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I MULINI

 

 

La costruzione dei mulini fu dettata da numerosi fattori. Il primo era legato all’abbondanza di corsi d’acqua naturali e artificiali. Il secondo è collegato alle caratteristiche dell’economia rurale dei secoli scorsi, alla cui base era la cerealicoltura: l’alimentazione stessa era costituita prevalentemente da cereali sotto forma di pane, polenta o minestra.
Il mulino era uno dei punti chiave dell’economia contadina. Assicurarsi un mulino significava risparmiare tempo e merce: si evitavano i lunghi viaggi e il pagamento dei dazi.
L’attività molinara era molto redditizia; i molini erano molto ambiti e venivano affittati attraverso un incanto che si teneva sulla pubblica piazza.
L’attività del mugnaio era sottoposta ad un attento controllo e nei contratti di affitto venivano fissate rigide regolamentazioni.
Il lavoro del “murnè” richiedeva una notevole esperienza.
A seconda del tipo di cereale macinato e della finezza richiesta bisognava saper regolare opportunamente la distanza tra le mole e l’inclinazione della tramoggia: occorreva evitare che la farina si surriscaldasse o che le macine si intasassero, ecc…
Prima del loro definitivo abbandono, alcuni mulini svolsero altre mansioni, come il taglio del legname e la produzione di energia elettrica.
Un tipico edificio da mulino comprendeva: la grande stanza delle mole, spesso preceduta da un portico per la gente in attesa; un ripostiglio per i sacchi, un altro piccolo locale ed una stalla sufficiente ad alloggiare uno o due animali da tiro. In molti casi infatti il mugnaio provvedeva personalmente al ritiro delle granaglie e alla consegna delle farine. 
La maggior parte dei mulini aveva due coppie di mole per la macinazione di cereali ed una pista per la sbucciatura del riso (la decorticazione dell’orzo, ecc…) a 3 o 4 pistoni.
L’intero meccanismo poteva essere azionato da una sola ruota idraulica o da più ruote indipendenti.
Il movimento della ruota ad acqua si trasmetteva all’asse di ferro che azionava le mole per mezzo di un meccanismo a ruote dentate, delle quali una solitamente di legno, l’altra di ferro o di ghisa, per ridurre l’usura e la rumorosità che sarebbe derivata dal contatto di due ruote dello stesso materiale.
Il vero e proprio apparato per la macinazione era del tipo ”molino a palmenti”, in uso fin dall’antichità: due mole orizzontali affacciate, di cui una fissa all’incastellatura della macchina (dormiente superiore o, più spesso, inferiore) ed una mobile, azionata dall’asse di ferro verticale.
Le mole erano di pietra dura, trasportate per vie d’acqua dalle zone di montagna circostanti il lago Maggiore.
La mola superiore era provvista di un foro centrale, attraverso il quale le granaglie contenute nella tramoggia cadevano nello spazio tra le due mole.
Il cereale veniva macinato per pressione e sfregamento: per prolungarne il percorso tra due palmenti, sulla fascia superiore di quello inferiore erano praticate delle scanalature.
Infine il materiale macinato si raccoglieva per forza centrifuga alla periferia, dove, attraverso un foro nell’incastellatura, si scaricava nel recipiente per le farine, il “buratto”.
I cereali più frequentemente macinati erano frumento, mais, orzo, avena.
Si potevano ottenere farine di diversa grossezza, semole, grossolane spezzettature per mangimi.
La finezza di macinazione dipendeva da due fattori: la distanza tra le due macine (regolata da un meccanismo a vite) e la velocità di discesa dei cereali, che dipendeva dall’inclinazione della tramoggia.
La tramoggia era fornita di un meccanismo di allarme con un campanello che suonava quando il materiale stava per finire: questo perché se le mole giravano a vuoto si usuravano.
Anche se i cereali scendevano troppo lentamente l’attrito era eccessivo e la farina tendeva a surriscaldarsi; se invece si forniva troppo materiale, le macine si intasavano.
Per rimediare all’usura, che con l’andar del tempo rendeva troppo liscia la superficie delle mole, quest’ultima era battuta periodicamente con appositi martelli.
Il mulino vecchio di Bellinzago è uno degli innumerevoli mulini idraulici presenti un tempo nella Valle del Ticino; oggi è l’unico ancora parzialmente funzionante e in buono stato di conservazione.
Sappiamo che la Roggia Molinara che lo alimenta fu scavata nel 1478 e che quindi esso non poteva esistere antecedentemente a quegli anni. L’edificio attuale fu costruito nel 1718.
Fu di proprietà feudale, rappresentando una importante fonte di introiti per i proprietari. Fu ceduto alla comunità di Bellinzago e dopo numerosi passaggi di mano pervenne nel 1925 alla famiglia di mugnai degli Ambrosetti, che lo mantennero in funzione sino agli anni ’70. Nel 1985, ormai in disarmo fu acquistato dall’ente Parco del Ticino e trasformato in museo.
Lo spazio espositivo occupa il primo piano ed è stato allestito principalmente per illustrare gli aspetti storici del territorio legati all’utilizzo dei mulini ad acqua, che rappresentano delle entità produttive essenziali per l’economia agricola della valle del Ticino.
Nella sala delle macine si trovano le tre macine, di cui una sola è attiva, ciascuna con la propria tramoggia. L’esigenza di avere più macine derivava sia da motivi di produttività sia dalla necessità di poter disporre di mole dalla granulosità diversa, adatta al cereale da macinare.
Nella sala c’è pure l’apparecchio per la brillatura del riso e sono presenti le gru per sollevare le pesanti macine.
L’impianto motore idraulico all’esterno del mulino, accessibile da una porta della sala macchine, è costituita da una ruota per di sotto Poncelet a pale sagomate.

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 il Molino Saini

 



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