vennero collocate nell’attuale scurolo costruito su progetto dell’architetto Antonelli. Da allora, la festa di S. Alessandro divenne l’avvenimento più significativo della vita del piccolo borgo. L’arciprete in accordo con tutta la popolazione fissò la data della festa alla seconda domenica di agosto, un periodo ritenuto favorevole perché abbastanza libero dai lavori agricoli. Nel 1850 le festività iniziarono l’11 agosto e si protrassero per sei giorni, il paese si trasformò sotto i drappi variopinti che ricoprivano tutti gli edifici, vennero personalità ecclesiastiche da Novara e Milano. Nel pomeriggio della domenica si tenne la processione per le vie addobbate con l’urna del santo e alla sera i fontanetesi poterono ammirare i fuochi artificiali. La musica che allietava le serate fu diretta dal maestro Coccia di Novara. Da allora ogni venticinque anni i festeggiamenti assumono la medesima solennità sia a livello religioso che nell’organizzazione di intrattenimenti e attrattive che richiamino l’attenzione anche dai paesi vicini.
Dalle cronache d’epoca sappiamo che nel 1900 la processione fu accompagnata dalle bande musicali di Magenta, Ghemme e Borgomanero. Il paese rivestito di colori vivaci era splendido, riuscitissima anche l’illuminazione delle vie. Si racconta che in occasione della festa del 1925, dai treni stracolmi, dai camion e da altri mezzi di locomozione si riversò in paese una moltitudine di gente accorsa dal circondario rendendo la circolazione un arduo problema. Al pomeriggio, nel grande cortile del Castello visconteo, le scuole di canto maschile e femminile di Trecate eseguirono celebri brani di musica classica. Nel 1939 la processione del Santo fu accompagnata da ragazze in costume romano e da gruppi di paggetti. In queste ricorrenze non mancava mai il banco di beneficenza da cui si potevano ricevere premi a sorpresa e, alla sera, il ballo o l’intrattenimento musicale.

Processione (1929) Paggetti (1939)

Nel dopoguerra anche a Fontaneto arrivarono le giostre, l’autoscontro e altri divertimenti da luna park.

Negli anni in cui i festeggiamenti non erano solenni, la vita paesana ferveva comunque. Ogni frazione aveva la sua chiesetta e quindi la sua festa: a partire dalla seconda domenica di giugno, in cui si festeggia S. Antonio, quasi ogni settimana, si celebrava un santo e venivano invitati i parenti per il pranzo, oppure si dava vita a vere feste campestri. Per molto tempo la più sentita fu la festa di San Martino, fissata per la prima domenica d’agosto, dopo la messa si teneva la “merenda”. I prati circostanti alla chiesa erano invasi da intere famiglie che consumavano il loro pranzo all’aperto dissetandosi ai cinque zampilli della fontana. In molti ricordavano la bancarella della “Lena Livertisa” che esponeva in bella mostra dolciumi, le pere, dette di Sant’Anna e granite.
Per la festa di San Rocco la tradizione vuole che si suoni una novena: alcuni temerari residenti nel rione, armati di martello si arrampicano sul campanile e alle ore 19.00 fanno risuonare la tradizionale cantilena “leca leca leca al tund, la campana di bun bun…” 
Già nel 1830 in occasione di questa festa si svolgeva "l’incanto", cioè la vendita su offerta dell’uva della vite che allora cresceva acanto alla chiesa. A metà dell’Ottocento la vigna venne tagliata, così l’uva fu sostituita da dolci e altri prodotti gastronomici più ricchi. Rimase prerogativa di questa festa la tradizione dell’albero della cuccagna: un palo unto di grasso che gruppi di ragazzi dovevano scalare per raggiungere il premio, generalmente un grosso salume. Esso veniva un po’ preso a simbolo della vita di allora, fatta di momenti di dura fatica e sacrificio, che venivano compensati in genere da gioie semplici.

Il Carnevale

La festa del Carnevale era un momento molto atteso, in genere, seguiva di poco l’uccisione del maiale e quindi le famiglie avevano a disposizione qualcosa di più del solito pasto frugale. Con lo struzzo si preparavano le frittelle e altre leccornie. Si festeggiava tutti insieme in piazza. Qualche anziano ricorda che il lunedì e il martedì grasso, il “lunzon” e “il darè dì”, i ragazzi andavano in maschera dipingendosi il viso con il carbone, e indossando abiti usati. Dopo la messa del mattino la banda cominciava a suonare. si faceva un cerchio e un anziano leggeva il testamento del Carnevale, che invitava tutti a mangiare a casa sua. Il giovedì grasso era chiamato la “giobiaccia delle sette merende” perché di sera si faceva la merenda tra amici e si andava anche a ballare. In alcuni cortili veniva improvvisato un palchetto (il bal palchet) e tutti i ragazzi erano invitati a fare festa. In quel periodo c’erano numerose spose infatti la Chiesa vietava i matrimoni in Quaresima e in Avvento e, considerati i tempi dedicati ai lavori dei campi, la fine dell’inverno risultava essere il periodo più favorevole a queste cerimonie. 

 



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