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LE MONDINE

 

 

Storie delle mondine
Testimonianze: due interviste
I film sulle risaie

 

 

 

STORIA DELLE MONDINE

Campagna vercellese, 1955. Mondine al lavoroOgni anno, per la campagna risicola migliaia di donne si riversavano nel Vercellese e nel Novarese dove la mano d’opera locale, non era sufficiente. Si trattava di persone che arrivavano dal Piacentino, dal Mantovano, dalle province di Rovigo e altre parti del Veneto; insieme a queste si recavano alla monda anche le donne dei nostri paesi dell’alta pianura novarese e della zona collinare che in genere si recavano nelle cascine della bassa novarese e di Vercelli con un viaggio sul carro e a tratti anche a piedi lasciavano nella loro zona una gran miseria e quindi il lavoro stagionale in Piemonte era l’unica possibilità che consentiva loro di portare a casa la pagnotta o la polenta. Queste lavoratrici, con pochi stracci affardellati (tra cui federe da pagliericcio e una coperta), affrontavano un viaggio disagevole, partendo dalla propria abitazione con mezzi di fortuna, per raggiungere le stazioni di partenza dei “treni speciali” che le avrebbero portate a Vercelli. Qui giunte, rifocillate presso il Centro 
d’accoglienza delle mondariso (ancora esistente e in ristrutturazione) raggiungevano poi le tenute di lavoro con i mezzi del padrone (il rimorchio trainato, prima dai cavalli, poi dal trattore) a carico del quale erano le spese di tutto il viaggio. Per l’ammissione al lavoro occorreva essere in possesso dell’atto di nascita e una dichiarazione dell’Ufficio Sanitario del Comune di provenienza attestante l’immunità da malattie infettive e condizioni fisiche di salute da permettere il lavoro in risaia.
Il contratto collettivo prevedeva che ad ogni lavoratrice fosse corrisposto, oltre al salario, un chilogrammo di riso bianco originario, raffinato, mercantile, possibilmente di produzione locale per ogni giornata di prestazione e senza detrazione sulla paga. In questo modo le mondariso ricevevano alla fine del periodo di monda circa kg 40 di riso, la cui qualità non sempre era buona, perché non tutte le aziende erano attrezzate per la pulitura del riso.

 

 

TESTIMONIANZE: DUE INTERVISTE

Abbiamo raccolto due testimonianze. La prima attraverso la viva voce della signora Carolina, nonna di una nostra alunna di Cureggio, che in gioventù ha svolto il lavoro di mondina. Ecco cosa ci ha raccontato.

  • Verso quale stagione, periodo, facevate le mondine?
    Nel periodo della semina del riso; fine maggio, fino ai primi di luglio.
  • Quante ore al giorno impiegavate per questo lavoro?
    Dipendeva dagli ettari di terra che c’erano da lavorare. In ogni modo si trattava dalle dieci alle dodici ore al giorno.
  • Come eravate pagate? Bene o male?
    Diciamo che la mondina era pagata abbastanza bene. C’era chi prendeva un po’ di più, e chi veniva pagata un po’ di meno; comunque questo dipendeva dal datore di lavoro.
  • Prendevate lezioni da qualcuno?
    Non prendevamo lezioni, diciamo che il lavoro della mondina, tipo in un paesino piccolo, è una tradizione che viene tramandata da madre in figlia. Non hai nessuno che t’insegna; è il paese, la cultura, che sono i tuoi maestri. Poi giustamente, facendo pratica impari bene in che cosa consiste il lavoro della mondina.
  • In che cosa consisteva? Avevate ognuno incarichi precisi? Come si svolgeva?
    Il lavoro della mondina consisteva nel preparare l’ettaro di terra per la semina del riso. L’altro lavoro della mondina, che attualmente viene svolto dai macchinari, era quello di raccogliere il riso. 
    Una volta il lavoro delle mondine, occupava interamente la giornata. Nei piccoli paesi quasi tutte facevano le mondine, le donne che andavano in fabbrica erano rare perché le fabbriche erano lontane, in genere si trovavano in città.
    Le mondine erano occupate tutta la giornata, alla sera erano stanchissime. Comunque mentre lavoravano, era bello vederle nei campi, in mezzo all’acqua, che cantavano in coro tutto il giorno, con i pantaloni tirati su fino al ginocchio, una cappellina di paglia non indifferente (nel senso che era piuttosto grande per proteggersi dal sole)...
  • Avevate dei momenti divertenti? Magari delle pause?
    No, non esistevano momenti divertenti, di relax; esisteva solo ed esclusivamente la pausa del pranzo, che consisteva in… 
  • Allora era un lavoro piuttosto faticoso…
    Diciamo che era un lavoro molto faticoso! Sia per i giovani che per le persone di una certa età, soprattutto per gli anziani. Le donne anziane, che facevano le mondine, si stancavano molto.
  • Usavate attrezzi specifici?
    No, assolutamente! Tutte quante noi usavamo solo ed esclusivamente le mani, quindi renditi conto che stavamo tutto il giorno per ben dodici ore, con le mani immerse nell’acqua !

 

La seconda testimonianza è quella della nonna di un'alunna di Suno, Elisa, che ci ha raccontato come si svolgeva il lavoro delle mondine. Ecco ciò che ci ha detto.

“I lavoratori erano divisi in gruppi di una decina di persone. Non c’erano attrezzi, ma si usavano le mani.
Visto che le risaie erano lontane, le raggiungevamo in pullman e, quando eravamo in campagna, andavamo nei campi con i trattori.
La nostra ricompensa era lo stipendio: in 60 giorni si guadagnava l’equivalente di 1000 – 1500 €.
L’ambiente era malsano, perché si lavorava nell’acqua e tra gli insetti. C’erano tafani e zanzare che pungendo potevano provocare infezioni. Nelle risaie vivevano anche bisce d’acqua e ragni e in caso di infortunio si portava l’ammalato nelle cascine dei padroni.
Si pranzava sull’argine delle risaie, ma non c’erano strutture per dormire.
Non si rimaneva più di una giornata lontani dal paese e il distacco era duro, perché si dovevano lasciare i figli a casa.
Gli orari di lavoro duravano dalle 5.00 di mattina alle 14.30: erano molto pesanti, soprattutto per le ragazze giovani, che dovevano rimanere per tante ore con la schiena piegata, a volte anche sotto la pioggia.
Per alleviare la fatica le donne e gli uomini cantavano o recitavano filastrocche popolari in dialetto.
Il lavoro era sopportato meglio dagli uomini, che qualche volta aiutavano le donne.
Ogni risaia apparteneva ad un padrone diverso, che spesso sorvegliava il lavoro nei campi.
Poteva succedere che qualcuno si facesse male ed era in questi casi che il padrone dava ospitalità nella sua cascina.”

 

 

I FILM SULLE RISAIE

I film italiani che, negli anni 50’ 60’ hanno per argomento il riso sono: “Riso amaro” del regista Giuseppe De Santis e “La risaia” di Raffaello Mattarazzo.
Entrambi i film rappresentano un mondo altamente drammatico, di cui gli autori hanno cercato di rivelare i pregiudizi, i riti e le differenze culturali.
Il criterio usato fu quello di mettere in evidenza la vita delle mondariso in risaia e nei momenti di riposo, soffermandosi ai particolari. Il paesaggio della risaia diventa un elemento fondamentale dell’ambientazione scenica. Insolito e piatto, entra a far parte dell’azione evidenziando l’atmosfera carica di drammaticità richiesta dalla situazione. Esso sottolinea la durezza delle condizioni di lavoro di un ambiente segnato da ritmi e sentimenti primordiali.
In Riso Amaro un problema che ha interessato il regista, è stato quello di impostare il ritratto della donna italiana proveniente da un mondo contadino e popolare. Nel film Silvana Mangano è una mondina in partenza col treno alla volta delle risaie, che resta coinvolta in una storia di ladri, Walter e Francesca. Dopo varie vicende Silvana porrà fine alla situazione uccidendo Walter, di cui era diventata succube, ed uccidendosi a sua volta.
Questo film è ritenuto una importante opera sulla cultura di massa dell’Italia del Dopoguerra.
Il film, è stato molto gradito dal pubblico inserendosi in quel filone di opere cinematografiche del cosiddetto “Neorealismo rosa” .

 



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